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Gelmini battuta sulle «code» E cade un pezzo di Collegato

Scuola, la Consulta boccia le graduatorie. Passa norma Pd sui precari

10/02/2011
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il manifesto

Antonio Sciotto

ROMA
Novità sui precari. La Corte costituzionale ha bocciato ieri la norma voluta dalla ministra Gelmini nel 2009, secondo cui gli insegnanti che cambiano provincia vengono inseriti nella coda della graduatoria, e non «a pettine», indipendentemente dal punteggio di merito: regola voluta dalla Lega per favorire gli insegnanti del Nord, «insidiati» da quelli che si trasferiscono dal Sud. Le graduatorie adesso dovrannoe essere rifatte, ha annunciato lo stesso ministero.
C'è da segnalare poi una piccola vittoria contro il Collegato lavoro, la legge-mostro «brucia-diritti» entrata in vigore lo scorso 24 novembre e che in marzo era stata rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica, perché troppo carica di norme a rischio di incostituzionalità. Ieri un emendamento al «milleproroghe» ha soppresso, almeno in parte, la «tagliola» contro i precari, ovvero la nuova norma secondo cui alla scadenza di un contratto a termine, il lavoratore ha solo 60 giorni di tempo per presentare ricorso. L'emendamento, presentato dal Pd, ha cancellato la «retroattività» della tagliola, che prevedeva che per i contratti terminati prima dell'entrata in vigore della legge (e dunque per esempio in tutto il 2010) valesse la scadenza del 23 gennaio 2011: cioè 60 giorni dopo l'entrata in vigore, e quindi per molti il termine era già bello che scaduto.
Ma come mai si è creata una crepa nella maggioranza che ha fatto scricchiolare una delle parti più assurde della legge-mostro? Come spiega la Cgil - unico sindacato ad aver contrastato il Collegato - dopo l'entrata in vigore, sono arrivati alle imprese migliaia di ricorsi: «La nostra campagna di mobilitazione e di informazione ha fruttato - spiega il segretario confederale Fulvio Fammoni - non solo con questa prima vittoria in Parlamento, ma anche su un piano che avevamo largamente previsto: e cioè i precari, allarmati dalla legge, hanno fatto causa in massa alle imprese presso cui avevano lavorato».
Una «zappa sui piedi» che il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, zelantissimo nel destrutturare i diritti del lavoro, probabilmente non aveva previsto al momento di concepire l'impianto di questa legge: magari pensava che tutto sarebbe morto nella disinformazione, e che passati i 60 giorni i precari sarebbero rimasti fregati, «abbonando» del tutto le loro pendenze alle imprese. «E invece no - continua Fammoni - in migliaia hanno fatto ricorso, e non solo attraverso gli uffici vertenze della Cgil, ma anche presso i sindacati che non hanno mai criticato il Collegato». Vedi alle voci Cisl e Uil.
Fa piacere che il «mostro» abbia avuto almeno il lato positivo di incoraggiare tanti precari a fare causa alle imprese che li hanno sfruttati, anche se bisogna calcolare che molti di loro avrebbero forse volentieri aspettato più tempo, magari in attesa di un rinnovo. «Noi abbiamo contestato non solo la retroattività, assurda e incostituzionale - dice Fammoni - ma anche il termine troppo breve dei 60 giorni. Un lasso di tempo che dovrebbe essere corretto almeno fino a un anno, perché tanti precari, anche se hanno gli estremi e le ragioni per una causa, spesso preferiscono aspettare che l'azienda li ricontatti per un nuovo contratto. E questa verifica, in molti casi, non la puoi fare prima di tre o più mesi».
Ma se c'è stata questa piccola vittoria, «restano ancora tanti gli aspetti che non vanno nel Collegato», dicono alla Cgil. «Non solo resta il problema generale dei 60 giorni, su cui continueremo a fare campagna - dice Fammoni - ma ricordiamo le norme molto gravi relative all'apprendistato a 15 anni, alla certificazione, all'arbitrato di equità. Sono due anni che contrastiamo tutti questi aspetti, e se adesso stiamo raccogliendo qualche frutto non ci possiamo nè dobbiamo fermare».
Un'altra «chicchetta» mostruosa del Collegato, riguarda il risarcimento in caso di reintegro: mentre in passato si poteva riuscire a ottenere tutti gli stipendi e contributi persi dal momento del licenziamento, il «regalino» fatto dalla maggioranza e dal governo a chi viene reintegrato è che oggi il giudice potrà riconoscergli solo da 2,5 a 12 mensilità, comprensive dei contributi. Una vera ingiustizia, e l'ennesimo regalo alle imprese, che grazie al Collegato è legge. «È una delle norme contro cui dobbiamo continuare a batterci - dice Fammoni - Ma è importante sapere che non solo diversi giudici ma anche la Cassazione hanno già sollevato l'eccezione di incostituzionalità di fronte alla Corte costituzionale, per alcune cause in corso. Il che ci incoraggia».