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Corriere: Yale e Harvard, l'università rende più di un fondo

Grandi affari e utili in aumento per le icone del sapere Usa. Il ruolo degli ex allievi

04/11/2006
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Corriere della sera

Giuliana Ferraino

In America il rettore dell'università, prima che un accademico, è un buon amministratore: di uomini e di denari. Tant'è che impiega buona parte del suo tempo a caccia di finanziamenti, che servono per assumere i professori migliori, costruire biblioteche, laboratori e dormitori, creare nuovi corsi, distribuire borse di studio ai meritevoli senza mezzi. I donatori? Gli
alumni, cioè gli ex studenti, che ogni anno riempiono le casse degli atenei, «doni» che spesso aiutano a garantire un posto ai figli, secondo il principio della legacy;
ma anche le aziende private, i filantropi, le fondazioni, insomma chiunque apra il portafogli in nome del sapere. In agosto, ad esempio, Phil Knight, ex Mba a Stanford e fondatore della Nike, ha regalato alla Business School 105 milioni di dollari, che permetteranno di costruire il nuovo campus (negli anni '90 aveva già offerto 10 milioni). Molto generosi con il dipartimento di Computer Science dove si sono specializzati, sono anche i fondatori di Google, che in cambio a Stanford vengono a reclutare nuovi collaboratori.
Il ricavato del fund raising finisce nell'endowment, cioè gli asset delle Università, da preservare per le generazioni future. Ecco perché le migliori Università ingaggiano i migliori money manager di Wall Street (e li pagano altrettanto) per gestire i loro investimenti, attraverso società di gestione interne, che amministrano migliaia di fondi. Ad Harvard, ad esempio, l'endowment non è un singolo fondo, ma circa 11 mila fondi individuali, molti dei quali con uno scopo ben definito, come il supporto di un centro di ricerca o il finanziamento di una cattedra.
Negli ultimi 12 mesi il ritorno medio degli investimenti dei collage Usa è stato del 10,8%, ma le università più ricche e famose hanno portato a casa risultati ben più alti, da fare invidia ai fondi comuni. Puntando su hedge funds, immobili, energia e private equity.
La super star dei fondi universitari è David Swensen, 52 anni, capo degli investimenti dell'Università di Yale dal 1985, quando gli asset dell'ateneo ammontavano a un miliardo di dollari. Nell'ultimo anno (l'esercizio chiude il 30 giugno) ha ottenuto un ritorno del 22,9%, portando a 18 miliardi l'endowment di Yale dai 15,2 miliardi del 30 giugno 2005, quando il ritorno era stato del 22,3%. Solo il Mit (Massachusetts Institute of Technology), nell'ultimo esercizio ha fatto meglio, con un ritorno del 23% e asset complessivi pari a 8,4 miliardi. Il record di Swenson?
Nel 2000, quando ha messo a segno un rendimento del 41%. Ma negli ultimi 10 anni il ritorno medio annuo è stato del 17,2%, una performance che ha fatto di Yale la seconda università più ricca degli Stati Uniti.
Al primo posto c'è Harvard, con asset pari a 29,2 miliardi e un ritorno negli ultimi 12 mesi del 16,7%. Ma è stato un anno di transizione, perché Jack Meyer lo scorso autunno ha lasciato la guida dell'Harvard Management Company per creare la sua società di investimento, portandosi dietro 30 collaboratori. Ed è arrivato Mohamed El-Erian Pacific Investment Management Company. nel 2005 il ritorno di Harvard era stato del 19,2%, mentre la media annua degli utili 10 anni del 15,2%. Anche Mike McCaffrey ha lasciato la gestione dei fondi di Stanford, per mettersi in proprio, dopo aver ottenuto un ritorno del 19,4% nell'ultimo esercizio e del 19,5% nel 2005 portando a 15,2 miliardi gli asset dell'ateneo situato nel cuore della Silicon Valley, in California. La media annua degli ultimi 10 anni è del 14,8%. A giugno è arrivato John Powers, da Offit Hall Capital Management, promettendo di fare altrettanto bene.
Tra i campioni del rendimento c'è anche Princeton, che ha registrato un ritorno sugli investimenti del 19,5% negli ultimi 12 mesi, dopo il 175 dell'anno prima, arrivando a 13 miliardi di dollari di asset. E con un'invidiabile media annua, nell'ultima decade, pari del 15,6%.


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