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Espresso-Lavorare molto guadagnare meno

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28/08/2004
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L'Espresso

Economia OCCUPAZIONE / LA GRANDE PAURA
Lavorare molto guadagnare meno
Orari più lunghi. Salari più bassi. E il terrore di perdere il posto. In Europa sarà il primo autunno caldo dell'era della globalizzazione
di Rana Foroohar e Tony Emerson

In America si parla molto, da alcuni mesi, della ripresa della disoccupazione e di quello strano paradosso per cui nonostante la forte espansione dell'economia i salari invece di aumentare, calano. Ora sembra che il virus statunitense si sia diffuso anche in Europa. Le economie del Vecchio continente infatti cominciano a risalire, ma la disoccupazione è sempre più alta. In alcuni paesi, come la Germania, le fila dei disoccupati si ingrossano, benché il governo faccia le riforme e i sindacati accettino compromessi senza precedenti pur di mantenere i posti. Un recente rapporto della banca Ubs, intitolato 'La ripresa della disoccupazione in Germania', avverte: "La disoccupazione sembra un aspetto di questa ripresa destinato a persistere".

Sono sempre di più gli economisti convinti che l'attuale durezza del mercato del lavoro non sia una momentanea stranezza americana. Salari in discesa, indennità ridotte e una crescente insicurezza nel lavoro sembrano affermarsi nella maggior parte dei paesi dell'Europa occidentale e in altre parti del mondo sviluppato. Cresce il numero dei precari senza garanzie così come crescono le ore di lavoro, mentre i posti stabili si stanno riducendo. Molti dei licenziati non ritrovano più il vecchio lavoro, ma devono cercarsene uno nuovo, spesso in campi completamente diversi. Quelli che hanno ancora un impiego devono fare i conti con un orario più lungo e con poche prospettive di aumenti di stipendio.

Il nuovo mercato del lavoro è disegnato dalla crescente concorrenza globale, stimolata dall'aumento delle industrie a basso costo in Cina, India ed Europa dell'est, e dalla riduzione dei prezzi provocata da Internet e da giganti della distribuzione come Wal-Mart. Queste forze costringono le aziende occidentali a crescenti riduzioni dei prezzi e dei costi del lavoro. Eckhart Cordes, economista e capo del settore mezzi pesanti della Daimler, in un'intervista rilasciata all'inizio dell'anno, affermava: "Un chiaro effetto della globalizzazione è il livellamento dei salari. Il problema è: la Cina e l'India raggiungeranno l'Occidente o l'Occidente comincerà a indietreggiare?". In realtà, avvertiva, l'Europa non aveva altra scelta se non quella di tagliare i salari, altrimenti avrebbe cominciato a perdere posti di lavoro a migliaia: "Penso che la Germania stia andando verso una vera crisi nei prossimi dieci anni. Almeno negli Stati Uniti c'è una crescita nell'occupazione. In Germania invece zero. Niente".

La crisi potrebbe svilupparsi in meno di dieci anni. Nuovi segnali di questo sconvolgimento si possono vedere dovunque, dalla fine della settimana lavorativa di 35 ore in Francia agli importanti accordi sindacali in tutta l'Europa. Nelle ultime settimane, grandi aziende, come la Siemens e la Daimler-Chrysler, hanno usato la minaccia di portare i posti di lavoro all'estero per ottenere tagli di retribuzioni e indennità. I lavoratori non sono contenti, questo è certo: due settimane fa, in Germania, 40 mila persone sono scese in piazza nella più grande manifestazione dalla fine del comunismo per protestare contro le riduzioni delle indennità e la riforma del lavoro.

Ma le manifestazioni non rovesceranno la tendenza dell'economia globale. Secondo l'Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (Oecd), negli ultimi vent'anni nel mondo industrializzato la componente percentuale dei salari nel reddito nazionale è stata quasi sempre stagnante o in calo. "È un fenomeno incredibilmente diffuso", dice Paul Swaim, economista della Oecd, aggiungendo che, benché non tutti i motivi siano chiari, la concorrenza svolge un ruolo importante. "La globalizzazione sta rendendo tutti insicuri", dice: "Il clima in cui si discutono i contratti è peggiorato".

Sì, l'atmosfera è radicalmente cambiata nei mercati del lavoro in confronto a solo quattro anni fa. Negli Stati Uniti libri come 'Free Agent Nation' celebravano la possibilità di diventare tutti, un giorno, dei lavoratori free lance, e di saltare costantemente da un buon posto a uno ancora migliore. Le grandi aziende, si diceva, avevano bisogno di noi, liberi lavoratori, più di quanto noi non avessimo bisogno di loro. Ma eravamo nel 2000, con Internet ai massimi. Ora la parola free lance evoca solo precarietà e insicurezza.

Studi della Federal Reserve affermano che, durante la fase recessiva americana terminata nel giugno del 2001, la metà dei tagli di posti di lavoro era strutturale, ovvero permanente, paragonata a una media del 25 per cento di precedenti recessioni. In altre parole, è molto più difficile che i lavoratori licenziati vengano riassunti dalle loro aziende, mentre dovranno trovarsi un nuovo lavoro o diventare autonomi. Alcuni dati del Bureau of Labor Statistics americano dimostrano che più della metà dei posti di lavoro creati dalla fine della fase recessiva sono part time e che i lavoratori con un posto fisso continuano a perdere l'impiego con una velocità senza precedenti, mentre quelli che ne trovano uno nuovo hanno in media un taglio salariale del 57 per cento.

La situazione è meno estrema in altre nazioni sviluppate, in parte perché dei segnali di ripresa sono apparsi solo recentemente fuori dagli Stati Uniti. I sintomi, tuttavia, ci sono. In Giappone i redditi mensili sono diminuiti dello 0,07 per cento in giugno e l'anno scorso ci fu un numero record di suicidi attribuiti a cause economiche come la perdita del lavoro o i debiti.

La stessa cosa succede in Europa. "Negli ultimi anni c'è stato uno spostamento verso un calo delle retribuzioni, un lavoro più pesante e minori indennità", dice Ray Attrill, direttore delle ricerche della società di consulenza londinese 4Cast. I governi vanno in crisi per i troppi giorni di malattia presi dagli impiegati stressati dall'eccesso di lavoro. In Spagna, dove un posto di lavoro su tre è temporaneo, un nuovo governo socialista risponde alla crescente insoddisfazione annunciando l'intenzione di ridurre le riforme del mercato del lavoro.

Ovviamente, la riforma del lavoro intendeva mettersi al passo con gli Stati Uniti, dove gli amministratori delegati stanno ancora tirando le redini del lavoro. Nei primi 32 mesi di una ripresa statunitense tipica, i salari crescono del 10 per cento; questa volta sono aumentati solo del 2 per cento. Questo significa che sono andati perduti 323 miliardi di dollari di reddito personale, nonostante Alan Greenspan assicuri che i profitti delle aziende sono abbastanza alti da poter sostenere salari più elevati. I risparmi delle grandi imprese non finanziarie sono raddoppiati dal 1999. Questo denaro non andrà a tamponare le buste paga. Gli ultimi tre anni hanno visto la più grande perdita di posti di lavoro negli Stati Uniti dopo la Grande Depressione. O almeno questo è quello che molti dicono. E gli Usa sembrano annunciare quello che sta per accadere in Europa, con l'allargamento del suo mercato interno. Decine di migliaia di posti di lavoro delle grandi imprese manufatturiere sono già emigrati nei dieci nuovi stati membri. "Anche se il numero dei posti di lavoro perduti in realtà non è alto, la sola idea che l'azienda possa spostare il lavoro ovunque, in qualsiasi momento, avrà un effetto sulla forza lavoro dell'Europa occidentale", dice Richard Reid, economista di Citigroup.

Gli esperti dicono che il mercato mondiale del lavoro non è mai cambiato così drammaticamente dal culmine della Rivoluzione Industriale. Nel XIX secolo molti degli stessi fattori, come mutamenti tecnologici, migliori comunicazioni e trasporti e calo dei prezzi, fecero perdere il lavoro a milioni di persone. Allora, come oggi, ci furono proteste nazionalistiche sulla perdita dei posti di lavoro di 'qualità'. Negli anni Venti le restrizioni sull'immigrazione e il commercio stavano rendendo il mondo più povero. Ci vollero due guerre mondiali per riportare l'economia al punto di partenza. Ma oggi alcuni studiosi temono che le minacce della concorrenza possano ispirare una nuova reazione protezionistica.

Ciò che è decisamente nuovo, stavolta, è ciò che si sta globalizzando, vale a dire il settore dei servizi, che rappresenta il grosso dei posti di lavoro nel mondo sviluppato. Il fatto che, apparentemente, qualsiasi lavoro possa essere esportato all'estero sta creando un livello di ansietà senza precedenti, che attraversa tutte le classi sociali. Benché il numero dei posti di lavoro occidentali dati in appalto in India sia troppo piccolo per spiegare la ripresa della disoccupazione, la tendenza è solo all' inizio. Il numero di professionisti indiani nel mondo dell'informatica dovrebbe triplicarsi, superando i due milioni, nei prossimi cinque anni; e il centro ricerche della Morgan Stanley di Bombay prevede che le multinazionali faranno coincidere nuovi posti di lavoro nelle succursali indiane con una riduzione dei posti altrove.

I sostenitori della globalizzazione ci dicono di non preoccuparci. Alla fine, le economie sviluppate creeranno nuovi e migliori posti di lavoro. È vero che la maggioranza dei posti finora persi in Occidente è costituita da impieghi di bassa qualificazione nel settore industriale, ma non è chiaro che cosa avverrà dopo. E anche se l'esportazione dei posti di lavoro si rivelasse una moda priva di conseguenze, i lavori rimasti in Occidente continueranno probabilmente a offrire salari più bassi, quando si riuscirà a trovarli. Gli economisti sono convinti che l'Europa potrebbe entrare in un periodo di maggiori fusioni e acquisizioni, nel quale le grandi compagnie, più che aumentarli, taglieranno i posti.

Nel frattempo, le economie dei principali paesi emergenti continuano a crescere rapidamente. I salari a Shanghai aumentano del 15 per cento l'anno; quelli dei lavoratori nel settore informatico a Bangalore salgono dell'8 per cento. Molti economisti sono convinti che a un certo punto, nei prossimi 20 o 50 anni, l'India e la Cina raggiungeranno la parità di salari con la Germania e il resto del mondo sviluppato. Quanto calerà l'Occidente per incontrarle dipenderà molto dalla capacità di combattere le tendenze protezionistiche del passato e di trovare nuove strade per giustificare il proprio posto nell'economia mondiale.

'Newsweek'-'L'espresso'