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Corriere - SE BOCCIAMO L'IPOCRISIA

SE BOCCIAMO L'IPOCRISIA di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI Forse venerdì prossimo la scuola uscirà dal porto delle nebbie. Un nuovo Consiglio dei ministri deciderà, dopo il fermo inatteso dei gi...

20/01/2002
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Corriere della sera

SE BOCCIAMO L'IPOCRISIA

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Forse venerdì prossimo la scuola uscirà dal porto delle nebbie. Un nuovo Consiglio dei ministri deciderà, dopo il fermo inatteso dei giorni scorsi. Ragazzi, famiglie e professori non sentono bisogno di ulteriori iniezioni di adrenalina. Le notizie di cambiamenti, sgranate come pettegolezzi, danneggiano la serenità degli studi e non aiutano a capire il senso della riforma. Non basta il tono dell'efficienza a dimostrare la rigorosa serietà, indispensabile all'intera istruzione pubblica. Se la materia del contendere sono il tasso di selettività e il riconoscimento del merito, la cornice europea invita a uscire rapidamente dall'incertezza. Nessuno può negare il dislivello preoccupante che esiste nelle competenze linguistiche, matematiche e scientifiche fra gli studenti italiani e quelli degli altri Paesi dell'Unione europea. Il rapporto dell'Ocse (l'organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) offre un'analisi impietosa.
Si è molto discusso sulle innovazioni annunciate e su quelle sospese. Ma non si è arrivati al nocciolo, al raccordo fra l'ingegneria del sistema, con i suoi cicli e i suoi indirizzi, e la qualità dell'apprendimento. C'è una questione di tempi, c'è una questione di contenuti e c'è una questione di metodo valutativo, cioè bocciature e promozioni.
Si coglie una incertezza diffusa a uscire dalla ipocrisia annosa dei crediti, dei debiti e dei recuperi. Se si abbandonano ideologismi e contrapposizioni preconcette, le cose si fanno più chiare. È stato proposto di anticipare facoltativamente l'iscrizione dei bambini alle elementari. Ciò tocca il monopolio delle "primine", gestite dai privati. Sono emerse nella maggioranza governativa critiche di forze attente a quel settore. Anche le modifiche nell'insegnamento professionale aprono maggiori spazi alla pubblica istruzione.
Sminuire quindi il dibattito in un'accusa di smantellamento della scuola pubblica è fuorviante. Più che pretendere dichiarazioni di principio, è utile chiedere al progetto governativo dimostrazioni di coerenza fra i diversi ingranaggi della macchina che si vuole montare.
Ora si parla di bocciature ogni due anni, dalle elementari fino alle superiori. Si vuole uscire così dal perdonismo dell'ignoranza. Poi nello stesso schema si aggiunge che il sistema nazionale di valutazione misurerà all'inizio dell'anno i livelli di apprendimento degli studenti. Servono chiarimenti, perché non resti il legittimo timore che, appena aboliti, i debiti e i crediti possano riapparire, cambiali mai onorate, e che risultino indispensabili nuovi fantomatici corsi di recupero.
Ci sono molte cose di troppo nel dibattito e nella presentazione. Eccessiva è la comune focalizzazione sul destino del liceo classico, dal quale ogni anno escono con la maturità soltanto due studenti e sei studentesse ogni cento. Irritanti sono i termini aziendalistici nella definizione dei modelli di verifica: la scuola non è una azienda e non è un'azienda l'Italia.
L'opposizione preferisce battagliare sulla sistemica e sull'ideologia piuttosto che passare al discorso sui metodi e sui contenuti, sugli studenti e sugli insegnanti.
Sovrabbondante è soprattutto la carica di politicizzazione nel contrasto. Scarnificata di neologismi manageriali e liberata da pressioni interne alla maggioranza, a causa dell'inaspettata sua indipendenza nei confronti di taluni settoriali interessi della scuola privata, la riforma ha un merito essenziale. Vuole togliere con realismo dalla perenne precarietà il più grande servizio pubblico nazionale, mettendo gli utenti in grado di reggere la concorrenza dei coetanei europei. Bloccare tutto ora per il governo è autolesionistico, per l'opposizione è comunque prematuro. Meglio arrivare in Parlamento a parlare di temi concreti che perdersi nelle teorie e negli slogan. Ad Antonio Gramsci una scuola "facile" appariva nemica degli interessi dei figli del popolo. La constatazione resta vera quasi un secolo dopo per i figli del popolo televisivo.