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ècole-I fili e i nodi

A scuola di repubblica. Sapere di incontri di école Firenze domenica 11 settembre 2005 dalle 10 alle 18, nell...

21/08/2005
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A scuola di repubblica. Sapere di incontri
di école

Firenze domenica 11 settembre 2005 dalle 10 alle 18, nella sala dell'Arci a piazza dei Ciompi, 11

L'appuntamento è per l'11 settembre, e parliamo di sapere di incontri. Ci vuole un certo coraggio, dopo New York Madrid Londra.
Ma non ha molto senso la scuola se non parte da qui: dal suo essere per natura uno spazio pubblico di confronto - non di scambio merci, non di indottrinamento, di chiusura sicuritaria o scontro di civiltà. Dal suo essere controtendenza. Altrimenti non ha senso e non dà uno straccio di felicità. Finisce che restiamo a una discussione di modelli organizzativi, quadri orari, moduli e griglie - senza neppure sapere che cosa imprigionano della vita di bambine e bambini, ragazze e ragazzi, uomini e donne. Quale principe può abitare dentro quel rospo.
Poi siamo ancora in estate e da tutto questo si ha il diritto di essere liberi. E siamo all'anniversario delle Twin Towers e non si può essere più liberi da niente. Siamo per sempre coinvolti.

Allora ci proponiamo di ragionare di scuola come luogo in cui si incontrano saperi e esseri umani diversi. Un luogo pubblico, cioè libero e plurale (la modernità mostruosa di Ratzinger e Ruini), dove qualcosa c'è da prima ad aspettare (una tradizione di cultura, una generazione di ex giovani), ma tutto il resto viene dopo, ed è imprevedibile. Qualcosa che dà vita al lavoro e può ancora perfino entusiasmare chi la scuola la vive (o fare davvero soffrire: sempre meglio della noia dei punti di bonus o dei crediti congelati).
Può anche fare da guida nel ripensare l'intera organizzazione scolastica: proprio orari, contenuti, organizzazione (la legge di iniziativa popolare che si va discutendo adesso nel movimento va tutto sommato splendidamente in quella direzione). Allora parlare di riforma - leggera flessibile umana: capace di liberare e garantire quello spazio pubblico - può tornare a coinvolgere.

Infine quella scuola pubblica, spazio di autoeducazione della società a se stessa, continua a sembrarci una speranza politica. L'unica, in un certo senso.
Vuol dire accettare lo spazio della frontiera come nuova polis tessuta di attraversamenti; non recinto e filo spinato, non terra di nessuno, ma di tutte e tutti. La cittadinanza come qualcosa di splendidamente "artificiale", legata non a "sangue e suolo" ma al riconoscimento reciproco di diritti politici; discorsivi e capaci di inventare un mondo comune. Il gioco difficile delle traduzioni. Degli incontri appunto.
C'è altro che possiamo fare oggi?
Contrapporre le parole alle armi, le scuole ai CPT, la laicità ai fondamentalismi.
Su un cartello al Forum europeo di Parigi era scritto: la lucidité est révolutionnaire.
Bisogna continuare a pensare, e baciare il rospo scolastico: tirargli fuori l'anima e regalarla. Disperderla. Disseminarla.
Continuons le combat.

Vediamoci a Firenze domenica 11 settembre 2005 dalle 10 alle 18, nella sala dell'Arci a piazza dei Ciompi, 11 per A scuola di repubblica. Sapere di incontri.

INFO: 031.268425 o 339.1377430 o coecole@tin.it o www.ecolenet.it

Lettera di agosto settembre 2005

I fili e i nodi
Una mappa in forma di domande

Costituzionale costituente La scuola nella Costituzione non è un servizio al pari di altri, tenuto a rispondere alla domanda individuale dei cittadini, ma una funzione dello stato che nell'interesse dell'intera collettività crea attraverso la scuola le pre-condizioni della democrazia. In un certo senso interpreta il compito che alla repubblica assegna il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione: rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione dei cittadini alla vita della comunità. Ma un testo costituzionale vive davvero ed è efficace se non si appoggia ad una società che lo sente come tale e alimenta di senso? Non si spegne lo stato sociale se muore la socialità, non si inaridisce la Costituzione se non esiste una diffusa dimensione costituente nella società? Nella scuola potrebbe significare continuare a costruire, lì dove "si è gettati", le forme di uno spazio pubblico, corpo fluido intermedio della società, in cui i valori e le garanzie della carta costituzionale non sono declamazioni retoriche e amministrazione burocratica, ma pratiche e relazioni interpersonali: tessuto molecolare di micro-polis, né individualistiche né massificate, di convivenza e liberazione.

La privatizzazione dal basso
Ci sembra che altrove in Europa sul rapporto pubblico/ privato e sui processi che lo attraversano ci siano discussioni appassionate e proposte che coinvolgono cittadine e cittadini e non solo chi la scuola la fa. Ci piacerebbe che anche in Italia la discussione sulla scuola e sui saperi appassionasse di più. Ci piacerebbe che il dibattito sulla riforma potesse creare una rete di scuole-flussi di riflessione. Talvolta abbiamo, invece, la sensazione che anche dentro le scuole la tentazione degli insegnanti sia quella di rifugiarsi in nicchie di sopravvivenza e che sia sempre più diffuso un atteggiamento di "privatizazione dal basso" di chi cerca di salvarsi ritagliandosi spazi "privati" fuori dal fare scuola consueto (Iso 9000, patentino, ...), progetti e attività che servono anche ad arrotondare il salario che perde potere d'acquisto ogni giorno di più). Ci sembra che la "privatizzazione dal basso" sia una privatizzazione esistenziale che renda deserti i luoghi pubblici e renda possibile il dominio di un punto di vista "amministrativo".

Camminare domandando

Ci poniamo una serie di domande alle quali, vorremmo dare risposte collettive e condivise. Abbiamo chiesto a Domenico Chiesa, Michele Corsi, Tommaso Fattori, Pino Patroncini, Antonia Sani, Cosimo Scarinzi di aiutarci ad avviare la discussione. Con loro e con le donne e gli uomini che parteciperanno al nostro seminario ci piacerebbe costruire più che una proposta definita una elaborazione di pensiero.

Ma è la scuola che entra in Europa o è l'Europa che entra nella scuola?
Processi Europei discutibili (Lisbona, Bologna), leggi inique (Bolkenstein), ma anche movimenti (Social Forum e non solo) che stanno attraversando la scuola europea, contraddizioni e dinamiche comuni: se ci sarà una scuola europea è chiaro che il crogiuolo da cui nascerà non sarà quello di una lineare progettazione a tavolino.

Si può parlare della scuola pubblica, intrecciando la discussione con quella sui diritti, sul welfare, sui beni comuni, sui beni pubblici? Per noi la scuola pubblica è in sostanza: il diritto all'educazione, all'istruzione e all'informazione gratuita, come base della cittadinanza gratuita in senso monetario e anche in quanto nonprofessionale, non immediatamente applicativa (aperta all'"eccesso formativo" alias spirito critico) e del dovere politico delle famiglie di educare i figli in modo aperto Quanto ciò trova base nella Costituzione del 1948 e quanto ha necessità di un nuovo patto magari trasnazionale in cui siano ridefiniti i beni comuni? Quanto ciò è interessante anche per l'"economia nazionale"? Un ripensamento della scuola pubblica di massa dovrebbe avere al suo centro il ruolo attivo dei cittadini e futuri cittadini, quindi con o senza la forma giuridica della proprietà statale il punto è se e come la scuola pubblica diventa un pezzo della società civile che si autorganizza superando sia l'alienazione di tipo vecchio (burocratico-gerarchica-taylorizzata) sia i rischi di un nuovo familismo e della "libanizzazione" ideologica e sociale altrimenti in ogni caso vinceranno i gestori privati anche monopolistici che sanno come gestire il lato desiderante dei consumatori e il "vecchio pubblico" in ulteriore decadenza rimarrà per i poveri.

Si può fare una scuola pubblica e nazionale che non sia ministeriale?
In linea di principio si può pensare per la scuola una statualità che non sia centralismo burocratico né che metta la scuola nelle mani della maggioranza politica di turno per esempio creando un organo decisionale centrale elettivo autonomo dagli altri apparati dello Stato. Tuttavia gli elettori sarebbero comunque decine di milioni e non si vede come questo organo si sottrarrebbe alle consuete derive del sistema politico. È improbabile che si possa mantenere alto a lungo il livello di partecipazione-controllo della base. Uno dei principi formali dell'autonomia scolastica, cioè quello di avvicinare il più possibile alle persone il livello decisionale, sembra dunque che debba essere valorizzato. Ma come? E come contenere le innumerevoli spinte corporative a tutti i livelli, senza ricorrere a sistemi di controllo che, oltre ad essere probabilmente inefficaci, finirebbero per riproporre il centralismo? In attesa di chiarire questi difficili dilemmi si potrebbe pensare ad alcune soluzioni limitate e concrete quali per esempio: l'abolizione dei poteri discrezionali del ministro su programmi, prove di maturità, contenuti in generale, e la riduzione in generale dei poteri del ministro...

Come può la società valutare la qualità della scuola pubblica (qualità dei saperi che per noi vuol dire qualità delle relazioni e dei contenuti) senza che il controllo sia "verticale"? Quali dovrebbero essere i garanti della qualità della scuola pubblica?
Si potrebbe prendere in considerazione il modello Scuola Città Pestalozzi dove esiste un comitato scientifico formato da alcuni pedagogisti che "accompagnano" la scuola, hanno con essa un partenariato. Questa del partenariato è una possibile logica alternativa al controllo a posteriori, fiscale, autoritario e/o complice. Per le medie superiori la cosa è più complessa data la varietà delle aree di insegnamento. Il controllo della qualità verrebbe in parte a coincidere con l'apertura alla società civile. Il buon funzionamento della scuola è strettamente collegato al grado di spirito civico diffuso e anche di senso del vicinato, che conta più delle macrostrutture di intervento dall'alto Attualmente i vari controlli di qualità sono bufale procedurali affaristiche, mafia delle società apposite. A mero scopo di rilevazione del sistema sembrerebbe inevitabile mantenere il sistema Invalsi (ma almeno dovrebbe essere reso autonomo dal governo). E per evitare la concorrenza tra istituti per strapparsi i clienti (uno dei problemi più difficili da affrontare), bisognerebbe puntare su una crescita qualitativa della domanda di istruzione (cioè sull'intelligenza delle famiglie nelle scelte).

Ma come ci si può districare tra uno stato che decide tutto e un insegnante che decide tutto? L'insegnante dovrebbe essere valorizzato e valutato per la sua preparazione e la sua personalità (compresa l'attitudine a lavorare in gruppo). Per liberare queste doti non esistono formule magiche ma si possono concretamente ridurre i compiti troppo vasti in teoria attribuiti agli insegnanti (esempio il numero di materie e i programmi pletorici e indeterminati) per aiutarli a fare meglio meno cose, si può creare spazio istituzionale a tutti i livelli per attività di programmazione collettiva, valorizzare sempre il confronto vero e non di facciata come ora sui contenuti e metodi, liberalizzare la scelta del libro di testo, ridurre le dimensioni delle istituzioni scolastiche, favorire il radicamento volontario nel territorio e difendere la continuità didattica (anche mediante l'eliminazione del precariato), istituire il direttore didattico elettivo, istituire sessioni di autoverifica con presenza di genitori alunni e vari esperti esterni, semplificare la legislazione anche amministrativa per facilitarne la conoscenza e il rispetto. La semplificazione amministrativa è una assoluta necessità per il funzionamento delle istituzioni scolastiche. La falsa alternativa tra localismo e centralismo si supera soprattutto mediante la presa di coscienza da parte delle famiglie/dei giovani degli obiettivi di apprendimento (per esempio superare il gap nel campo scientifico-matematico), ora come ora ai più interessa solo il pezzo di carta finale, da prendere con qualsiasi mezzo (vedi la crescita dei diplomifici).

Ha senso, abrogando Moratti, tornare alla riforma Berlinguer? È giusto e opportuno dichiarare una moratoria dei provvedimenti globali e realizzare quattro o cinque punti essenziali, trai quali l'obbligo fino ai sedici anni da realizzare nella scuole e un biennio post-medie di completamento e orientamento. E comunque bisogna tenere conto dell'eredità che lascia la riforma Moratti soprattutto alle elementari e alle medie dove è già partita?

A chi la scuola? A noi! Dopo avere sperimentato centralismi democratici che in realtà erano burocratici, oggi siamo di fronte ad autonomie che si supporrebbero democratiche ma che in realtà si rivelano autoritarie: dal preside al sindaco al presidente della regione, che si erge a governatore, la parola d'ordine è "comandare". E se ci si mette anche il ministro&

Quanto è autonoma l'autonomia scolastica? Contesto liberista e autonomia professionale, potere del dirigente scolastico e organi collegiali, organizzazione e didattica, risorse e ricerca, autorità e responsabilità, efficienza e disponibilità sociale: cocktail molotov o anestesia totale?