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Corriere: Sentenza contro la Moratti: ogni limite è discriminatorio

Scuola e diritti Accolto il ricorso di una marocchina irregolare, la bambina è nata in Italia Un giudice: gli asili vanno aperti anche ai figli dei clandestini

12/02/2008
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Corriere della sera

Il sindaco: attendo le motivazioni per capire cosa sia giusto fare. E Forza Italia chiede un ricorso alla Corte europea
MILANO — I figli dei clandestini devono poter andare all'asilo come gli italiani e gli immigrati regolari. Ogni limitazione è una «discriminazione» che deve essere cancellata perché viola la Costituzione, la Convenzione sui diritti del fanciullo e il decreto 286/98, quello che ha preso il nome del presidente della Repubblica Napolitano e del ministro Turco. Un'ordinanza depositata ieri dal giudice milanese Claudio Marangoni fa strame della circolare con cui a dicembre l'amministrazione Moratti, sollevando un vespaio di polemiche, aveva vietato l'iscrizione alle scuole materne ai figli di immigrati irregolari.
A ricorrere al giudice della prima sezione civile è stata una clandestina marocchina madre di una bambina nata in Italia. La donna, in attesa di regolarizzazione, si era affidata all'associazione «Avvocati per niente» denunciando il «comportamento discriminatorio» del Comune che, con la circolare n.20 del settore infanzia, le imponeva di presentare il permesso di soggiorno. Il Comune si è difeso sostenendo che non c'è discriminazione perché la residenza è richiesta a tutti, italiani e non; l'asilo non fa parte della scuola dell'obbligo, obbligatoria e gratuita per tutti, anche per i figli dei clandestini; se necessario, la bambina sarebbe assistita dai servizi sociali.
Il giudice, accogliendo la tesi dei legali della donna, gli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri, ricorda che l'articolo 2 della Costituzione riconosce anche agli stranieri i diritti inviolabili dell'uomo e all'articolo successivo ne sancisce la pari dignità sociale e di uguaglianza davanti alla legge. Dato che quello all'istruzione è «un diritto fondamentale, di rilievo costituzionale, primario ed assoluto dell'individuo, come tale è incomprimibile dall' amministrazione».
Il decreto Turco-Napolitano, segnala il magistrato Claudio Marangoni, definisce «discriminatorio qualunque comportamento che, direttamente o indirettamente, abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento e l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica».
Lo stesso decreto, inoltre, dice che anche «i minori stranieri presenti sul territorio» sono obbligati ad andare a scuola, garantendo loro il diritto «all'istruzione, all'accesso ai servizi sociali e alla partecipazione alla vita della comunità scolastica». E per il giudice, «la scuola dell'infanzia, pur non obbligatoria e non indirizzata direttamente all'istruzione del minore in senso stretto », fa «comunque» parte «del sistema scolastico». La posizione dei figli dei clandestini è «peculiare» perché, a differenza dei genitori, non possono essere espulsi e possono ottenere il permesso di soggiorno fino ai 18 anni. Una situazione paradossale: possono restare in Italia, ma non ottenere la residenza perché a farlo per loro dovrebbero essere i genitori i quali non possono perché clandestini. Il Comune, è scritto nell'ordinanza, ha il diritto di offrire un servizio solo ai residenti, ma non non può limitarne la fruizione in base allo status. E allora, il criterio della residenza diventa un «ostacolo formale» che «pregiudica» un diritto del minore. Ed è per questo il giudice, in attesa di valutare se la donna abbia subito danni, ordina al Comune «la cessazione del comportamento discriminatorio e la rimozione dei suoi effetti».
Da New York il sindaco Mo-ratti reagisce con un «no comment » in attesa di leggere le motivazioni dell'ordinanza e «vedere che cosa sarà giusto fare». Forza Italia ha chiesto un ricorso alla Corte europea. Ma per il ministro della solidarietà sociale Paolo Ferreo «quella del Tribunale di Milano è una scelta di civiltà».
Giuseppe Guastella Rossella Verga