Fuga di cervelli, +41%. La laurea in Italia non fa reddito
Il report della corte dei conti sugli ultimi otto anni. Bene trasferimento tecnologico e spin off
Angela Iuliano
Poche prospettive lavorative rispetto al diploma di scuola superiore e una retribuzione non adeguata «spingono sempre più laureati a lasciare il Paese, con un aumento del 41,8% rispetto al 2013». Nel Referto sul sistema universitario 2021 della Corte dei Conti, appena pubblicato (delibera n. 8/SSRRCO/REF/21), le cause del forte aumento della fuga dei cervelli negli ultimi 8 anni. Motivi simili sono individuati per il fenomeno secondo cui, sebbene la quota dei giovani italiani laureati sia aumentata costantemente nell'ultimo decennio raggiungendo il 34% delle donne e il 22% degli uomini tra i 25 e i 34 anni, resta inferiore a quella degli altri Paesi Osce (rispettivamente il 51 e il 39%). Un fenomeno, «riconducibile sia alle persistenti difficoltà di entrata nel mercato del lavoro sia al fatto che la laurea non offre, come in area Ocse, possibilità d'impiego maggiori rispetto a quelle di chi ha un livello di istruzione inferiore», spiega il documento delle Sezioni riunite della Corte dei conti. Il tasso di occupazione nei Paesi Ocse, infatti, è del 61% se si possiede un livello di istruzione secondaria superiore e dell'85% se si ha un titolo di istruzione terziario.
Mentre in Italia è occupato il 53% di chi ha la licenza media, il 65$ dei diplomati e il 68% dei laureati. Da un punto di vista retributivo, poi, in Italia gli adulti con un'istruzione terziaria guadagnano il 39% in più degli adulti con il diploma, nei Paesi Ocse ben il 57% in più. Approfondendo vari aspetti dell'università e della ricerca, il rapporto attribuisce il mancato accesso o l'abbandono dell'istruzione universitaria dei giovani provenienti da famiglie con redditi bassi, oltre che a fattori culturali e sociali, alla spesa per gli studi terziari che, caratterizzata da tasse di iscrizione più elevate rispetto a molti altri Paesi europei, grava quasi per intero sulle famiglie.
Non sono, infatti, sufficienti le forme di esonero dalle tasse o di prestiti o, comunque, di aiuto economico per gli studenti meritevoli meno abbienti. Un aspetto questo che per la magistratura contabile richiede un'opera di aggiornamento e completamento dell'attuale normativa per dare piena attuazione alla disciplina del diritto allo studio con la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e l'attivazione degli strumenti per l'incentivazione e la valorizzazione del merito studentesco. Sebbene nel 2016-2019 emerge un significativo aumento delle risorse a disposizione per le borse di studio con la conseguente riduzione al 3% degli studenti insoddisfatti per la carenza di fondi.
Risultano, poi, ancora poco sviluppati i programmi di istruzione e formazione professionale, le lauree professionalizzanti in edilizia e ambiente, energia e trasporti, ingegneria. E mancano i laureati in discipline Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), che sono il 24% di tutti i laureati, percentuale però solo poco inferiore alla media Ue del 25,4%. Questo, spiega il Referto, incide negativamente sul tasso di occupazione.
Per la collaborazione tra università e settore produttivo privato, invece, appare positivo il ruolo degli uffici per il trasferimento tecnologico e imprese spin off, con un notevole incremento della spesa per la protezione della proprietà intellettuale, più che raddoppiata nel quadriennio 2016-2019. Come è quasi raddoppiato il numero dei brevetti concessi riconducibile alle attività di ricerca delle università italiane.
Rendendo evidente, anche in chiave prospettica, il ruolo che le strutture di trasferimento tecnologico possono svolgere per lo sviluppo economico del Paese.