Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Didaweb: La riforma che non c'è

Didaweb: La riforma che non c'è

La riforma che non c'è di D. Missaglia federazione scuola ricerca cgil Prime riflessioni sulle linee di indirizzo della Commissione ministeriale presieduta dal prof. Bertagna per la revisione...

13/11/2001
Decrease text size Increase text size
Didaweb

La riforma che non c'è
di D. Missaglia

federazione scuola ricerca cgil

Prime riflessioni sulle linee di indirizzo della Commissione ministeriale
presieduta dal prof. Bertagna per la revisione della legge 30/2000

Premessa

I tempi si fanno stretti, annunciano le news vicine al ministro Moratti
riferendosi ai lavori della Commissione per la revisione della legge
30/2000; e in effetti se si legge l'articolo del Prof. Bertagna pubblicato
sulla rivista "Autonomia e dirigenza" (n° 7-8-9), le linee di indirizzo
della Commissione iniziano a prendere contorni definibili.
Il Prof.Bertagna è uomo di studi; è stato membro della commissione per l'
attuazione della riforma dei cicli e dei curricoli al tempo del ministro De
Mauro e si ritrova ora a presiedere, con evidente comunità di intenti, la
commissione insediata per definire le linee della riforma Moratti o meglio,
come egli stesso precisa, per "correggere" la legge 30.
Nulla di sorprendente, ovviamente. Ogni persona ha la sua storia e le sue
convinzioni. Trovo semmai sorprendente che il Prof. Bertagna si affanni a
più riprese ad argomentare su un insieme di ragioni "tecniche" che avrebbero
motivato la sospensione prima e la revisione poi della legge 30. Come
vedremo queste ragioni tecniche non esistono; le ragioni sono tutte
politiche ed averle evidenziate fino in fondo avrebbe consentito un giudizio
più esplicito di quanto si possa fare ragionando "sull'implicito" che la
nuova riforma porta con sé. Ma procediamo con ordine.

Un'occasione mancata

Il Prof. Bertagna sostiene che la riforma dei cicli "non è potuta partire"
perché "non si era affatto pronti tecnicamente a partire". E aggiunge, per
convincere soprattutto se stesso, che quand'anche il centrosinistra avesse
vinto le elezioni, uno dei primi provvedimenti sarebbe stato "quello di
sospendere la riforma almeno per un anno".E' certamente vero che un organico
progetto attuativo della legge, con decorrenza 1 settembre 2001, non era
affatto pronto; tutti i sindacati, cgil in primo luogo, ne avevano
denunciato il ritardo e i limiti, ma questo non giustifica la sospensione
decisa dal governo.
Lo stesso Consiglio di Stato, nel parere in cui stigmatizza l'operato del
CNPI, aveva messo in evidenza come i mutamenti strutturali nei primi due
anni del ciclo di base sarebbero stati così tenui da non impedire, persino
nelle condizioni date (di organico e di orario) l'avvio della riforma, con l
'ottica di perfezionarla strada facendo secondo quel principio
"autocorrettivo" insito nella stessa legge 30.
E' questa la strada che il centrosinistra avrebbe ragionevolmente praticato,
accentuando il carattere di sperimentalità del percorso avviato anziché il
suo assetto " a regime". Ma anche il centrodestra avrebbe potuto praticare
un'altra possibilità. La scelta politicamente legittima di sospendere la
riforma (scelta maturata ben prima dei problemi "tecnici" di attuazione)
avrebbe potuto benissimo avvenire con altre modalità.
Il governo avrebbe potuto prendersi tutto il tempo necessario per pensare la
propria idea di riforma; avrebbe potuto proporre la sospensione come atto
insieme di realismo e di riapertura del confronto con le opposizioni e il
mondo della scuola e procedere, nello stesso tempo, a una sperimentazione
mirata della riforma coinvolgendo quota parte degli istituti comprensivi
(che sono già oggi oltre il 40% della scuola primaria) su ipotesi di
curricolo verticale anche differenziate (in 7 o 8 anni).
Le conseguenze non sarebbero state irrilevanti.
La scuola italiana, pur in presenza di orientamenti politici diversi, non
sarebbe diventata luogo di scontro; le riflessioni e il confronto sul futuro
della riforma avrebbero potuto svilupparsi tenendo conto delle esperienze
reali nel frattempo realizzate e valutate; gli insegnanti, soprattutto
quelli che in questi anni si sono misurati con la sfida dell'innovazione,
non sarebbero stati ricacciati in una passiva e demotivante condizione di
attesa.
Tra difficoltà tecniche della attuazione della riforma e la sospensione
della stessa non c'è dunque nessuna automaticità ma solo il peso di una
scelta politica che il governo ha voluto perseguire contro la riforma
Berlinguer. Che questa scelta sia stata poi contestuale a una campagna di
pieno appoggio alle politiche del buono scuola praticate da alcune regioni e
di attacco al ruolo e alla natura della scuola pubblica chiarisce fino in
fondo la distanza politica e non tecnica delle proposte in campo.

La scuola dell'infanzia e il ritorno della scuola elementare e media

Il colpo a sorpresa sta nella lunga e insistente apologia della scuola dell'
infanzia che occupa ben i due terzi delle riflessioni che investono l'intero
ciclo di base. Che succede?
Gli apprezzamenti sulla scuola dell'infanzia sono certamente tutti
condivisibili e forse il Prof. Bertagna avrebbe potuto in tal caso
riconoscere i meriti di chi in questi anni ha concorso fortemente a
realizzare questi risultati. La scuola dell'infanzia ha visto riformati i
propri Orientamenti pedagogici, i modelli organizzativi, l'aggiornamento e
la formazione iniziale degli insegnanti. La legge 30 ne ha riconosciuto a
pieno titolo la cittadinanza nel sistema di istruzione e formazione
vincolando il governo a una generalizzazione che aveva già preso le prime
mosse. Se il ministro Moratti vorrà ulteriormente valorizzare la scuola dell
'infanzia, ben venga. E non importa se a tutto ciò il Prof. Bertagna collega
una finestra per decantare il sistema pubblico-privato come regno della
libertà di scelta delle famiglie.
Sorprende invece che tra tante lodi alla scuola dell'infanzia resti l'
assoluto silenzio sulla reiterata richiesta che all'unanimità il CNPI ha
rivolto al Ministro per sbloccare una sperimentazione che aveva già trovato
ampia condivisione nelle stesse scuole, finalizzata alla definizione di
standard di qualità validi per tutto il settore e bloccata per decreto dal
Ministro Moratti. Una contraddizione che stride duramente con tanta
attenzione .
Quel che è certo è che il nuovo impulso alla valorizzazione della scuola
dell'infanzia consentirebbe la realizzazione delle condizioni per
riconoscere come "credito" la frequenza dei tre anni di scuola dell'
infanzia.
L'idea è interessante e sembra, nelle intenzioni del Prof. Bertagna,
funzionale a confermare la durata del percorso di istruzione a 12 anni. Ma
il modo con cui ciò potrebbe avvenire resta oscuro.
Se preso alla lettera, il ragionamento porta dritto alla tesi Berlinguer
dove la generalizzazione della scuola dell'infanzia apriva le porte a un
ciclo di base unitario e della durata di 7 anni. Ma la scelta è sospesa in
nome di un generico diritto al credito che potrebbe essere esercitato in
maniera "flessibile" lungo l'intero percorso dell'obbligo. Come ciò si
concili con l'organizzazione scolastica, gli organici, i curricoli ed anche
la tutela stessa del soggetto che apprende resta un mistero.
E il mistero resta per la semplice ragione che non volendo riaprire
conflitti sul versante della scuola di base, si delinea una sostanziale
riconferma dell'attuale assetto scuola elementare e media (5+ 3), ovviamente
con tanto di nuovi "programmi" (la parola è testuale), organizzazione, orari
e processi di continuità. Scompaiono così d'incanto i nodi più spinosi che
non sono né l'onda anomala ( risolvibile in tanti modi) né l'edilizia
scolastica (che resta già oggi un drammatico problema per la scuola italiana
cui vanno destinate risorse che non c'entrano nulla con le risorse per il
personale) ma i veri conflitti che il governo vuole rimuovere: la difesa a
oltranza degli ordini e gradi di scuola, la differenziazione tra maestri e
professori, l'introduzione di nuove figure e nuovi modelli organizzativi.
Problemi sui quali il Prof. Bertagna non esprime una sola considerazione.
Neppure quelle "tecnicamente" ineccepibili che in tutta Europa hanno
consolidato un ciclo unitario di base (al di là delle diverse articolazioni
interne) funzionale ad assicurare la personalizzazione dei percorsi
formativi.
E' in questo processo, denso di implicazioni pedagogiche e didattiche che si
costruiscono le attenzioni verso le differenze tra preadolescenti e
adolescenti che non c'entrano nulla con il permanere delle barriere tra
ordini di scuola.

Il ciclo secondario

In realtà tanta conservazione dell'esistente è funzionale ad introdurre il
pezzo forte della riforma a venire: il nuovo assetto del ciclo secondario.E'
qui che si consuma la rottura radicale , profonda, con il disegno delineato
dalla riforma dei cicli.
Intendiamoci, il disegno "tecnico" non è affatto chiaro. Molto si dice sui
limiti e le carenze della formazione professionale ma neppure una parola
sugli impegni concreti che il Ministro già oggi può assumere per sviluppare
la riforma della legge 196, per incrementare gli IFTS, l'educazione degli
adulti in forte crescita, le nuove esperienze di apprendistato. E nulla si
dice neppure della istruzione professionale, forse perché già assegnata
implicitamente alle Regioni nell'ottica della devolution .
Quel che è certo è l'ipotesi di un sistema duale secco che inizierebbe a 14
anni destinando una parte degli studenti verso i licei (vero canale di
eccellenza della scuola) e una parte verso una formazione professionale a
più livelli nettamente distinta dal canale scolastico (ed è davvero
platonico il formale richiamo a collegamenti e integrazioni con il mondo
della scuola e del lavoro). Non a caso l'obbligo scolastico verrebbe
annullato nell'obbligo formativo a 18 anni mettendo i ragazzi nella
condizione di scegliere a 14 anni il loro percorso di studi.
Si comprendono in tal modo due conseguenze importanti di questa scelta. Il
famoso diritto al credito (maturato con la frequenza della scuola dell'
infanzia) altro non è che il diritto ad abbreviare il proprio percorso di
scolarità (che infatti a 14 anni obbliga a scegliere tra istruzione e
formazione privando le fasce più deboli di un anno di scolarità di base). E
la scuola superiore verrebbe ridotta a 4 anni con conseguenze evidenti non
solo terreno degli organici ma sullo stesso profilo del ciclo secondario
assai più selettivo non avendo più quella funzione inclusiva e orientativa
propria degli ultimi anni dell'obbligo scolastico per tutti inserito nel
ciclo secondario.
Una prospettiva che non ha riscontri in Europa e che misura la differenza
politica e culturale con la legge 30.
In quella legge istruzione e formazione rappresentano un percorso unitario e
integrato funzionale ad assicurare a ciascuno il successo formativo. Il
principio dell'integrazione non è solo garanzia per chi apprende in termini
di reversibilità delle scelte, di opportunità. E' anche principio culturale
ed educativo. E' la fine del modello gentiliano e delle sue gerarchie
culturali e sociali che qui invece si riaffacciano con virulenza nella
precocità di scelte che porteranno con sé il peso dei contesti sociali di
provenienza dei ragazzi. Una prospettiva in cui una malintesa concezione del
"sapere disinteressato" rischia di negare la fecondità che in questi anni si
è espressa nella integrazione tra saperi diversi e forme di apprendimento
diverse. Rischia di riprodurre una idea di lavoro e di cultura del lavoro
separata e distante da una cultura umanistica; un'idea vecchia travolta dai
processi dal cambiamento di questi anni e contestata duramente nello stesso
mondo del lavoro e delle imprese.
Ma è proprio qui che il Governo mostra la sua identità e i suoi modelli
sociali di riferimento. Perché non è casuale che questa idea di riforma
avanzi nello stesso momento in cui il Governo presenta un "Libro Bianco" in
cui istruzione, formazione, Università e Ricerca non sono più i cardini
portanti di un modello di sviluppo che hanno segnato in questi anni le
politiche generali.
E' una scelta regressiva e classista che va contrastata innanzitutto
valorizzando e recuperando il valore del lavoro e delle esperienze che sono
state realizzate in questi anni con una ampia partecipazione di tanti e
diversi soggetti.

Dario Missaglia