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Corriere: Scuola, escono 42 mila docenti
Le cifre La riduzione di personale farà risparmiare allo Stato 1.600 milioni. In pensione 32 mila insegnanti
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Le cifre La riduzione di personale farà risparmiare allo Stato 1.600 milioni. In pensione 32 mila insegnanti
Gli studenti Nel 2009-2010 il numero degli iscritti aumenterà soprattutto al Nord. Calo di alunni al Sud
I tagli regione per regione: Campania in testa Più richieste di tempo pieno. Il ministero: accolte
Maestro unico, cinque in condotta, antici­po alle elementari, inglese potenziato alle me­die, educazione alla cittadi­nanza, 350 istituti accorpati. Scuola, si cambia. E si taglia. O, se si preferisce, si raziona­lizza. Con una riduzione di 42 mila docenti che farà rispar­miare allo Stato 1.600 milioni di euro nel 2009-2010, 3.200 milioni nel prossimo trien­nio. Meno prof e più studenti (aumentano di circa diecimi­la unità). Ma il ministro Ma­riastella Gelmini assicura: «La riorganizzazione della spesa per la scuola ci consen­tirà di avere più risorse per i laboratori, per le strutture, per aumentare il tempo pie­no ». Presa di posizione. Che non convince i sindacati: «È tutto da vedere».
Le regole
Nessuno lo ha nascosto. «Saranno lacrime e sangue», è stato detto fin dalla firma della legge 133, la Finanziaria varata nell’agosto 2008. E co­sì è stato. Anche per il mon­do della scuola. La circolare ministeriale dello scorso 2 aprile non lascia dubbi: 6 mi­la e cento prof in meno in Campania, 4 mila in Puglia, oltre 5 mila in Sicilia, 2.700 in Calabria, 4.800 in Lombardia. In totale, 37 mila posti ridotti in organico di diritto (e cioè quello definito sulla previsio­ne degli iscritti) e altri 5 mila stipendi rosicchiati in organi­co di fatto (quello «corretto» ogni anno a settembre). E tut­to sommato è andata meglio del previsto: grazie allo slitta­mento della riforma delle su­periori — posticipata al 2010 — il ministero dell’Istruzione ha potuto sottrarre alla scure della legge 133 altri cinquemi­la posti di lavoro. In più, i 32 mila docenti che a settembre andranno in pensione do­vrebbero ridurre gli effetti dei tagli sui supplenti annua­li.
Risparmi, si parte. Del re­sto il ministro Gelmini lo ha sempre detto: «Il 97 per cento della spesa della scuola è de­stinata agli stipendi dei do­centi. Per investire nella quali­tà non ci resta che il 3 per cen­to, laddove altri Paesi Ocse hanno a disposizione il 20. Ebbene, liberando queste ri­sorse noi potremo spendere meglio». La macchina è parti­ta. Il più penalizzato, il Mezzo­giorno. La colpa è da attribui­re al calo delle nascite: «Pur­troppo — dicono i presidi campani — a differenza delle Regioni del Nord, non possia­mo contare sulle iscrizioni dei giovani extracomunitari. Perdendo alunni, perdiamo anche insegnanti».
I due moschettieri
Ammettere che sì, i tagli ci sono. E confermare che però non cambia niente, che l’of­ferta formativa resta intatta e che i genitori devono stare tranquilli. La missione — non semplice — è stata affida­ta a due superesperti del mini­stero, i direttori generali Lu­ciano Chiappetta e Giuseppe Cosentino. I due stanno giran­do l’Italia per incontrare sin­dacati, direttori regionali, ad­detti ai lavori. Armati di pa­zienza, tabelle e quadri orari, riepilogano numeri e proget­ti. Primo: «Le riduzioni di or­ganico non toccano il tempo scuola ma vanno a drenare le ore che i docenti hanno sem­pre impiegato in supplenze e compresenze». Secondo: «Non sono tagli indiscrimina­ti, abbiamo tenuto conto de­gli indici di industrializzazio­ne delle città, delle aree debo­li, di quelle montane, delle piccole isole, delle zone a for­te processo migratorio o con elevati tassi di dispersione».
Il nodo del tempo pieno
Triplo salto mortale. Che di­venta quadruplo quando si tratta di tempo pieno, il nodo di quest’anno. Sparite le com­presenze — «e quindi le fon­damenta del modello didatti­co che il resto d’Europa ci ha sempre invidiato», protesta­no i comitati anti-Gelmini— le direttive ministeriali dico­no così: «Nulla è innovato per quanto riguarda il tempo pieno. Restano pertanto con­fermati l’orario di 40 ore per classe comprensivo del tem­po dedicato alla mensa e l’as­segnazione di due docenti per classe».
Garanzie. E un’offerta varie­gata: quest’anno, per l’iscri­zione alla prima elementare si potevano richiedere 24 ore settimanali, 27, 30 e 40. Venta­glio ampio, scelta univoca: so­lo il 3,8 per cento delle fami­glie ha preferito un orario in­feriore alle trenta ore. Succes­so del tempo pieno. Che a Mi­lano è passato da 91,19 per cento delle richieste al 91,94 per cento. Ma anche nelle Re­gioni del Sud c’è stato un boom (a Palermo si passa dal 2 al 3 per cento). E allora? Co­me si concilia il picco di gradi­mento per l’orario lungo con i tagli? Risposta: eliminate le quattro ore di compresenza (in cui i due insegnanti della classe partecipavano insieme alla didattica), sfruttati «tutti i residui possibili», grattata via la concomitanza tra mae­stro della classe e insegnante di religione o specialista di in­glese, conteggiato solo il «net­to » del lavoro dei docenti, au­mentato il numero di alunni per classe, «i conti tornano». «Al punto che — aggiunge Chiappetta — siamo riusciti a incrementare il numero di sea 40 ore». Per la precisio­ne, spiegano da Roma, le clas­si a tempo pieno saranno 2.500 in più rispetto allo scor­so settembre per un totale di circa 36 mila. Un aumento del 20 per cento. Non succedeva da nove anni.
Curiosità: Milano, capitale del tempo pieno, è anche la provincia che ha la maggior richiesta delle 24 ore. Il moti­vo lo spiegano i dirigenti sco­lastici: «Le famiglie con teno­re di vita elevato preferisco­no organizzare il pomeriggio dei figli con attività a paga­mento ».
Comitati e genitori
Non si fermano le polemi­che sui tagli. I genitori di Rete­scuole minacciano un ricorso al Tar, a Padova e provincia, denunciano i sindacati, salta­no 356 classi a tempo pieno, si moltiplicano mozioni e pe­tizioni, i professori delle me­die («le più penalizzate dalla mannaia, si riducono perfino le ore di italiano») si stanno organizzando in comitati. «Sarà una scuola più pove­ra », denuncia Mimmo Panta­leo, segretario generale della Flc lavoratori della conoscen­za Cgil. «Il Mezzogiorno, che subisce il 40 per cento di ta­gli, è in ginocchio, aumenta il rapporto tra prof e alunni e così il numero di studenti per classe». Ancora: «Ai 42 mila insegnanti tagliati si aggiun­gono 15 mila tecnici. Trenta­mila supplenti annuali saran­no sbattuti fuori dalla scuo­la ». Le richieste della Cgil: am­mortizzatori sociali e l’immis­sione in ruolo di tutto il per­sonale precario. «L’unico filo logico di questo governo è la riduzione dei costi. Non ab­biamo visto nessuna rifor­ma ».
È più ottimista Bruno Iada­resta, responsabile scuola del Moige, il Movimento Italiano Genitori: «Accogliamo positi­vamente le novità introdotte dalla riforma Gelmini. L’op­portunità di scegliere diversi modelli orari è un importan­te aspetto di partecipazione attiva delle famiglie. Bene an­che il maestro unico». Conclu­sione: «Siamo d’accordo con la riduzione degli orari del tempo ordinario, ma sottoli­neiamo la necessità che a que­sta novità venga affiancato un allargamento delle classi a 40 ore, offerta necessaria per rispondere alle esigenze so­ciali delle famiglie d’oggi e al­lo stesso tempo possibile so­luzione di assorbimento de­gli insegnanti che si sono vi­sti tagliare il proprio posto di lavoro».
Annachiara Sacchi
Il ministro
Mariastella Gelmini: «La riorganizzazione della spesa ci permetterà di avere più risorse per i laboratori, per le strutture, per aumentare il tempo pieno»