Corriere: Università e meritocrazia, difendiamo il test nazionale
Roger Abravanel
Ieri il ministro Gelmini ci ha informato che ha dovuto sospendere il processo di istituzione del test nazionale standard da me proposto un anno fa (nonché da altri accademici eccellenti quali Roberto Perotti e Andrea Ichino) a causa dell’«ultimatum» del Tar sui professori precari. Il ministro teme che il Tar possa un giorno provocare la paralisi nazionale bloccando il test di una sola università.
Sarebbe un disastro nei confronti della prima seria iniziativa orientata a creare un seme di merito nel nostro disastrato sistema educativo. In questo ultimo anno si sono intravisti gli effetti della perversa assenza di una misurabilità obbiettiva del merito. I 100 e lode della maturità si sono rilevati totalmente inaffidabili perché al Sud erano il doppio che al Nord. I test che le università autoamministrano hanno creato gravissime ingiustizie. Nelle facoltà a numero chiuso come Medicina l’Italia è l’unico Paese al mondo in cui il test non dà risultati considerati validi in tutte le università: ciò fa sì che anche i migliori studenti preferiscono scegliere le università meno ambite, in funzione di una maggiore «sicurezza» di ammissione, anziché provare ad entrare nella migliore università possibile.
Nei Paesi dove la meritocrazia esiste vi è un solo test nazionale standard che è lo stesso per tutte le facoltà, e ciò ha enormi vantaggi perché la selezione d’accesso è molto più obbiettiva. Un test nazionale standard permetterebbe anche di mettere ordine nella attuale giungla di borse di studio nazionali e regionali e nel creare meccanismi efficaci per assegnare i prestiti d’onore. Si potrebbe creare un piccolo «fondo per il merito» in cui i 1.000 migliori studenti riceveranno una ricca borsa di studio per andare a studiare nelle migliori università. Ciò creerebbe un meccanismo di «quasi mercato» per capire finalmente quali sono le università migliori a cui dare più fondi: sono quelle dove vanno gli studenti migliori. Il merito a parole è invocato da tutti. Il difficile è passare dalle parole ai fatti.