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Così Tremonti ha spento i brevetti

Massimo Cialente * Che la situazione della nostra ricerca fosse grave si sapeva da anni, e infatti tutto il problema si riassume in una sola cifra: 67,5. È il numero di domande di brevetto per ogni ...

30/09/2005
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Massimo Cialente *
Che la situazione della nostra ricerca fosse grave si sapeva da anni, e infatti tutto il problema si riassume in una sola cifra: 67,5. È il numero di domande di brevetto per ogni milione di abitante presentato dall'Italia all'Ufficio europeo dei brevetti. Un numero bassissimo, che non solo ci pone agli ultimi posti nelle graduatorie internazionali, ma che negli ultimi anni è in ulteriore, drammatico calo. Se poi prendiamo in considerazioni alcuni settori chiave dell'economia, come l'Ict o le biotecnologie, vediamo che la percentuale di brevetti italiani in Europa è addirittura ridicola: nel 1999 era l'1,5 per cento nell'Ict, solo l'1 per cento nelle biotecnologie. Nel campo complessivo dell'hi-tech, nel 2002, in Europa, peggio di noi, solo Portogallo, Grecia, Spagna, ed i Paesi dell'Est. Ma mentre questi, tutti, mostrano un processo di recupero , (a volte impressionante come per Portogallo, Estonia, Ungheria e Lituania), l'Italia è di fatto ferma.
Per capirci: Paesi come Francia e Germania di brevetti hi-tech ne hanno da 5 a 7 volte di più. Ed il dato complessivo di quellii depositati in Italia è altrettanto allarmante, soprattutto nel suo andamento: 6209 nel 2002, 6523 nel 2003, ma solo 5510 nel 2004! Nell'ultimo anno un calo pari addirittura al 15,5%.
Non è che i nostri ricercatori siano degli incapaci. Tutt'altro. È che il deposito, l'estensione internazionale, e soprattutto il mantenimento e la gestione di un brevetto, oggi, hanno costi elevatissimi (le pratiche per un brevetto europeo superano i 25.000) e richiedono per molto tempo un monitoraggio anti-contraffazioni. Si tratta di un impegno enorme che il singolo ricercatore non è in grado di affrontare. Anche stabilire se brevettare o meno un'invenzione richiede valutazioni di tipo economico che spesso gli sono sconosciute, legate come sono alle prospettive dell'applicazione industriale e alle conoscenze del mercato. Il ruolo giocato dal valore tecnico-scientifico dell'invenzione è, paradossalmente, solo marginale.
Ovviamente, le nostre università e i nostri enti pubblici di ricerca non sono mai stati dotati di idonee, efficaci ed efficienti strutture che si occupino della complessa fase ante e post brevetto. Ma il governo Berlusconi ha fatto di peggio, grazie a una "grande" idea dell'ex e poi di nuovo ministro Tremonti: ha di fatto scoraggiato la creazione di queste strutture, dando un micidiale colpo alla ricerca pubblica. Gli sono bastate poche righe: l'articolo 7 della legge 383/2001, la "legge dei 100 giorni". Chi si ricorda il geniale slogan "le invenzioni agli inventori"? Eccolo: l'articolo 7 stabiliva che la titolarità del brevetto per le invenzioni effettuate dai ricercatori pubblici - a differenza di quanto previsto per i ricercatori privati - andasse a loro, anziché all'ente di cui erano dipendenti.
Malissimo! Non solo si veniva a creare una disparità incostituzionale tra ricercatori pubblici e privati, non solo si creava un abisso tra gli stessi dipendenti pubblici, cioè tra autori di invenzioni brevettabili oppure non brevettabili (design, software, banche dati). Ma il peggio sta qui: che il mondo delle imprese non ha avuto più, da allora, nessun interesse a investire o a partecipare ai programmi pubblici di ricerca. Se non c'è una partecipazione alla titolarità del brevetto, e dunque se non c'è un accettabile ritorno economico, perchè l'industria dovrebbe tirar fuori i soldi?
Germania e Austria, che avevano norme simili alla nostra, ne hanno decretato il fallimento e hanno cambiato sistema. Anche in Italia la norma Tremonti ha presto dimostrato tutta la sua inadeguatezza, ma nonostante tre anni di battaglie che hanno unito università, industria e opposizione, il governo Berlusconi non l'ha mai ritirata. Tremonti non voleva! Il 29 giugno, finalmente, la Camera, pressoché all'unanimità ha approvato l'emendamento presentato dai ds per restituire alle università la titolarità del brevetto. Per i ricercatori sono previste royalties pari almeno al 30 per cento, più il diritto di prelazione nel caso di cessione del brevetto. Le università e gli enti pubblici di ricerca dovranno inoltre dotarsi, anche consorziandosi, di uffici destinati alla gestione delle invenzioni ai fini brevettali, oltre che di tutte le fasi legate al trasferimento tecnologico.
Questo dovrebbe cambiare un po' di cose, finalmente. Alla ricerca pubblica si aprono nuove prospettive, soprattutto nella direzione di un rinnovato rapporto con il mondo dell'impresa. L'emendamento approvato, oggi art. 13 della pdl "competitività" è ora all'esame del Senato. Ho provato una grande soddisfazione leggendo in questi giorni le dichiarazioni del ministro Scaiola: dobbiamo assolutamente cambiare la legge sui brevetti! La titolarità alle università! Finalmente un ministro si accorge che per quattro anni il Governo ha bloccato uno snodo centrale della ricerca italiana. Forse a questo ministro nessuno ha segnalato che a porre rimedio ci ha già pensato la Camera dei Deputati. Vediamo ora se si impegnerà affinchè l'art. 13, il nostro emendamento, divenga in Senato al più presto legge e se si batterà affinché nella prossima Finanziaria siano stanziate le risorse per aiutare le nostre Università a dotarsi dei nuovi uffici. Coraggio onorevole Scaiola!
(*) Deputato Ds, commissione Attività produttive e autore dell'emendamento

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