Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » E per gli statali arrivano tagli e blocco dei salari

E per gli statali arrivano tagli e blocco dei salari

La denuncia della CGIL

29/12/2010
Decrease text size Increase text size

Raffaello Masci

Un mezzo sigaro toscano e una croce di cavaliere non si negano a nessuno», diceva il padre della patria Vittorio Emanuele II. E questo è il massimo a cui possano aspirare i funzionari dello Stato da qui al 2013, perché la loro carriera sarà tutta titoli e onorificenze, ma neppure il becco di un quattrino. Anzi: se superano i 90 mila euro l’anno subiranno un taglio del 5%, che diventa del 10% oltre i 150 mila. Così sentenzia la manovra di assestamento di bilancio che blocca fino a quella data tutti gli aumenti di carriera.

Ma se i vertici non riceveranno emolumenti aggiuntivi neppure in caso di promozione, per la truppa degli statali le cose andranno ancora peggio: il blocco degli stipendi per il periodo in questione comporterà una riduzione del già magro stipendio, di 1600 euro, sommando i mancati adeguamenti ai rinnovi contrattuali. I conti li ha fatti, per la Cgil, il responsabile del pubblico impiego, Michele Gentile.

«Nel triennio 2010-2012 - spiega e calcola Gentile - l’incremento degli stipendi sulla base dell’indice dell’inflazione Ipca (Indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi dell'Unione europea, ndr) previsto dall’accordo interconfederale del 2009 (non firmato dalla Cgil) avrebbe dovuto essere complessivamente del 4,2%. Poiché ogni punto di inflazione vale circa 20 euro, si tratta a regime di 90 euro lordi che mancheranno nello stipendio. Ipotizzando tre tranche annuali da trenta euro in più al mese (quindi 400 euro l’anno compresa la tredicesima) che non ci saranno, la perdita cumulata di potere d’acquisto sarà almeno di 1200 euro lordi in media. Se ci aggiungiamo il blocco già previsto anche per il 2013 arriviamo almeno a 1600 euro. I lavoratori pubblici torneranno a vedere aumenti in busta paga solo nel 2014». In questo quadro la Cgil annovera anche il freno imposto alla carriera, di cui si diceva, per cui nella pubblica amministrazione si continuerà a salire nel cursus honorum, ma senza percepire un corrispettivo economico.

La cura dimagrante riguarderà non solo le buste paga, ma anche il corpus complessivo degli organici, eroso dal rallentamento del turn over (un assunto ogni 5 pensionati), che produrrà un taglio di 240 mila statali da qui ai prossimi tre anni.

Gli alti organi costituzionali (Parlamento, Quirinale, Corte Costituzionale), essendo autonomi, non sono soggetti alla scure del Tesoro. Tuttavia, dopo i due rami del Parlamento, anche la presidenza della Repubblica ha voluto dare il buon esempio e, attraverso una nota formale, ha fatto sapere che farà la sua parte. Gli stipendi - come per le altre amministrazioni pubbliche - subiranno un taglio del 5% se superiori a 90 mila euro lordi e del 10% se superiori ai 150, senza dire che anche lì le progressioni di carriera saranno solo nominali. Ma non è tutto: per i collaboratori del Presidente i prepensionamenti saranno bloccati. Per tutti il limite sarà di 60 anni di età e 35 di contributi «con l’introduzione in via transitoria di misure dissuasive, attraverso significative riduzioni dei trattamenti pensionistici»». Tradotto: chi vuole andare in pensione prima, paga il pegno.

Così facendo, il Quirinale avrà a disposizione, fino al 2013, la stessa cifra prevista per l’anno in corso, e cioè 231 milioni. Ma dato che quest’anno il Quirinale è stato virtuoso e ha risparmiato oltre 3 milioni di euro, portando il bilancio a 228 milioni, questo sarà il budget da non superare per i prossimi tre anni. In sintesi, spenderà fino al 2013 quanto aveva speso nel 2008.

Tempi duri, dunque, ma non lamentiamoci troppo, perché c’è chi sta peggio di noi: «In 17 Paesi europei - ha detto il segretario generale della FpCisl, Giovanni Faverin - non si sono limitati al blocco dello stipendio in essere, ma hanno deciso una riduzione delle retribuzioni rilevantissima. In Spagna hanno tagliato del 5% gli stipendi, mentre in Irlanda si è arrivati al 13%».