Difendere la Carta per difendere noi stessi
La battaglia per la Costituzione
Nicola Tranfaglia
Oggi gli italiani diranno, con il linguaggio pacifico di una grande manifestazione, a Roma e in altre 80 città della penisola e milioni di tricolori alle finestre, che la difesa della Costituzione e quella della scuola pubblica sono battaglie congiunte e indivisibili. Speriamo che le tv e i giornali di proprietà del capo del governo o da lui controllati se ne accorgano. L’articolo 64 della legge 133 del 2008 intende tagliare 87.400 posti di insegnante e non è lontano dal raggiungere l’obbiettivo previsto dal provvedimento triennale. Una distruzione sistematica della nostra scuola, fattore fondamentale di integrazione degli italiani. Un musicista come Nicola Piovani ha ricordato che la scuola della costituzione ha il compito di difendere «la laicità dello Stato, l’antifascismo, la legalità, la Resistenza, tutte le religioni » e basta pensare alla famosa canzone di Francesco De Gregori per ricordare che «la storia siamo noi» e che una Nazione senza memoria e consapevolezza storica costruirà la sua casa sulla sabbia. «L’educazione - ha detto a sua volta il sociologo francese Edgar Morin - deve contribuire all’autoformazione della persona e insegnare a diventare cittadino. Un cittadino in una democrazia si definisce attraverso la solidarietà e la responsabilità in rapporto alla sua patria. Il che suppone il radicamento in lui della sua identità nazionale ». La carta costituzionale dice con estrema chiarezza quale è il rapporto che deve esserci tra scuole pubbliche e scuole private, all’articolo 34 recita che «enti privati hanno il diritto di istituire scuole e corsi di educazione senza oneri per lo Stato». Di qui la netta incostituzionalità di disegni di legge, come quello del leghista senatore Pittoni, che vuole istituire graduatorie regionali per l’insegnamento in modo da escludere nelle varie regioni insegnanti che provengano da altre parti del Paese. E l’assurdità delle pretese, sempre della Lega Nord, che vuole sostituire il dialetto alla lingua italiana in alcune regioni. Uno scrittore come Pier Paolo Pasolini in tempi non sospetti scriveva che «il dialetto vive dentro una lingua nazionale forte ». La verità è che la legge del 2008, come altri provvedimenti proposti dall’attuale maggioranza, hanno un duplice obbiettivo che diventa sempre più chiaro e preoccupante. Si tratta di favorire, attraverso l’attività legislativa di questi anni, il depotenziamento della scuola pubblica a vantaggio di quelle private e, nello stesso tempo, rendere gli italiani sempre più ignoranti, sempre più dipendenti e passivi davanti dalle trasmissioni televisive che oggi vanno in voga da Amici della De Filippi al Grande Fratello e all’Isola dei famosi che campeggiano sugli schermi Mediaset-Rai e favorire così un dominio più facile per la deriva nazionale degli ultimi vent’anni. Un progetto diabolico non c’è che dire.