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Crociata contro i fuoricorso. Meno fondi a chi ne ha troppi

Il ministero cambia le regole.Gli studenti:non è così che si risolve il problema

17/09/2014
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La Stampa

Nadia Ferrigo

Poveri sfigati, verrebbe da dire parafrasando l’allora vice ministro al lavoro Michael Martone che due anni fa etichettò così gli studenti fuori corso, giusto giusto alla vigilia del decreto che consentì agli atenei di aumentare le tasse a chi ancora frequenta l’università,ma non è in regola con gli esami. Si torna a parlare - o meglio, non parlare - di loro nella bozza del decreto delMiur che stabilisce i meccanismi di riparto dei finanziamenti agli atenei italiani: il «costo standard» per ogni iscritto, il nuovo criterio scelto per valutare le quote da conferire, si riferisce esclusivamente agli «studenti in corso».Chi resta indietro sarà in tutto e per tutto un costo che grava sulle casse, già malandate, dell’università. Funziona così: la cosiddetta «quota premiale» passa dal 13,5 al 18 per cento (vale a dire da 819 milioni a 1 miliardo e 300 milioni) e sarà in gran parte assegnata in base alla valutazione Anvur sulla qualità della ricerca. Quel che resta dei sette miliardi e dieci milioni che si dovranno spartire quest’anno gli atenei sarà assegnato per l’80 per cento sugli stanziamenti degli anni passati, per il 20 per cento sul nuovo parametro. Si devono ancora stabilire i criteri per «pesare» il costo di ogni iscritto, ma l’introduzione della soglia è graduale: il prossimo anno dovrebbe balzare al 40 per cento, e così via per i prossimi tre anni. «Se i fuoricorso si trasformeranno in un peso, allora gli atenei saranno costretti ad abbassare la qualità della didattica oppure ad aumentare le tasse - denuncia Alberto Campailla, portavoce della rete studentesca Link -. Si va fuori corso per motivi diversi, non è cacciandoli dalle aule che si aiuta chi rimane indietro con gli studi, ma con un buon orientamento, tutor preparati e qualche appello in più per chi lavora». Negli anni i criteri sono cambiati diverse volte: anche in passato si è pensato di basarsi sul conto degli studenti in corso, ma accompagnato dal sistema dei crediti. Così se uno studente, anche se non in regola, supera un esame viene conteggiato nelle attività didattiche. «C’è il rischio che si sia costretti ad abbassare l’asticella della qualità per far quadrare i conti - commenta Flavio Corradini, rettore dell’Università di Urbino -. Certo che la mia università ideale non ha fuoricorso, ma i ragazzi vanno accompagnati e indirizzati, soprattutto all'inizio: noi per esempio abbiamo scelto per il primo anni dei docenti particolarmente adatti ai più giovani. Ma per risolvere il problema non servono altri tagli, ma più risorse». «Mettiamo il caso che per decreto io regali a tutti i miei studenti un esame l’anno - commenta il rettore dell’Università di Pisa Massimo Mario Augello -. Allora risolverei in un attimo i problema dei fuoricorso. Assurdo no? Noi dobbiamo puntare a una formazione rigorosa, ma la condizione dei nostri giovani è difficile, quel che cerchiamo di fare è capire le loro difficoltà e aiutarli a superarle. Dovremmo poter fare di più per loro, non di meno, e fin dalle superiori, nel momento cruciale della scelta dell’università. Se sbagliano, non sarà un danno solo per loro, ma per tutti».