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Dalle cento piazze 200mila no a Gelmini

Roma, Milano, Bologna, Torino, Bari: gli studenti rilanciano la sfida alla politica di tagli e autoritarismo. Ma per Mariastella «sono solo vecchi slogan» Cortei affollati in tutta Italia: la crisi ve la creiamo noi Aumentano le occupazioni e le scuole in agitazione

18/11/2010
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il manifesto

di Roberto Ciccarelli

Le cento piazze riempite ieri dai liceali e dagli universitari hanno anticipato la sfiducia al governo Berlusconi. Manca ancora un mese alla discussione alla Camera, e tutto deve ancora accadere, ma nella giornata mondiale del diritto allo studio 200 mila tra studenti, ricercatori, genitori e iscritti ai sindacati hanno ribadito l'opposizione alla riforma Gelmini dell'università, ai tagli da 8,5 miliardi di euro alla scuola e di 1,3 all'università, mentre il fondo di 87 milioni erogato alle 28 università private viene protetto dalle forbici di Tremonti (il taglio è «solo» di 3,2 milioni). È l'ultima tappa di una lunghissima prova di forza che il governo Berlusconi ha iniziato più di due anni fa e che oggi non ha alcuna intenzione di abbandonare, anche a costo di affrontare un vietnam parlamentare prima della sua annunciatissima fine.
Da parte degli studenti non giungono però segnali di stanchezza. Nel pieno di un autunno tormentato dalle polemiche di una maggioranza ridotta a brandelli, a Torino sono stati in tremila ad occupare la facoltà di matematica a Palazzo Campana, lì dove è iniziato il '68. A Roma, la città è stata messa a soqquadro dai cortei dei licei principali che sono confluiti in quello più grande - 10 mila persone - che ha «assediato» Montecitorio. «Di notte bunga bunga, di giorno finanzia le scuole private dei preti» si leggeva su uno striscione a Milano, dove la vetrina di una filiale della banca Fideuram in corso di Porta Romana è stata scheggiata e il vice-sindaco De Corato ha chiesto un «risarcimento» di 150 mila euro. La Flc-Cgil ha indetto un nuovo sciopero di 4 ore nelle università e di un'ora nelle scuole. «Sono solo vecchi slogan» è stato il commento sprezzante di Gelmini alle manifestazioni.
È noto che questa crisi, gli studenti, non la vogliono pagare sin dai tempi dell'Onda. Quello che però due anni fa era ancora un auspicio, oggi purtroppo è diventata realtà. E infatti sui binari della stazione di Torino, come nelle strade accanto al Pantheon di Roma, lo slogan è stato trasformato in un più radicale «la crisi ve la creiamo noi». Facciamo attenzione alle parole, anche perché buona parte di questa battaglia si gioca sul senso assegnato dagli attori in lotta. Per il ministro dell'Istruzione Gelmini, la «crisi» - quella che gli studenti hanno buone ragioni per rifiutare - è diventata sinonimo di «cambiamento». Questa retorica, stanca e ripetitiva, mette in scena un rovesciamento del senso comunemente attribuito a questo concetto: ogni opposizione alle «riforme» viene tradotta nella dialettica tra «vecchio» e «nuovo». La realtà gelminiana prevede, da un lato, l'esistenza di chi è affezionato allo «status quo» e, dall'altro lato, quella di chi manifesta il «coraggio di cambiare».
I conti però non tornano. E non solo perché i tagli all'intero sistema della conoscenza provocheranno il drastico ridimensionamento della formazione scolastica e universitaria. Ma soprattutto perché gli studenti - per età e per pragmatismo - guardano da sempre con un certo fastidio allo «status quo» preferendogli le ragioni di un serio cambiamento.
Allora occorre rovesciare il discorso dominante a partire dallo striscione esposto l'altra notte dagli studenti milanesi in via Festa del Perdono: «Statale occupata in sciopero contro la normalità». Una normalità che gli studenti baresi hanno tradotto in uno striscione esposto davanti al provveditorato del capoluogo pugliese: «A violenza rispondiamo conoscenza». Violenza dei tagli, certo. Ma la vera violenza del berlusconismo non è solo quella del rigore di bilancio, ma il taglio della complessità che per la destra al governo sarebbe stata diffusa dal '68, negando ogni possibilità di valutazione.
«Vogliamo creare menti semplici» ha dichiarato a suo tempo il ministro dell'Economia Tremonti. Forte di questo presupposto, sostiene lo scrittore (e insegnante) Girolamo De Michele ne La scuola è di tutti (Minimum Fax), il ministro Gelmini ritiene che tutto oggi deve essere classificato con i numeri, perché il giudizio e la libertà di ricerca introducono elementi di discrezionalità che spingono a coltivare un pensiero autonomo. È contro questo rischio che il governo sta agendo. Il suo obiettivo è riformare la mente degli italiani rispolverando i principi della semplificazione, della gerarchia e del nozionismo.
In una società «diseducante» che non sa cosa farsene di studenti iperqualificati e di ricercatori che chiedono libertà di movimento, invece di andare alla radice del problema, si prova a cambiare il problema dalla radice. E così si cancella la conoscenza, cioè lo strumento che permette la mobilità sul lavoro e l'autonomia nella vita.