DIECI (AP)PUNTI PER IL PROGRAMMA. UNA SCUOLA "UTILE" ALLE PERSONE, ALLA COMUNITÀ E AL PAESE
Bologna , 07/07/2005 DIECI (AP)PUNTI PER IL PROGRAMMA. UNA SCUOLA "UTILE" ALLE PERSONE, ALLA COMUNITÀ E AL PAESE ...
Bologna , 07/07/2005
DIECI (AP)PUNTI PER IL PROGRAMMA. UNA SCUOLA "UTILE" ALLE PERSONE, ALLA COMUNITÀ E AL PAESE
di Cidi dell'Emilia-Romagna
Domande aperte alle forze politiche per nuove idee, credibili e spendibili di politica scolastica nella prossima legislatura (a cura dei Cidi dell'Emilia-Romagna)
- Il disagio di questi anni
- Da dove ripartire: un metodo di lavoro aperto, una scuola utile per il paese
- I compiti formativi della scuola: istruire di meno, per educare di più?
- L'apprendimento, le conoscenze, il curricolo
- Le risorse necessarie: da spesa a investimento
- Autonomia della scuola, autogoverno, responsabilità diffusa
- Cultura dell'infanzia e qualità della scuola per i piccoli
- Scuola di base, tempo scuola e team docente
- 16 anni: un traguardo per tutti, poi una nuova secondaria, università e politecnici
- Gli insegnanti: professionisti preparati e rispettati
- Valutare per una scuola migliore e più equa
0. IL DISAGIO DI QUESTI ANNI
È sotto gli occhi di tutti lo stato di profondi malessere e di disagio vissuto dagli operatori scolastici, di fronte ad una "riforma" della scuola (quella avviata, tra molti contrasti, con la legge 53/2003) che non ha saputo conquistarsi adesione, motivazione, partecipazione e che oggi viene imposta con la forza di decreti frettolosi e di dubbia legalità. Crea sconcerto, poi, la presunzione culturale di chi (appunto, chi?) ha scritto programmi, obiettivi, indicazioni metodologiche ed organizzative, all'insaputa degli insegnanti, della comunità scientifica, del mondo della ricerca, e non accetta alcun confronto, discussione e pluralità di punti di vista. Addirittura, si vorrebbe imporre alla scuola un nuovo "linguaggio" pedagogico (personalizzazione, unità di apprendimento, profilo educativo, tutor), dandone una interpretazione "ufficiale" e facendo balenare l'idea di un sillabo dei termini vietati (curricolo, unità didattiche, team docente &). Ma la protesta non basta; bisogna andare oltre.
Una riforma calata dall'alto e vissuta con disagio e malessere
Ci sentiamo spesso ripetere, fino ai più alti livelli, che di fronte all'attuale politica scolastica ci sarebbero solo slogan, ostilità preconcette, risentimenti, ma nessuna concreta proposta di riforme praticabili. Da semplici donne e uomini di scuola, impegnati nell'associazionismo professionale degli insegnanti, non intendiamo rinunciare all'idea e alla pratica di una scuola della Costituzione, "aperta a tutti (art, 34)", accogliente e rigorosa, capace di offrire "benessere formativo" e pari opportunità di apprendimento. In questa ottica, vogliamo portare il nostro contributo "civile" e "professionale" alla costruzione di un progetto alternativo di riforma, anche in previsione di un prossimo ricambio alla guida del nostro Paese.
La nostra idea di scuola "secondo Costituzione"
Sappiamo che il bipolarismo porta all'alternarsi di maggioranze e minoranze, alla competizione tra programmi politici diversi e quindi tra modelli diversi di scuola. Questo è il "sale" della democrazia. Ma sappiamo che le riforme della Scuola sono processi di lungo periodo, da condividere e costruire con il più grande consenso possibile nella società e tra le forze politiche. Non ci pare che il metodo usato per il varo dell'attuale riforma (con l'abrogazione delle più importanti leggi precedenti) abbia portato grandi frutti. Per non aggravare l'attuale disorientamento dobbiamo prima di tutto e fin da ora raccogliere le migliori idee ed esperienze educative, in grado di dare un senso di utilità ai nostri giovani e al nostro Paese, per poi trasformarle in concreti processi di innovazione. Abrogazioni, modifiche di norme, nuovi provvedimenti legislativi e amministrativi andranno commisurati alla qualità delle nuove proposte programmatiche. La scuola non può essere sottoposta a continue fibrillazioni, ma deve essere orientata sulla "lunga durata".
Riforme condivise e orientate sulla lunga durata
1. DA DOVE RIPARTIRE: UN METODO DI LAVORO APERTO, UNA SCUOLA UTILE
LA DIAGNOSI
La scuola che abbiamo non riesce ad essere un fattore di sviluppo e di crescita per le persone (conta di più il retroterra familiare e sociale) e per il nostro paese (che sta scivolando ai margini dell'innovazione, della ricerca, della conoscenza). Dedichiamo poche risorse all'educazione (rispetto all'Europa), i confronti internazionali sui risultati scolastici sono deludenti, c'è un'emergenza sul piano delle conoscenze scientifiche e tecnologiche, ma anche le dimensioni espressive sono in uno stato di sofferenza (v. ad esempio, la cultura musicale). Nessuno si vuole assumere la responsabilità di questa situazione a rischio di degrado; la riforma approvata nell'ultima legislatura non affronta questi problemi, si accontenta di riverniciare le "parole" e riduce di fatto gli impegni pubblici verso la scuola. Una scuola a rischio, che indebolisce il nostro paese
LA PROPOSTA
Una riforma deve esprimere un progetto di scuola che risponda a domande vere: di cittadinanza attiva, di pari opportunità, di formazione al vero e al bello, di stimolo all'innovazione. Per cooperare e per competere, per essere cittadini e "produrre" ricchezza. Una scuola utile e disinteressata, allo stesso tempo. Una riforma sostenibile e praticabile deve essere capita dall'opinione pubblica (e quindi capace di garantirsi nel tempo un convinto consenso politico), riconosciuta dalle forze sociali ed economiche (e quindi in grado di ottenere le necessarie risorse finanziarie, pubbliche e private), condivisa dagli operatori scolastici (e quindi voluta e desiderata dagli insegnanti in primo luogo, per essere effettivamente praticata), dotata di "senso" per i ragazzi stessi (perché una formazione efficace è un percorso impegnativo che richiede un attivo coinvolgimento dei diretti interessati). La costruzione di un progetto solido e condiviso esige in primo luogo una diagnosi rigorosa, ma partecipata, delle caratteristiche attuali della nostra scuola (i suoi punti di forza ed i suoi punti di criticità). È indispensabile l'apporto della comunità scientifica e professionale; è necessario un confronto "vero" e serrato; vanno garantiti spazi effettivi di pluralismo e di condivisione delle soluzioni. Una riforma sostenibile e capita: dagli insegnanti, dagli studenti, dall'opinione pubblica
LE DOMANDE APERTE
Qual è il mandato che la società affida alla sua scuola? È disposta a grandi "investimenti" sulla formazione delle nuove generazioni? Come possono gli insegnanti stimolare questa domanda, raccoglierla ed interpretarla professionalmente? È necessario svolgere un'ampia consultazione tra gli operatori scolastici? Tra i genitori? Nella società? Come evitare che si apra solo un grande dibattito, senza che poi si traduca in concreti progetti di miglioramento della scuola? Come stimolare un'effettiva partecipazione del mondo della cultura, dell'opinione pubblica, degli operatori scolastici? È più utile procedere con grandi "affreschi" sulla nuova scuola, oppure è più saggio perseguire alcuni, pochi ma chiari, elementi di discontinuità rispetto all'andazzo di oggi, orientando lo sviluppo della scuola con coerenti azioni amministrative e risorse (meno studenti per classe, meno materie nelle superiori, docenti meglio pagati e selezionati)? Un dibattito aperto, ma anche decisioni concrete e risorse
2. I COMPITI FORMATIVI DELLA SCUOLA: ISTRUIRE DI MENO, PER EDUCARE DI PIU?
LA DIAGNOSI
L'elaborazione di programmi ed obiettivi per la scuola della "riforma" in questi ultimi anni sta avvenendo in modo poco trasparente, con scelte culturali e pedagogiche discutibili ed unilaterali. Non è mai stata istituita nessuna pubblica commissione di studio. I nuovi documenti, del tutto provvisori, fanno registrare uno spostamento verso il tema dei valori, dei comportamenti, delle responsabilità (v. il profilo educativo di uscita per i 14enni ed i 18enni), ma senza un chiaro rapporto tra formazione "etica" e formazione "culturale". Ci sembra che manchi l'idea che la scuola forma le "persone" in primo luogo tramite la trasmissione di un patrimonio culturale comune, che è garanzia di identità, di cittadinanza, di appartenenza allo stesso Paese. Un malinteso concetto di personalizzazione fa pensare ad una scuola dove ciascuno corre per sé, secondo le proprie dotazioni di partenza, rendendo ininfluente l'esperienza del vivere ed apprendere insieme a scuola. Individui soli, isolati, in competizione tra di loro, piuttosto che "persone" in relazione con l'una con l'altra, capaci di responsabilità e di solidarietà Nuove indicazioni elaborate al buio, con concetti discutibili
LA PROPOSTA
Gli indirizzi di studio (quelli che una volta avremmo definito "programmi") nazionali devono rispecchiare una piattaforma culturale di larga convergenza, di rilevanza costituzionale, una cornice condivisa capace di favorire l'evoluzione positiva del sistema educativo. Il nucleo "essenziale" di tali indicazioni rappresenta il "livello essenziale delle prestazioni" da assicurare ai cittadini e consente di individuare i traguardi (standard) formativi da proporre a tutte le scuole, come base delle verifiche e delle certificazioni dei risultati raggiunti dagli allievi. Tali obiettivi prescrittivi devono essere sobri, chiari e comprensibili, e riferirsi al quadro di conoscenze, competenze e regole di comportamento che ci si attende dagli allievi al termine di ogni ciclo scolastico. La formazione di menti critiche, aperte al dialogo, al rispetto, resta l'obiettivo fondamentale di ogni scuola. In questa prospettiva va recuperato il tema della responsabilità personale di ogni studente nel costruire il proprio percorso e nel misurarsi con le prove di verifica, ad esempio con un serio sistema di esami di stato di fine ciclo. Occorre fissare traguardi educativi chiari ed essenziali
LE DOMANDE APERTE
Come è possibile dare un "senso" profondo all'incontro dei ragazzi con la cultura ed i saperi? Come possono i "saperi" dialogare con la vita dei ragazzi? È possibile affrontare il tema delle "life skill" (abilità per la vita) in termini di capacità di iniziativa, autonomia, responsabilità, collaborazione, gestione dei conflitti, senza perdere di vista la specifica funzione della scuola (di tirocinio e di stimolo all'apprendimento continuo)? Come dare un valore "educativo" alle discipline di studio? Come farle vivere nella vita della classe? È solo un problema di mediazione culturale e di comunicazione efficace tra adulti ed allievi o sono in gioco "crisi" più profonde, sia nei saperi, sia nella vita delle persone? Recuperare il valore "formativo" delle discipline
3. L'APPRENDIMENTO, LE CONOSCENZE, IL CURRICOLO
LA DIAGNOSI
Gli ultimi provvedimenti sulla scuola hanno provocato una situazione di forte e diffuso malessere, che tuttavia non deve dissimulare il deficit o la labilità di conoscenze e di competenze, che molti nostri giovani manifestano. Una giusta enfasi sulle innovazioni di processo (il lavoro di gruppo, il metodo di studio, l'imparare ad imparare) rischia di far dimenticare la necessità di modificare profondamente il curricolo e di innovare i contenuti (il prodotto), il profilo formativo in uscita e di elevare il livello di conoscenza in alcune specifiche discipline di studio. Lo Stato (la Repubblica) dovrebbe assumersi precisi obblighi in merito. Recuperare la padronanza di conoscenze e abilità di base
LA PROPOSTA
Il problema della competizione del nostro sistema scolastico non è questione di cui è possibile disinteressarsi. La scuola ha senso se esprime anche un valore aggiunto per il Paese e per la comunità e non "solo" per la persona. L'obiettivo di "più istruzione = più inclusione" assegna alla Scuola il compito di procedere sulla strada della ricerca, dell'innovazione del curricolo e del "prodotto culturale" con particolare attenzione all'ambito matematico-scientifico e tecnologico e alla diffusione di una positiva cultura del lavoro, da recuperare fin dall'avvio della Scuola secondaria superiore e da sviluppare in un rapporto più serrato tra percorsi universitari, ricerca e mondo del lavoro. Un organismo scientifico e culturale autonomo, permanente e pluralistico, in dialogo diretto con il Parlamento ed il mondo della scuola avrà il compito di elaborare e rinnovare nel tempo i programmi di studio e le indicazioni curricolari. Centralità nel curricolo delle conoscenze linguistiche e matematico-scientifiche
LE DOMANDE APERTE
Il deficit di istruzione che è stato recentemente rilevato anche dalle indagini specializzate (OCSE-PISA, InValSi) è un dato di cui una riforma deve occuparsi e farsi carico? Tali indagini o rilevazioni sono da rinviare al mittente come "prove puramente inattendibili"? Come incentivare la formazione di strategie di pensiero (in termini di capacità di porre, affrontare e risolvere problemi)? Su quali ambiti disciplinari è urgente e utile recuperare l'innovazione di contenuti (conoscenze, profili formativi)? È compito delle Scuole procedere autonomamente sulla strada dell'innovazione e della ricerca (scuola e territorio) o fa parte del mandato più generale che un Paese affida all'intero sistema scolastico? A chi spetta fissare standard e verificarli?
4. LE RISORSE NECESSARIE: DA SPESA A INVESTIMENTO
LA DIAGNOSI
Disegni ambiziosi richiedono risorse coerenti. Le riforme di questi anni sono sempre state annunciate a costo zero. I costi dell'istruzione sono state considerati "spesa", mentre andrebbero contabilizzate tra le voci di investimento. Un obiettivo politico credibile è aumentare le risorse per la formazione almeno dell'1% del Prodotto Interno Lordo in un quinquennio, per raggiungere lo standard medio europeo. Questo significa passare dall'attuale 5% al 6%, da realizzare concretamente con un avvicinamento annuo dello 0,2%.
Si spende troppo poco per l'istruzione, meno che nel resto d'Europa
LA PROPOSTA
L'incremento di risorse (mediamente un miliardo e mezzo di euro aggiuntivi ed incrementali per ogni anno della nuova legislatura: 3.000 miliardi annui di vecchie lire) deve consentire di: - qualificare le 56.000 strutture scolastiche del nostro Paese come funzionali ambienti di apprendimento (con un piano pluriennale di ammodernamento delle scuole, delle dotazioni, della sicurezza); - far fronte a nuovi problemi di inclusione e pari opportunità (infanzia, disagio, difficoltà, recupero, handicap, multiculturalità, ecc.) - promuovere l'eccellenza dei risultati, con particolare riferimento agli apprendimenti linguistici (ivi comprese le lingue straniere), matematici e scientifici (ivi comprese le nuove tecnologie della comunicazione); - valorizzare le professionalità degli operatori scolastici, ridurre le forme di precariato, incentivare profili di sviluppo professionale e di carriera.
Almeno l'1% del reddito nazionale in più per finanziare l'istruzione
Strutture, Nuovi bisogni educativi Aree di eccellenza, Professionalità docente
LE DOMANDE APERTE
Non basta prendere atto che le "risorse non ci sono" e accontentarsi di qualche intervento marginale. È possibile immaginare una "tassa di scopo" per aumentare le risorse per la scuola, la ricerca, la formazione, attraverso la tassazione di alcune posizioni di vantaggio sociale? È comunque praticabile dirottare verso i giovani risorse destinate agli adulti? "Meno ai padri, più ai figli" è uno slogan praticabile?. Ci sono aree di spreco nel sistema scolastico su cui intervenire? Accantoniamo definitivamente l'idea di finanziare in parte la riforma con una diversa e più contenuta durata della scolarizzazione (uscita a 18 anziché a 19 anni?). Insomma, come costruire un circolo virtuoso tra costi della scuola, investimento sulla formazione, innovazioni, produzione di ricchezza e risorse?
Dove trovare le risorse necessarie?
5. AUTONOMIA DELLA SCUOLA, AUTOGOVERNO, RESPONSABILITA' DIFFUSA
LA DIAGNOSI
Cos'è stata l'autonomia in questi primi anni? Abbiamo l'impressione che siano state privilegiate la dimensione gestionale-organizzativa (i tanti micro-progetti), la responsabilizzazione di pochi (il dirigente e il suo staff), la competizione e l'autarchia delle scuole (& alla ricerca di utenti e di risorse). Si è parlato poco di ricerca, di innovazione, di autogoverno della didattica. Riaffiora un centralismo statalista che pretende di entrare nei dettagli e nella precettistica didattica. Autonomia: è una bella intuizione lasciata in mezzo al guado, con il rischio di trasformarsi nel "fai da te", nell'arte dell'arrangiarsi&o nel rincorrere tutte le istanze, i tavoli, le concertazioni, con l'impressione di un affanno senza risultati concreti. Intanto, le proposte di ulteriore riforma della Costituzione ("devolution") contengono il rischio di una frantumazione del sistema scolastico nazionale, con il prevalere di interessi e di pressioni localistiche. Ben diverso è il federalismo solidale che deve consentire di valorizzare le autonomie e l'iniziativa dei cittadini, degli enti locali, delle scuole autonome, in un quadro nazionale di garanzia. Ma anche l'attuazione dell'attuale nuovo Titolo V va studiata con cura.
Autonomia scolastica: in mezzo al guado, quasi un "fai da te"&
LA PROPOSTA
L'autonomia delle scuole, in una ottica di rete e cooperazione territoriale, è uno strumento indispensabile per l'autoriforma della scuola. Si devono però creare le condizioni per reali spazi di decisione all'interno della scuola, in uno spirito di autogoverno e condivisione, nella gestione delle risorse, nella definizione dei progetti di intervento. Questo diventa possibile a partire dalla capacità di operare in rete (senza eccedere nella retorica), con il sostegno del sistema degli enti locali, con cui vanno sottoscritti "patti educativi territoriali" (tenendo a freno le spinte corporative e opportunisitiche). All'interno di questo processo di assunzione di responsabilità le famiglie devono sentirsi rimotivate a pensarsi e ad operare per una scuola come "ambiente educativo, di crescita individuale e collettiva e di apprendimento". Condizione indispensabile di ogni riforma è il richiamo ai diversi livelli di responsabilità "pubblica": Stato, Regioni, Province, Comuni e Scuole autonome. I compiti amministrativi e gestionali relativi alle scuole possono essere affidati alle autonomie locali (attuando le competenze delle Regioni previsti dal Titolo V della Costituzione; ma i compiti di indirizzo, la definizione di obiettivi culturali, l'individuazione di standard, i controlli di efficacia e qualità, le certificazioni devono rimanere di sicura pertinenza dello Stato.
Autogoverno effettivo, scuole in rete, rapporto senza sudditanza con il territorio
LE DOMANDE APERTE
Fin dove spingere i caratteri federali del nostro sistema scolastico? È opportuno affidare la gestione dei docenti alle Regioni? Va eliminata del tutto la presenza periferica dello Stato e del MIUR? A chi affidare le decisioni sulla quota locale del curricolo? A chi i compiti di controllo e valutazione? Come rilanciare e valorizzare il ruolo dei Dirigenti Scolastici, figure strategiche in grado di dare respiro alle scelte di un istituto autonomo (o di mortificarle)? Per riformare la scuola, è sufficiente responsabilizzare le scuole, metterle in movimento con l'autonomia, farle dialogare con le domande del territorio ed i compiti di programmazione di Regione ed Enti locali? È prioritario procedere con innovazioni degli ordinamenti scolastici (attraverso processi legislativi ed amministrativi) o piuttosto accompagnare i cambiamenti che scaturiscono dal basso e si realizzano all'interno delle scuole? Che senso dare alla responsabilità individuale di genitori e famiglie, che quotidianamente si trovano a dare risposte di senso e di significato sul ruolo e sulla funzione della Scuola? La scuola è pensabile come luogo di promozione, liberazione, emancipazione, progresso, crescita individuale e collettiva oppure è diventato ormai un semplice bene sociale di consumo? Per un federalismo "ragionevole", per non frantumare la scuola
6. CULTURA DELL'INFANZIA E QUALITA' DELLA SCUOLA PER I PICCOLI
LA DIAGNOSI
L'aumento delle nascite, i processi di immigrazione, nuovi stili di vita richiedono una espansione dei servizi educativi pubblici rivolti all'infanzia (asili nido e scuole dell'infanzia), nell'ottica 0-6 anni. Oggi tali servizi sono del tutto insufficienti in numerose città italiane. Un'esperienza così fondamentale nella formazione dei piccoli è messa a rischio, sia per la carenza di strutture, di personale, di istituzioni in grado di far fronte ad una domanda crescente, sia per la "manomissione" dell'identità pedagogica operata con l'azzardata manovra del "doppio" anticipo scolastico, alla materna ed all'elementare, che conferisce alla scuola dell'infanzia una durata variabile (di 2-3-4 anni) sulla base delle scelte delle famiglie.
Una scuola dell'infanzia ancora troppo fragile e non per tutti
LA PROPOSTA
Èurgente una risposta di qualità per le fasce di età 0-3 e 3-6 anni, come sistema educativo coerente con la cultura e i diritti dell'infanzia del nostro paese: in un'ottica di integrazione dei servizi educativi, con un governo pubblico degli standard qualitativi e pedagogici (tra i quali un rapporto medio di bambini per sezione di scuola dell'infanzia pari a 1:20). Per il settore 0-3 va realizzata la progressiva estensione del servizio educativo, raggiungendo gli standard europei di copertura del 30% dell'utenza potenziale (oggi solo al 7%), con appositi stanziamenti aggiuntivi. Una scuola dell'infanzia di qualità, che accolga il 100% dei bambini in età 3-6 anni, rappresenta una valida alternativa all'anticipo scolastico, rispettando meglio le caratteristiche dell'età evolutiva. Va affermato in modo esplicito che la frequenza della scuola dell'infanzia rappresenta un diritto soggettivo da tutelare e non una semplice opportunità da generalizzare. Indicatori di qualità per i servizi educativi 0-3 e 3-6 anni
LE DOMANDE APERTE
È opportuno accentuare il collegamento pedagogico ed organizzativo 0-6 anni, con una più marcata interpretazione socio-educativa di questo segmento formativo? Oppure, considerare come percorso a sé la scuola dell'infanzia 3-6 anni? Come "governare" l'attuale pluralismo di gestione? Quali le alternative praticabili dell'anticipo scolastico nella scuola dell'infanzia (estensione dei nidi, sezioni "ponte", servizi sperimentali, ecc.)? Va pensata una struttura ad hoc per i bambini di 2 anni (sull'esempio di alcune iniziative sperimentali già realizzate in alcune regioni italiane)? Quali modelli di continuità per riassorbire l'ansia di anticipo verso la scuola elementare che molti genitori manifestano, soprattutto in alcune regioni?
Come affrontare la questione dell'anticipo?
7. SCUOLA DI BASE, TEMPO SCUOLA E TEAM DOCENTE
LA DIAGNOSI
La scuola elementare considera immotivato l'accanimento con cui in questi anni si è cercato di cancellare le "radici" e le "ragioni" della riforma realizzata negli anni '80 (nuovi programmi, pluralità dei docenti, lavoro per discipline). La scuola elementare gode di un alta fiducia dei genitori e dell'opinione pubblica, che non condividono il "senso" delle novità introdotte. È comunque necessario riflettere sulla storia recente della scuola elementare, sulle sue trasformazioni, su qualche eccessiva rigidità (e frammentazione di presenze), sui risultati effettivamente ottenuti. Questa riflessione va svolta insieme alla scuola media, rilanciando il tema della "formazione di base". I migliori risultati scolastici si ottengono in Europa in quei paesi che hanno scuole di base "lunghe", dove magari si posticipa l'inizio della scolarità, con ricchezza di strutture e di risorse (non necessariamente con tempi scuola lunghissimi).
Scuola elementare: la più amata dagli italiani
LA PROPOSTA
Va promosso il consolidamento della formazione di base, attraverso la generalizzazione degli istituti comprensivi (e il potenziamento di un organico funzionale dei docenti di tale istituzione, come stimolo allo scambio professionale e all'arricchimento delle esperienze). Va ripresa e sostenuta la ricerca di curricoli verticali e coerenti (per evidenziare il valore formativo dei saperi, l'unitarietà delle conoscenze, il senso del curricolo come contesto di apprendimento). Il curricolo verticale si esplica attraverso bienni e periodi didattici di raccordo tra i diversi segmenti, definiti in piena autonomia dalle scuole. L'offerta unitaria di tempo scuola obbligatorio mano a mano che si procede verso i gradi scolastici più alti- potrebbe comprendere una quota di opzionalità (cioè di attività scelte dai ragazzi per favorire la loro partecipazione, la motivazione e l'autonomia nello studio). L'organizzazione del lavoro dei docenti si ispira alla condivisione del progetto, alla pari responsabilità, all'unitarietà ed al coordinamento, all'affinamento delle funzioni di cura educativa e tutorato dell'apprendimento.
I punti di forza della scuola di base: curricoli in continuità, tempi distesi, team docente
LE DOMANDE APERTE
Èopportuno rendere obbligatorio, nell'arco di alcuni anni, la organizzazione di tutte le scuole di base in istituto comprensivi? Quali le condizioni per sostenere questa scelta (di organici, di supporti amministrativi, di eque dimensioni)? È necessario garantire la massima unitarietà del tempo scuola obbligatorio, ma anche salvaguardare l'esigenza di flessibilità e di attenzione ai bisogni dei soggetti. Quali i tempi ottimali per la scuola? Con quali differenziazioni tra un livello e l'altro? Si può immaginare un tempo scuola inizialmente ampio e protettivo, che lascia via via spazi più flessibili di organizzazione delle esperienze di apprendimento? Il tema delle funzioni di cura educativa, di relazione e di tutorato possono essere affrontati in piena condivisione e senza creare gerarchie? Come realizzare funzioni di coordinamento utili e non burocratiche? Come reinterpretare la pluralità dei docenti nella scuola elementare e contenere l'eccessiva frammentazione delle discipline nella scuola secondaria?
Nodi problematici: istituti comprensivi, classe-gruppi-laboratori, funzioni tutoriali
8. SEDICI ANNI: UN TRAGUARDO PER TUTTI, POI UNA NUOVA SECONDARIA, UNIVERSITÀ E POLITECNICI
LA DIAGNOSI
Il punto di maggiore criticità della legge 53/2003 (e dei suoi decreti applicativi) è la precoce distinzione dei destini scolastici e sociali dei giovani a 14 anni, in due canali formativi (liceale e professionale) che anche per la diversa gestione prospettata (Stato e Regioni) diventerebbero due sistemi non comunicanti. Il confronto con l'Europa (e non solo) richiede un aumento del profilo culturale della nostra popolazione, attraverso l'estensione e la generalizzazione dell'istruzione superiore. È impensabile che l'obbligo scolastico sia ancora fermo a quanto deciso nel 1962 con la riforma della scuola media.
Ancora fermi con l'obbligo a 14 anni, come nel 1962
LA PROPOSTA
Lo sviluppo della società della conoscenza, le ragioni della democrazia e della cittadinanza, lo stimolo della competitività internazionale devono impegnare il nostro paese a garantire una più elevata formazione culturale a tutti i cittadini fino alla maggiore età (e oltre) e per almeno due anni obbligatoriamente nella scuola superiore, quindi fino a 16 anni. Tale opportunità deve essere realmente praticabile ed appetibile per i ragazzi, i genitori e gli insegnanti. Implica un rinnovato biennio "unitario" di forte identità pedagogica e didattica, in termini di ricerca metodologica, di integrazione tra diverse opportunità formative, di nuove risorse didattiche, di specifica professionalità docente. Una "modernizzazione" e semplificazione degli indirizzi secondari, con assi culturali visibili (ciascuno caratterizzante un'area, un campus di saperi e di pratiche, ecc.), può creare un legame tra cultura, lavoro, istituzioni culturali, centri di ricerca, università, per assicurare una pluralità di opportunità in uscita verso l'istruzione universitaria, la formazione tecnica-superiore, l'esperienza del lavoro. La dislocazione coordinata di sedi, indirizzi, opzioni, può agevolare il diritto allo studio ed un risultato positivo per tutti al termine dei diversi percorsi di istruzione/formazione secondaria, realizzando il principio dell'obbligo "formativo" e del diritto-dovere almeno fino a 18 anni. Garantire la formazione a scuola, fino a 16 anni, con forme innovative
LE DOMANDE APERTE
L'espansione della scuola superiore obbligatoria è lo scoglio di tutte le riforme, anche in Europa. In quali forme può essere utilmente tradotta nel contesto italiano? Come immaginare un nuovo biennio unitario di scuola superiore? Come mettere in gioco l'apporto di tutte le risorse educative (non solo quelle strettamente scolastiche)? Come intervenire nei confronti di una quota di ragazzi non motivati e disponibili verso l'esperienza scolastica? Serve un serio "tutoraggio" degli allievi a rischio e in difficoltà? Quale spazio dare alla cultura tecnologica, all'operatività, ai laboratori in un biennio che si rivolge a tutti gli studenti? Che dire dell'integrazione dei diversi sistemi? Che interpretazione si può dare all'idea di un"campus" (cioè di un insieme di strutture scolastiche che comprenda più indirizzi o opportunità? Quali le interpretazioni possibili e le conseguenze del Titolo V della Costituzione che sembra affidare alle Regioni l'istruzione e formazione professionale? Come "ricollocare" la formazione professionale, vera Cenerentola del nostro sistema? La scuola secondaria esige certamente una minore frammentazione disciplinare ed oraria; ma come mai il dibattito sui "saperi essenziali" non è mai effettivamente decollato? Perché obiettivi, orari, discipline, cattedre si moltiplicano all'inverosimile?
Come immaginare un "nuovo" biennio unitario?
9. GLI INSEGNANTI: PROFESSIONISTI CONSAPEVOLI E RICONOSCIUTI
LA DIAGNOSI
La demotivazione degli insegnanti è sotto gli occhi di tutti; la faticosità del lavoro in classe, dei rapporti con i ragazzi e con le famiglie è un dato emergente. Il "senso" dell'insegnamento appare in crisi. Le riforme attuali considerano però gli insegnanti come semplici destinatari, esecutori, applicatori di proposte decise altrove, poco trasparenti, non rispettose della cultura professionale di tutti. Mai, come in questo periodo, è sembrato affiorare un "lessico pedagogico di stato". Gli spazi di autonomia dei docenti, anziché aumentare, diminuiscono. Le case editrici produttrici di testi sono apparse assai più attente alle "sirene" del fatturato che non alle reali esigenze dei docenti. Insegnanti, figli di un "dio minore"?
LA PROPOSTA
Un coraggioso riconoscimento della professionalità (per vivere con competenza, passione, impegno la propria professione), è una condizione necessaria per ogni idea di riforma. La previsione di un curriculum professionale del docente, la definizione di uno stato giuridico di standard europeo, l'articolazione di una carriera, sono elementi da tradurre non solo in termini economici, ma anche in benefit di tempo liberato, di responsabilità, di riconoscimenti, di opportunità (periodi sabbatici). Occorre restituire una esplicita visibilità sociale agli impegni di lavoro oggi richiesti agli insegnanti (e a tutti gli altri operatori) nella scuola dell'autonomia. Un sistema di crediti formativi e professionali, utilizzabili per il proprio sviluppo e miglioramento professionale, deve incentivare attività di ricerca, progettazione, autovalutazione. Va rilanciata l'idea di un organico funzionale che assicuri alle scuole un quadro stabile e rafforzato di operatori (docenti, figure professionali, personale di supporto) per far fronte alle esigenze di una offerta formativa ricca e articolata. I posti vacanti devono essere "coperti" con personale stabile: è un principio elementare per il corretto funzionamento della scuola e va onorato con priorità. Una professionalità europea, con doveri, diritti e riconoscimenti
LE DOMANDE APERTE
Èsufficiente incentivare percorsi professionali con riconoscimenti parziali (incentivi, ecc.) oppure occorre definire un sistema differenziato di livelli di carriera (es.: docente principiante, ordinario, esperto)? Come affrontare il problema della valutazione della professionalità? Con quali criteri, modalità, strumenti, finalità? Quale ruolo attribuire al Dirigente scolastico? La formazione permanente in servizio dovrebbe tornare ad essere obbligatoria per tutti i docenti? Ed il reclutamento: va affidato totalmente alle Università? Quale margine di discrezionalità lasciare alle scuole per acquisire le competenze professionali necessarie? Nelle aree e scuole più difficili è opportuno "scegliere" i docenti e garantire una maggiore continuità, anche attraverso consistenti riconoscimenti? A chi spetta il diritto di iniziativa in materia di sviluppo professionale: solo ai sindacati? Solo al Parlamento? Solo al Governo? Quale ruolo viene richiesto alle associazioni professionali?
Due tabù: la carriera e la valutazione dei docenti
10. VALUTARE PER UNA SCUOLA MIGLIORARE E PIU' EQUA
LA DIAGNOSI
Il sistema di valutazione avviato in questi mesi con l'adozione di prove generalizzate di apprendimento suscita notevoli perplessità. Non è chiaro l'uso che si intende fare di tutte queste informazioni; non è chiaro il rapporto tra prove strutturate ed obiettivi formativi degli allievi; c'è il rischio che le prove condizionino la "didattica"; non sono trasparenti i criteri di scelta e di costruzione degli strumenti; manca un chiaro rapporto tra valutazione esterna ed autovalutazione. Schede di valutazione, portfolio, prove strutturate sembrano strumenti burocratici e comunque dai significati largamente oscuri. Tutto questo mette a rischio una condivisa cultura della valutazione, su cui le scuole si stavano impegnando nell'ambito della loro autonomia.
Valutazione non ossessiva e non burocratizzata
LA PROPOSTA
Un sistema di valutazione nell'ottica della rendicontazione democratica e della scientificità, della trasparenza, deve saper distinguere tra i diversi livelli ed oggetti della valutazione: gli apprendimenti degli allievi, l'organizzazione della scuola e l'insegnamento, il sistema scolastico nel suo complesso. Vanno avviate rigorose ricerche sugli standard di apprendimento (con una costruzione condivisa dalle scuole), sulla certificazione delle competenze (con l'individuazione di criteri nazionali), sul riconoscimento delle professionalità degli operatori. Solo in tal modo l'enfasi sulla valutazione può tradursi in una opportunità di regolazione e di miglioramento del sistema educativo (intrecciando autovalutazione, valutazione esterna e accreditamento sociale). Va salvaguardato il valore "legale" e soprattutto reale del titolo di studio, con una certificazione pubblica, con il riferimento a standard nazionali ed europei, ripristinando la serietà del sistema degli esami e della valutazione. La valutazione come regolazione e responsabilità nel miglioramento
LE DOMANDE APERTE
È possibile (opportuno, necessario) misurare le competenze che gli allievi raggiungono al termine del percorso degli studi? Come si certificano i risultati raggiunti, per salvaguardare il valore dei percorsi di studio? Come definire gli standard di apprendimento senza "frantumare" la complessità della formazione dei ragazzi? Sono affidabili gli attuali sistemi di accertamento della conoscenza (test, esami, scrutini, ecc.)? Esistono alternative praticabili? Quanto di autovalutazione, quanto (e come) di valutazione "esterna"?
Nodi critici: competenze, standard e certificazione
Luglio 2005
Cidi dell'Emilia-Romagna: Bologna, Forlì, Modena-Vignola, Imola (BO), Cesena (FC), Faenza (RA), Cesenatico (FC), Rimini.
Per osservazioni, contatti, opinioni, richieste, scrivere a CIDI EMILIA-ROMAGNA, Via Andrelini 59 47100 Forlì. Utilizzare la posta elettronica all'indirizzo: cidifo@mclink.it