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Così la formazione finisce al servizio delle aziende

Intervista a Valeria Pinto. L’autrice di «Valutare e punire» boccia “il patto” di Renzi: “C’è l’accentramento del potere nelle mani del preside-manager e del consiglio di amministrazione, l’annullamento degli organismi intermedi di rappresentanza. Si premia la disponibilità allo sfruttamento, sotto l’etichetta «produttività.

04/09/2014
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

«Il piano di Renzi sulla scuola è ispi­rato ad una poli­tica dell’istruzione coe­rente con le poli­ti­che neo­li­be­rali da tutti con­si­de­rate un rife­ri­mento. Su que­sto non c’erano illu­sioni da farsi – afferma Vale­ria Pinto, docente di filo­so­fia teo­re­tica alla Fede­rico II di Napoli, autrice di un attua­lis­simo e for­tu­nato libro sulla valu­ta­zione nell’università e nella ricerca «Valu­tare e punire» (ed. Cro­no­pio) – Il governo acce­lera un pro­cesso costruito in decenni. L’unica sor­presa è che un governo non eletto si sia impe­gnato in una tra­sfor­ma­zione così ampia».

Qual è il ruolo della valu­ta­zione nel «patto» sulla scuola?

È il cuore della riforma di Renzi. Il suo ruolo emerge quando si parla del «piano di miglio­ra­mento», un con­cetto ingan­ne­vole della nuova reto­rica pub­blica, come la parola «qua­lità» cui spesso si accom­pa­gna. Si tratta di un tipico stru­mento di con­trollo del mana­ge­ment per obiet­tivi. Quando si parla dell’aggiornamento e della for­ma­zione con­ti­nua si chia­ri­sce che i docenti devono rag­giun­gere gli obiet­tivi “pre­po­sti”. Pre­po­sti da chi? Chi decide? Sem­pre più que­sti obiet­tivi coin­ci­dono con i «por­ta­tori di inte­ressi», che alla fine sono solo inte­ressi di classe, gli unici dotati della forza per imporsi su altri. Con buona pace della libertà di inse­gna­mento, la riforma neo­li­be­rale lo con­verte in un ser­vi­zio di for­ma­zione per le aziende.

Altro aspetto della riforma è quello del con­trollo. Anche que­sto rien­tra nella valutazione?

Certo. Sono ricor­renti i con­cetti di ispe­zione e ren­di­con­ta­zione. C’è l’accentramento del potere nelle mani del preside-manager e del con­si­glio di ammi­ni­stra­zione, l’annullamento degli orga­ni­smi inter­medi di rap­pre­sen­tanza. Si pre­mia la dispo­ni­bi­lità allo sfrut­ta­mento, sotto l’etichetta «pro­dut­ti­vità», for­ma­liz­zando un aumento dell’orario di lavoro che arriva anche a rad­dop­piare. C’è il «regi­stro nazio­nale dei docenti», dove que­sti saranno trac­ciati in tutte le loro atti­vità, costan­te­mente sotto con­trollo, per «indi­vi­duare coloro che meglio rispon­dono al piano di miglio­ra­mento pre­po­sto». In tutto que­sto forse una novità c’è: la vio­lenza, la net­tezza, con cui emerge il dise­gno di spos­ses­sa­mento. Que­sto è avve­nuto nell’università dal 2011 in poi. Qui forse solo ora qual­cuno ini­zia a capire cosa signi­fica valu­ta­zione: un poten­tis­simo stru­mento di cen­tra­liz­za­zione del potere e di spos­ses­sa­mento di chi è impe­gnato sul campo.

Che cos’è la «meri­to­cra­zia» che Renzi vuole intro­durre nella scuola?

Quando è stata isti­tuita, l’agenzia di valu­ta­zione Anvur è stata giu­sti­fi­cata con l’esigenza di «pre­miare merito e qua­lità». Chi potrebbe opporsi a que­sto? Il pro­blema è, credo, capire la cor­nice ideo­lo­gica che sostiene que­sta appa­rente evi­denza. Ciò «che pre­mia il merito faci­lita il pro­cesso di equità sociale. Il merito non è il pri­vi­le­gio dei ric­chi, ma la carta che hanno i poveri per riscat­tarsi» disse Fabio Mussi da mini­stro del cen­tro­si­ni­stra nel 2006. A lui si deve l’ideazione dell’Anvur e già par­lava di «equità». In realtà, il sistema del merito emana, raf­for­zan­dole, dalla giu­sti­zia e dall’evidenza dell’ordine che rico­no­sce. Ren­dendo le dise­gua­glianze accet­ta­bili su basi razio­nali e eti­ca­mente legit­time, la meri­to­cra­zia risponde all’esigenza di man­te­nere fermo l’ordine sociale esi­stente. Non com­batte le dise­gua­glianze, ma si pre­oc­cupa di legit­ti­marle. In que­sta cor­nice l’istruzione è l’arma per la per­fetta razio­na­liz­za­zione dell’esclusione. Il modello che si pro­spetta per la scuola è questo.

Per­ché l’istruzione è stata bom­bar­data da riforme dalla fine degli anni Ottanta ad oggi?

Il momento cen­trale per le poli­ti­che dell’istruzione è il Pro­cesso di Bolo­gna nel 1999 e defi­nito oggi da Zizek «un attacco con­cer­tato a ciò che Kant chia­mava l’uso pub­blico della ragione». Il prin­ci­pio è lo stesso che vediamo all’opera oggi nel pro­getto ren­ziano: edu­care al problem-solving, subor­di­nare l’istruzione alla pro­du­zione di un sapere com­pe­tente e utile. L’attuale riforma della scuola è in asso­luta con­ti­nuità con i pro­getti svi­lup­pati fin dalla bozza Mar­ti­notti, alla base della riforma Ber­lin­guer dell’università. Evi­den­te­mente alla fine ha fatto brec­cia l’idea che l’istruzione garan­tita dallo Stato sia una “indu­stria socia­li­sta”, secondo la cele­bre espres­sione di Mil­ton Friedman.

Per­ché, quando si parla di «merito», le rispo­ste della scuola sono sem­pre difensive?

La forza di questo discorso intimidisce e rincoglionisce, come disse Tul­lio Gre­gory dell’Anvur a Il Mani­fe­sto. Si teme di appa­rire estremi, ideo­lo­gici, con­ser­va­tori. L’immagine di discre­dito del nostro sistema for­ma­tivo, oggetto di dif­fuse cam­pa­gne stampa, è stata inte­rio­riz­zata, men­tre la “cul­tura della valu­ta­zione” – nel migliore dei casi pura cul­tura neo­li­be­rale, per lo più sem­plice pac­cot­ti­glia – ha cuci­nato a fuoco lento la nostra coscienza cri­tica.
Par­liamo di un pro­cesso che in più sol­le­cita, come fa Renzi sulla scuola, una «spon­ta­nea» ade­sione a quanto richie­sto dall’alto. Del resto lo stato valu­ta­tivo fun­ziona così: solo con la com­pli­cità di coloro che vi sono sot­to­po­sti. Non a caso c’è chi parla di «ser­vitù volon­ta­ria». A me pare più rispon­dente l’idea fou­caul­tiana di gover­na­men­ta­lità: pro­durre sog­get­ti­vità auto­no­ma­mente con­formi alle pro­ce­dure attese. Siamo davanti a una mac­china poten­tis­sima, a dispo­si­tivi glo­bali di tra­sfor­ma­zione, pro­getti gran­diosi. E biso­gne­rebbe attac­carli diret­ta­mente, attac­care da ogni lato.