Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Da Migliarina al Circo Massimo

Da Migliarina al Circo Massimo

Marco Ursano

05/04/2009
Decrease text size Increase text size

https://www.cittadellaspezia.com/La-Spezia/Cronaca/Da-Migliarina-al-Circo-Massimo-42755.aspx
Arrivo in anticipo di un’ora. E’ un po’ di tempo, qualche anno ormai, che non partecipo ad una manifestazione. Temo di avere gli ingranaggi della protesta di piazza un poco arrugginiti. Infatti, non c’è ancora nessuno, allora faccio due passi in questo deserto suburbano, giusto per rendermi conto ancora una volta quanto è brutta questa parte di Spezia. Proprio senza speranza, perché oltre che essere stata realizzata male, è stata proprio pensata peggio. Basta osservare la filata expo, megacine, unieuro, parcheggione, palasport, per rendersene conto. A quest’ora di notte, poi, lo spettacolo è ancora più desolante.
Cominciano a giungere i primi manifestanti, è mezzanotte e mezzo circa. Arrivano alla spicciolata, a piedi ed in macchina. Riconosco alcuni volti, ci salutiamo, prime battute.
Partire il venerdì notte (o sabato mattina?) alle una, dopo una settimana di lavoro, non è proprio una scampagnata come dice qualcuno che probabilmente non è mai salito su un pulmann in vita sua. Dopo una mezz’ora, la strada è piena di pulmann numerati ed ogni manifestante cerca il suo. Il pulmann, è la prima cosa che ti identifica: metalmeccanici, commercio, funzione pubblica, studenti, pensionati. A me tocca l’autobus numero 8, “lavoratori della conoscenza”, i lavoratori della scuola, insomma. Si vede che il giornalista è un mestiere che ha a che fare con la conoscenza, e la riflessione mi riempie d’orgoglio di categoria. Solo per qualche istante, naturalmente, poi si torna alla realtà.
Mentre gli altri caricano le bandiere, la capo pulmann mi “ordina” con un sorriso di salire e prendere i posti in fondo. Storicamente, quelli della “elite”, i quadri dirigenti. Con il mestiere di addetto stampa del sindacato ne faccio parte di “diritto”, ma so che non è solo questo. In questi pochi mesi di questa nuova esperienza, al di là degli aspetti professionali, peraltro molto gratificanti, sono rimasto coinvolto emotivamente dall’ambiente del sindacato, dalle sue persone con cui lavoro a stretto contatto ogni giorno e sento che stanno cominciando veri e propri rapporti di amicizia, alimentati da stima e simpatie reciproche.
Il mestiere del sindacalista è molto difficile, perché non è solo un mestiere. Non è che alla sera arrivi a casa e stacchi. Sei sempre “in prima linea”, perché sai che il futuro lavorativo, e quindi la vita, di molte persone dipende anche da te, dal tuo impegno, dalle tue decisioni, dalla tua passione. Stando in contatto con sindacalisti ogni giorno, ho capito che la loro è proprio una condizione, una scelta di vita, che alle spalle ha motivazioni, valori e sentimenti profondi, e che ogni giorno sono messi alla prova duramente. E resisti, vai avanti ed ottieni dei risultati solo se, oltre che competenze ed esperienza, possiedi una grande umanità.
Quando finalmente si parte, appare subito chiaro che i posti in fondo sono quelli dello “scazzo”, proprio come nelle gite scolastiche. Battute, risate, frizzi e lazzi, sino a che il sonno inizia a prendere il sopravvento, ed ad uno ad uno cominciamo a crollare, e l’atmosfera del pulmann discende verso quel dormiveglia sospeso in mezzo alle luci autostradali, accompagnato solo dal rumore sordo e continuo del motore in sottofondo. Un limbo privo di punti di riferimento, perché se, quando apri per un attimo gli occhi a causa di un sobbalzo o per l’inevitabile torcicollo da sedile, non riesci a leggere il cartello verde fuori del finestrino, nulla e nessuno ti potrà far sapere dove ti trovi.
Dopo un tempo indefinito, ti svegli perché il pulmann si è fermato dentro un autogrill. Sono le 4 del mattino, ma sembra di essere a mezzogiorno durante il primo esodo di ferragosto. Decine di pulmann ammassati uno sull’altro, migliaia di accenti, camminate, pelli, occhi differenti, ma uniti nei dettagli di abbigliamento che contraddistinguono i manifestanti. Cappellini, felpe, foulard, con la scritta della CGIL di quella o questa città o regione. Prendere un caffé è un’impresa quasi impossibile, come andare in bagno per le signore, mente per noi maschietti, in questo e molto altro della vita più sbrigativi, bisogna solo armarsi di pazienza, ma in un quarto d’ora di fila in un corridoio angusto, fianco a fianco con qualche operaio di Porto Marghera o di Vercelli, ce la puoi fare. Riesci anche a sciacquarti il volto “smostrato”, e poi due chiacchiere prima di risalire. I fumatori fumano con avidità sconcertante, qualcuno mostra il trofeo di un pacco di biscotti o un toblerone conquistato a prezzo di una fila alla casa devastante (ma senza spingere, siamo tutti compagni, per carità), quelli più esperti sentenziano che, anche considerato l’affollamento dell’autogrill, sarà una grande manifestazione e si riparte.
Tutti ripiombiamo in quel dormiveglia liquido in cui la percezione del tempo si dilata e si restringe in relazione al cambio di marce del motore, e le prime luci del giorno ci regalano la campagna romana, preludio della periferia sterminata ed informe a cornice del grande raccordo anulare. I manifestanti si stiracchiano le carcasse indolenzite, cominciano a svegliarsi e nel pulmann ritorna il cicaleccio iniziale della partenza. Ci vuole un’altra ora buona per entrare nel ventre della Capitale, e tutti nel frattempo abbiamo ricevuto sorrisi, cartina della zona ed istruzioni per non perdersi dalla capo pulmann (proprio come alle gite a scuola, a parte la cartina) e ci ritroviamo nel piazzale del parcheggio dell’EUR insieme con altri centinaia di pulmann e migliaia di manifestanti che hanno viaggiato come noi di notte da tutte le parti d’Italia.
Il nostro corteo è quello che partirà da Piazza Partigiani d’Italia, praticamente Stazione Ostiense. Per raggiungerla, ci tocca la metropolitana dall’EUR. La stazione metro è strapiena, bisogna fare la fila a cominciare dal piazzale antistante all’aperto, immettersi in quella massa colorata a chiazze rosse e aspettare il nostro turno. Ci fanno entrare a scaglioni, e ci facciamo tutto il tragitto stipati come sardine, cinque fermate. Io soffro di claustrofobia, una situazione delicata, chi la conosce mi può capire. Combatto la crisi di panico ascoltando i discorsi dei manifestanti, una babele di dialetti italiani tutta concentrata in quel vagone.
Appena arriviamo in Piazza, si capisce subito che sarà una manifestazione enorme. Gente a perdita d’occhio, migliaia di bandiere, musica, casino. Naturalmente metà del nostro gruppo si è già perso, squillano telefonini, fioccano appuntamenti con improbabili punti di riferimento architettonici. Noi che siamo riusciti a rimanere compatti apriamo lo striscione di Spezia e ci buttiamo in mezzo alla folla, cercando gli altri, quelli che sono arrivati con il treno speciale e lo spezzone della delegazione della Liguria. Non lo troviamo, e decidiamo di creare il nostro spezzone di corteo lì, tra la FIOM di Trapani e la Funzione pubblica di Cagliari che ha già fraternizzato con lo SPI di Treviso.
Saranno poi i cortei, i canti, gli slogan, i balli improvvisati con musica a tutto volume, i gruppi di samba e di musica popolare itineranti (grandi Batebalengo!); saranno i lavoratori, i pensionati, gli studenti, i migranti, donne, uomini, ragazzi, famiglie. Saranno i colori della pace e del sindacato, saranno le parole, i commenti, vino, birre e panini e piadine, le foto, le telecamere, i megafoni. Saranno le magliette con il Che e quelle con Bob Marley. Saranno gli amici dell’università, quelli della Pantera, che non vedi da anni e che non rivedi nemmeno questa volta, ma sai che sono lì, e saranno quelli che invece incontri, e li abbracci, e per un momento ti viene anche da piangere e non sai se di gioia o se di tristezza per il tempo che passa e per com’eri una volta. Saranno il lavoro, i diritti sociali, l’antirazzismo, la democrazia, l’istruzione, la cultura. La voglia di combattere la precarietà, i licenziamenti, il razzismo, gli attacchi alla democrazia, alla scuola pubblica, alla cultura. Sarà il sindacato, tutta la sua storia e tutto il suo futuro, con le generazioni che s’incontrano, si fondono e si trasformano. Sarà tutto questo poi a riempire il Circo Massimo. In centinaia di migliaia, a perdita d’occhio. E di emozione.
E poi il viaggio di ritorno. Altri frizzi e lazzi, un po’ di sonno, caffé e panini di plastica. Alle dieci di sera sei di nuovo a Migliarina, davanti al Palasport della tua città. Sfinito, la scampagnata è stata piuttosto dura. Ti saluti, anche un po’ di fretta, perchè hai voglia di doccia e divano. E ti avvii verso casa, contento, perché sai di avere fatto una cosa giusta e di appartenere ad una comunità di gente perbene.