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Foruminsegnanti.it: La storia nelle Nuove Indicazioni Nazionali

Intervista a Rolando Dondarini, docente di Didattica della Storia dell'Università di Bologna.

30/08/2007
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Il 3 settembre, secondo quanto preannunciato dal Ministro della
Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, sarà ufficializzata la
presentazione delle Nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo e
verranno distribuiti opuscoli ai docenti nelle scuole.

Nell'imminenza del lancio di queste cosiddette "nuove" indicazioni
che, però, lasciano sostanzialmente immutato l'impianto delle
prececedenti, soprattutto, ma non solo, per ciò che attiene alla
formazione storica, per cui è conservata la stessa articolazione,
basata su un unico ciclo tra terza elementare e terza media, abbiamo
rivolto alcune domande nel merito ad un autorevole esperto, il Prof.
Rolando Dondarini, Docente di Didattica della Storia all'Università
di Bologna e promotore della Festa della Storia, che anche quest'anno
si svolgerà a Bologna e provincia nel periodo dal 13 al 21 ottobre
2007, il quale ci ha gentilmente concesso la seguente intervista.

Professor Dondarini, cosa pensa del curricolo di storia proposto
nelle nuove Indicazioni Nazionali?

Nonostante le ampie e articolate premesse, purtroppo sembra non
discostarsi da quello delle precedenti "indicazioni" che già tanti
danni hanno procurato a tutto il sistema formativo; e non mi
riferisco certo al fisiologico disorientamento conseguente ad ogni
innovazione, ma ai guasti che la legge del febbraio/marzo 2003 ha
obiettivamente indotto. Come quello allora prescritto, anche il
curricolo delle recenti bozze comporta la rimozione degli ultimi due
millenni dagli orizzonti formativi di una fascia scolare come
quella "primaria", nella quale si acuiscono sensibilità e interessi
che rimangono indelebili. Anche questo curricolo sembra quindi essere
figlio del gravissimo e persistente equivoco di chi
confonde "curricolo verticale" o "curricolo unitario" con un unico
ciclo cronologico dell'intera storia e di quegli slogan semplicistici
e superficiali diffusi e adottati qualche decennio fa che
attribuivano i problemi della didattica della storia al "mostro a tre
teste" della ciclicità. Molti insegnanti hanno recepito tali slogan
in maniera quasi irriflessa come postulati e assiomi ideologici che
garantirebbero automaticamente un'effettiva innovazione ed efficacia;
salvo poi ricredersi di fronte ai nodi reali dell'insegnamento. In
effetti chi insegna storia sa bene che a comprometterne
l'insegnamento/apprendimento non è certo la ripetitività, ma la
passività e la mnemonicità con cui gli scolari sono costretti ad
imparare nozioni che sentono estranee ai loro interessi. Da questo
punto di vista la profonda e vera innovazione che manca totalmente
anche dalle premesse teoriche delle bozze presentate, sarebbe quella
di far perno sul presente per affrontare ogni argomento e periodo con
stimoli e motivazioni capaci di indurre ad atteggiamenti attivi e
interessati. Obiettivo della Storia non dovrebbe essere quindi come
recitano le bozze "...comprendere e spiegare il passato dell'uomo,
partendo dallo studio delle testimonianze e dei resti che il passato
stesso ci ha lasciato", bensì comprendere il presente cercandone e
apprendendone motivazioni e premesse.

Quali rischi pedagogici comporta il curricolo verticale?

I dibattiti su questi temi rischiano di essere compromessi in
partenza dalla ben nota mancanza di una tassonomia e di una
terminologia generalmente riconosciute e adottate nell'ambito delle
discipline della didattica. E' quindi preliminare intendersi su
parole e definizioni che potrebbero portare fuori strada. Immagino
che in questa domanda per "curricolo verticale" si intenda un unico
ciclo cronologico, dato che in realtà sarebbe sempre auspicabile
prevedere un curricolo coerente e unitario - e quindi in prospettiva
verticale - con cui programmare interi percorsi formativi che
prevedano la successione di fasi di insegnamento concordi,
complementari e organicamente collegate. La predisposizione di un
simile curricolo non significa affatto che si debba affrontare la
storia una sola volta in tutto l'iter formativo o nel tratto compreso
tra scuola elementare e media, Adottare un unico ciclo cronologico
della storia da svolgersi tra elementari e medie comporta
automaticamente alcuni effetti palesemente negativi e contraddittori.
In primo luogo perché si vincola in maniera permanente
l'apprendimento dei diversi periodi della storia a età evolutive
obiettivamente diverse. In contraddizione con la sbandierata
centralità della persona, si trascurano così gli aspetti evolutivi e
formativi degli scolari e i loro tempi di formazione, visto che si
ignorano le fasi di sviluppo delle loro capacità di apprendimento e
dei loro interessi, presumendo che tra la terza elementare e la terza
media le attenzioni e le capacità percettive rimangano immutate.
Inoltre rimandando lo studio del Medioevo, della Storia Moderna e
della Storia Contemporanea al triennio delle scuole medie, li si
priva fino ad allora di indispensabili strumenti cognitivi,
essenziali non solo per comprendere, rispettare e tutelare il
formidabile patrimonio di cui l'Italia è custode, ma anche per
indurli al confronto e al dialogo interculturale reso necessario e
indispensabile dall'inarrestabile formazione di una società
multietnica, multiculturale e multireligiosa. In sintesi quali esiti
automatici dell'adozione del curricolo che anche le nuove bozze
propongono si possono annoverare una grave ritardo e una
sottovalutazione conseguente sia nell'acquisizione della
consapevolezza e del rispetto del patrimonio storico/artistico
scaturito dai periodi storici rinviati sia un inutile rinvio delle
trattazioni sulle origini e gli sviluppi delle diverse culture di cui
gli stessi scolari sono portatori. A tali esiti se ne aggiungono
altri puntualmente verificati in questi anni di applicazione della
famigerata legge 53 cioè:
- l'abbandono di una ricca varietà di esperienze didattiche
innovative condotte sia in ambito scolastico che extrascolastico, per
le quali insegnanti e operatori culturali hanno attivato ampie
convergenze multidisciplinari; in particolare in riferimento alle
didattiche museale, archivistica e bibliotecaria e agli apporti di
enti e associazioni.
- le conseguenti lacune e mancanze di riferimenti per gli
apprendimenti riferiti agli aspetti storico/ambientali da un lato e
globali dall'altro, che si stavano sempre più spesso adottando come
terreni di incontro e di comune formazione per gli scolari di diversa
provenienza.
- le gravi ripercussioni sui corsi di formazione per gli insegnanti
della scuola primaria, i quali, non essendo più tenuti a prepararsi
su quei periodi storici, ne eliminano lo studio dai loro curricula
con le conseguenti carenze formative e culturali. In pratica abbiamo
sì dei maestri laureati, ma che non conoscono la storia.

Professore, non crede che la composizione stessa della Commissione
incaricata di riscrivere le Indicazioni Nazionali, dalla quale sono
stati esclusi i docenti e in cui sono stati inadeguatamente
rappresentati gli esperti delle discipline, mentre erano
significativamente presenti alcuni sostenitori della riforma Moratti,
fosse già un indizio della volontà politica di procedere dall'alto
con un'operazione di revisione senza però mettere realmente in
discussione l'impianto curricolare delle indicazioni precedenti,
ampiamente contestate dal mondo della scuola e della cultura?

Il fatto grave è per l'appunto la quasi totale assenza di docenti,
anche se effettivamente appare, oltre ad una singolare presenza
bolognese, una preponderanza di figure per le quali appare scontato
il sostegno delle indicazioni della Moratti. La contraddittorietà di
una simile composizione, soprattutto rispetto ai proclami
dell'attuale maggioranza parlamentare di superamento totale delle
norme precedenti, salta agli occhi. Con ciò credo che per l'appunto
si possa e si debba eccepire sulla composizione complessiva della
Commissione, mentre sulla competenza e le volontà dei singoli
componenti non mi sentirei di discutere. Desidero insomma riconoscere
che si tratta di persone competenti e note nel campo della didattica,
anche se quelle che conosco personalmente hanno ammesso di non
saperne gran ché sul tema del curricolo complessivo e di quello di
storia in particolare. E' proprio su questi aspetti che per tutte le
aree sarebbe stato indispensabile l'apporto di docenti esperti per le
varie discipline.

Non per fare processi alle intenzioni, ma nutriamo forti dubbi circa
la volontà del Ministero di porsi in ascolto della scuola reale, se è
vero che finora c'è stato un evidente deficit di trasparenza e
democrazia, come abbiamo anche denunciato in un nostro appello
lanciato mesi fa. Lei cosa pensa in proposito?

Ho partecipato ad alcuni degli appuntamenti pubblici indetti dal
Ministero per illustrare le linee guida della riforma in atto – che,
come rilevate, rischia di trasformarsi in una "conferma" - e ne ho
derivato un'analoga spiacevole sensazione di un divario evidente tra
pronunciamenti e comportamenti. C'è insomma il forte rischio che i
veri interessi del mondo della formazione e i suoi protagonisti -
insegnanti e studenti - vengano di nuovo subordinati a compromessi
tra partiti e movimenti. Se così fosse – e temo proprio che sia così -
si dovrebbe mettere in conto anche il forte divario che in termini
di consapevolezza divide gli esponenti della precedente maggioranza
da quelli della nuova: mentre i primi appaiono estremamente
determinati e consapevoli dei propri obiettivi, tra questi ultimi
aleggia un confusione preoccupante. In questi mesi ho avuto numerosi
contatti - ma forzatamente fugaci data la mia mancanza di entrature
adeguate - con esponenti delle commissioni parlamentari e con
componenti dell'entourage ministeriale e l'impressione è stata per
l'appunto di una competenza vaga e approssimativa in cui si insinuano
con pieno agio sia i sostenitori dei vecchi slogan che avrebbero
voluto addirittura un solo ciclo cronologico sia le istanze di coloro
che non vogliono mutare le indicazioni morattiane.

Da molte parti si propone il ritiro delle bozze delle nuove
indicazioni nazionali e il ripristino dei Programmi Nazionali dell'
85 del 79 e del 91. Non sarebbe il caso di ripartire da lì e dalle
buone pratiche didattiche che su di essi si erano innestate, visto
che le indicazioni morattiane sono state percepite come un corpo
estraneo, tant'è che ad oggi molti insegnanti continuano a far
riferimento a quei programmi riconoscendone la validità
epistemologica e didattica?

Condivido totalmente questa posizione che quasi paradossalmente,
ritornando ad una riforma passata, risparmierebbe la scuola italiana
da un ulteriore passo indietro. In effetti in tutti questi anni sia
dai continui contatti che mantengo con i docenti di ogni grado
attraverso attività concrete di didattica sia dalle dissertazioni
condotte da numerosi laureandi è apparsa evidente la persistente
validità di quei Programmi. Ritengo tuttavia che il problema di
fondo - quello del rapporto tra attualità e storia e delle
conseguenti applicazioni didattiche – non sia stato ancora affrontato
in maniera adeguata. Auspico quindi che mantenendo vivo il dibattito
vi si possa approdare quanto prima.

Grazie, Professore, buon lavoro.