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da retescuole-Accidenti alla politica - di Vittorio Delmoro

Un insegnante normale, uno non troppo schierato politicamente, uno a cui la controriforma morattiana non piace, uno come tanti insomma, forse la maggioranza, di fronte alla proliferazione delle manife...

16/11/2003
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Retescuole

Un insegnante normale, uno non troppo schierato politicamente, uno a cui la controriforma morattiana non piace, uno come tanti insomma, forse la maggioranza, di fronte alla proliferazione delle manifestazioni nazionali del 29 novembre, che pensa?

Se vogliamo combattere la controriforma con tutti i suoi annessi (che non sto a ripetere), perché qualcuno va a Roma, qualcun altro a Bologna, a Napoli, a Milano? Non sarebbe ovvio andare tutti nello stesso luogo? E siccome il luogo simbolo della scuola non può che essere Roma (sede del Governo, del ministero e pure capitale), perché non si converge tutti lì?

Agli occhi (e al cervello) dell'insegnante normale questa proliferazione appare assurda, controproducente e persino strumentale (vedremo poi in che senso).

Non esistono motivazioni normali che giustifichino tali scelte, tranne che nella testa e nelle pratiche di chi le ha fatte.

Ecco perché è necessario scendere in politica; e scendere è proprio il termine giusto, perché si tratta proprio di scadere in quella politica di cui molti hanno le tasche piene (mi viene in mente Moretti e la sua recente supplica unitaria), di quella politica ideologica capace di giustificare anche le nefandezze, quando fanno gioco.

Il gioco di chi, appunto?

Cos'è in gioco in questa fase per il mondo della scuola italiana? E' in gioco la sussistenza della scuola pubblica, è in gioco la qualità educativa, è in gioco la democrazia rappresentativa, è in gioco l'idea stessa di educazione.

L'avversario che ci sta di fronte si chiama Letizia Moratti e il suo mostro controriformista, si chiama Giulio Tremonti per cui l'istruzione pubblica è solo un costo da tagliare, si chiama Silvio Berlusconi emblema personificato di cosa significhi crescere con quei valori.

Manifestare contro costoro è una delle forme più alte di espressione democratica del dissenso provocato dalle loro scelte, dissenso che aumenta il suo valore e il suo peso nella misura in cui è più unitario e numericamente consistente.

Potrei citare ora tutta la miriade di iniziative locali, settoriali, minoritarie sia in relazione alla scuola, che al di fuori di essa, iniziative significative, importanti, necessarie per far crescere la coscienza pubblica e la partecipazione e quindi irrinunciabili; ma che non hanno spostato di un centimetro quelle scelte nefaste.

Tranne una, che non è stata né locale, né settoriale, né minoritaria : i tre milioni in piazza a Roma il 23 marzo 2002.

Erano lì a difendere un diritto e il diritto è rimasto.

Ora non voglio certo lanciare accuse contro tutti quei colleghi, genitori, giovani, bambini che il 29 novembre manifesteranno a Bologna, a Napoli, a Milano (forse) e invece osannare quelli che andranno a Roma (come me) : stiamo comunque tutti dalla stessa parte ed abbiamo tutti gli stessi obiettivi. Ma appunto per questo, perché divisi?

Perché c'è di mezzo la politica, quella con la p minuscola.

Se infatti chiedete agli organizzatori di Bologna e di Napoli, perché non tutti a Roma, vi risponderanno con tutta una (lunga) serie di accuse agli odiati confederali (organizzatori di Roma), tra cui la troppo blanda piattaforma su cui è stata convocata la manifestazione nazionale.

Ma questo punto è un plateale palliativo, una scoperta scusa; se fosse un motivo vero avrebbero chiesto l'inserimento nella piattaforma rivendicativa di altri punti più sostanziosi, che se negati, avrebbero allora giustificato la dissociazione. Ma pensate che non avrebbero al fine trovato un punto così inviso ai confederali da determinare comunque una rottura?

Perché quello che interessa ai leader di questa scissione non è certo l'unità sulla sostanza, ma la separazione elitaria, con le conseguenze che dirò dopo.

Certo i confederali sono responsabili di tante cose negli anni trascorsi, e alcuni anche in anni recenti; ma questo non è argomento sufficiente in una fase come l'attuale; e non riconoscere nella CGIL l'unica forza reale attorno a cui far convergere tutto il dissenso possibile contro gli avversari, rappresenta un errore tattico di cui tutti quanti pagheremo il prezzo (come tutti quanti stiamo pagando il prezzo imposto da questo governo, dopo la spaccatura dell'Ulivo).

Dall'altra parte, da quella confederale, figuratevi con quale entusiasmo CISL e UIL (che si può dire stiano più che altro subendo questa manifestazione nazionale) tentino di far convergere su Roma gli odiati COBAS! Che se ne stiano il più lontano possibile! Pure loro presi innanzitutto dal tenere insieme una base scalpitante, mentre si siederebbero più volentieri ai numerosi tavoli della contrattazione. La CGIL sta lì nel mezzo un po' attonita; cosciente della propria forza e soprattutto della carica simbolica che si porta addosso (dopo Cofferati), cerca di tenere assieme l'unità sindacale, che è comunque un fatto positivo, soprattutto sotto gli aspetti prettamente politici e parlamentari, senza perdere spezzoni significativi di critici di sinistra.

Dipendesse da me, chiamerei a Roma tutti quelli che sono contro la politica governativa sulla scuola, da qualunque idea, ideologia, strategia o tattica animati, ciascuno coi suoi slogan, i suoi spezzoni di corteo e magari i suoi oratori; una pratica ormai largamente in uso in tutti gli appuntamenti dei social-forum.

Ma questo purtroppo non si verificherà (ho perso tutte le speranze); e quando Moratti e compagnia cantante sorrideranno dai media per le divisioni dell'opposizione che le potranno consentire di procedere come se niente fosse, ci si rimpallerà reciprocamente ogni genere di accusa; solo qualcuno sorriderà, più soddisfatto di Moratti : quei leader ideologizzati che potranno campare ancora a lungo nel loro splendido isolamento, soffiando sul fuoco di un'insoddisfazione diffusa che li troverà sempre pronti a rappresentarla, senza farla mai vincere.

14/11/2003

Vittorio Delmoro