Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Galileo: Cnr e Infm, divorzio lampo?

Galileo: Cnr e Infm, divorzio lampo?

POLITICA DELLA RICERCA

30/06/2006
Decrease text size Increase text size
Galileo

di Roberta Pizzolante

Prima separati, poi uniti e ora di nuovo separati. Dopo l’accorpamento con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) avvenuto con il decreto legislativo n. 127 del 2003 voluto dall’allora ministro Letizia Moratti, per l’Istituto Nazionale di Fisica della Materia (Infm) si profila di nuovo un destino di autonomia. L’intenzione di ripristinare la situazione ante 2003 è stata espressa dal neoministro dell’Università Fabio Mussi, che durante una visita a Genova ha annunciato la presentazione di un disegno di legge per riportare l’Infm fuori dal Cnr. Troppa la perdita di prestigio, di capacità di lavoro e di autonomia in seguito alla fusione, che ha trasformato l’Infm da ente di ricerca di punta in un istituto appesantito dalla lentezza burocratica e dall’immobilismo.

Facciamo un passo indietro. Secondo il decreto che ha portato all’accorpamento dovevano restare per l’Infm le “forme innovative di collaborazione con le università e le imprese, la specificità dei rapporti di lavoro e le forme di autonomia gestionale delle strutture interne”. Ma è stato davvero così? Sembrerebbe di no e i ricercatori l’avevano capito da subito, quando misero in evidenza, non ascoltati, tutti i rischi di questa fusione. L’Infm, una struttura giovane, con un centro gestionale efficiente e flessibile, una rete di laboratori strettamente coordinata con la ricerca nelle università, collaborazioni internazionali di grande respiro e numerosissimi contratti di ricerca con le industrie, all’interno del Cnr rischiava di perdere la propria operatività ed efficienza.

E i timori si sono avverati. Dimezzamento dei finanziamenti rispetto al 2001 (65 milioni di euro), lentezza nella gestione, perdita di autonomia. “I ricercatori e gli scienziati hanno sempre avuto un ruolo attivo nel determinare le strategie della ricerca e i progetti, che invece è stato mortificato da un approccio ‘top down’ di cui hanno sofferto anche i colleghi del Cnr. Si è passati così dalla centralità del punto di vista scientifico nella gestione dell’ente a un modello strumentale e gestionale. Anche la valutazione scientifica è stata mortificata”, spiega Elisa Molinari, fisica che dirige il Centro S3 dell’Infm di Modena e coordina le strutture dell’Infm all’interno del Cnr. “Vogliamo un ente dove essa sia indipendente e gestita secondo standard internazionali, per garantire la qualità e l’apertura alle idee più innovative. Solo così si può essere competitivi. Infine, a causa dell’accorpamento che ha fatto rientrare nel Cnr solo una parte della comunità universitaria che lavorava con l’Infm, si è allentato quel rapporto tra centri e università che era stato tra i fattori di successo dell’Istituto e di vitalità della ricerca”. E Molinari aggiunge: “E’ una situazione che il paese non può permettersi, le scienze della materia sono in enorme espansione nel mondo: basta pensare, per esempio, al ruolo trainante nella ricerca di base, dalle nanoscienze e nanobiotecnologie alle scienze della complessità, e alle applicazioni nella medicina, nell’informazione, nelle nuove strategie per l’energia e l’ambiente. Siamo una comunità scientifica di avanguardia e sarebbe tragico restare indietro proprio adesso”.

Per quanto riguarda i fondi, sono rimasti quelli per i laboratori interni all’Infm, ma sono stati tagliati quelli per la ricerca con le università. “Questa carenza mette a rischio progetti europei e industriali, impedisce di rinnovare le apparecchiature e di dare borse di studio per la formazione dei più giovani. La perdita di prestigio è inoltre legata all’eccessiva burocrazia che rallenta le pratiche per l’acquisto di macchinari o per la presentazione di progetti”, spiega Giorgio Parisi, fisico dell’Università La Sapienza di Roma, funzionario delegato del centro di Meccanica Statistica e Complessità dell’Infm e membro del “Gruppo 2003”, che raccoglie gli scienziati italiani autori delle pubblicazioni scientifiche di maggior impatto.

A farne le spese in prima persona sono soprattutto i giovani. Per loro l’Infm prevedeva una politica del personale tesa a limitare il precariato e a offrire accesso ai ruoli permanenti tramite un percorso competitivo e valutato, ma certo nelle procedure e nei tempi. Erano state per esempio istituite posizioni di ricercatore ‘tenure-track’, simili a quelle nel resto del mondo. Ciò prevedeva che fin dall’inizio i ricercatori avessero un vero contratto di lavoro, quinquennale – evitando quindi il moltiplicarsi di borse di studio o forme di lavoro dequalificate - che poteva diventare a tempo indeterminato dopo valutazioni scientifiche rigorose. “Il Cnr non ha riconosciuto questo sistema e non sta facendo le valutazioni, quindi questi ricercatori, che nel frattempo hanno rifiutato altre offerte, sono in bilico”, denuncia Parisi.

“Con queste posizioni riuscivamo ad attirare e trattenere i migliori, dall’Italia e dall’estero, e a valorizzarne le capacità. Li inserivamo a pieno titolo nel sistema, prevedendo che coordinassero progetti di ricerca e gestissero autonomamente i loro finanziamenti. Se le cose non cambiano subito rischiamo davvero di perdere i migliori”, aggiunge Elisa Molinari.

Si capisce quindi perché l’annuncio del ministro sia stato accolto così bene dal mondo scientifico. Restano però alcune questioni da risolvere. Una legata ai tempi, che secondo il ministro Mussi saranno quelli parlamentari, e l’altra riguardante i vari istituti di fisica della materia che sono dentro il Cnr ma che non appartengono all’Infm. Che farne? Secondo Parisi “sarebbe logico che facessero capo a un unico ente ma bisogna aspettare e capire se il ministro intende lasciarli nel Cnr oppure unirli al nuovo Infm e in quale fase. In generale, per far tornare grande la ricerca all’Infm e in Italia, si devono riportare i fondi a quelli del 2001, concentrarli nelle iniziative migliori e fare assunzioni tramite concorsi e nel modo più limpido possibile”.

Magazine, 7 luglio 2006