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Giornale di Brescia-Bertagna: "Una riforma attesa che valorizza la responsabilità"

Bertagna: "Una riforma attesa che valorizza la responsabilità" Francesca Sandrini ...

29/05/2005
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Giornale di Brescia

Bertagna: "Una riforma attesa che valorizza la responsabilità"


Francesca Sandrini


È finita "la maledizione della secondaria". Per la prima volta nella storia dell'Italia repubblicana anche la scuola superiore avrà la sua riforma - una riforma "organica e sistematica" -, per tre volte tentata in passato e fallita tra le liti della maggioranza dopo l'approvazione da parte di un ramo del Parlamento. A sottolinearlo è Giuseppe Bertagna, il bresciano direttore del dipartimento di Scienze della persona all'Università di Bergamo, che negli anni 2001 e 2002 ha presiduto la Commissione incaricata di preparare i materiali alla base della riforma scolastica. "Potrà essere giudicato bene o male - commenta Bertagna al riguardo - ma finalmente il Paese si è dotato di uno strumento previsto dalla Costituzione", ovvero le leggi generali sull'istruzione, e mai realizzato. Con la conseguenza che "i programmi di insegnamento hanno spesso supplito a questa carenza". Una carenza legislativa e di scelta politica, quindi, che, d'altro canto, ha determinato una situazione anomala nel nostro Paese: "per fare i programmi servivano anni", come dimostrano le date che hanno scandito il rinnovamento della Scuole elementare (1955 e 1985), della Media (1963 e 1979) e della Scuola materna (1969 e 1991). A fronte di questi tempi lunghi, possono essere considerati un record i quattro anni impiegati per la riforma legata al nome del ministro Moratti e, nell'ambito di essa, del decreto legislativo sulla Scuola secondaria che il Consiglio dei ministri ha appena approvato.
Il professore bresciano non nega che esso possa contenere "imperfezioni o disarmonie. Ma è anche vero - aggiunge - che adesso si potranno correggere in modo meno oneroso".
Per quanto riguarda il merito della riforma della Scuola secondaria, Bertagna spiega che la versione finale - con la pari dignità tra licei da un lato e istruzione e formazione professionale dall'altro - è il risultato di un dibattito cui hanno partecipato forze politiche, sindacati e altre realtà coinvolte a vario titolo. E che c'è ancora un po' di strada da percorrere. Una volta concluso l'iter legislativo, infatti, toccherà alle Regioni innanzitutto (e agli istituti scolastiche poi) raccogliere "la sfida di un unico sistema educativo" caratterizzato dall'"integrazione dell'offerta formativa nella distinzione dei percorsi". Quanto alle obiezioni che proprio su tale peculiarità si sono concentrate, lo studioso le ritiene "più che legittime perché si parte da un dato di fatto gerarchico: i licei non godono dello stesso prestigio sociale degli istituti tecnici e lo stesso vale per questi rispetto agli istituti professionali". Da parte sua, la legge
non impone nulla, ma
va nella direzione di "una grande valorizzazione della progettualità e della responsabilità". Che implicano uno sforzo da parte di "tutti i soggetti istituzionali". Il cambiamento, infatti, riguarderà il metodo di lavoro nella scuola (anche se alcune significative esperienze sono già in atto, come è evidente in alcuni istituti bresciani). Ma, prima ancora, una mentalità comune. Si tratta in sostanza di comprendere il principio ispiratore della riforma della Scuola secondaria: quello secondo cui "oggi non è più possibile immaginare i percorsi professionali come un ghetto per chi non riesce a fare il liceo" e, parallelamente, che "i licei non possono limitarsi a interessarsi della razionalità teoretica". La riforma, puntualizza Bertagna, è però ben lontana dal "confondere le due cose"; intende piuttosto affermare che "non è possibile separarle". E questo convincimento proviene dall'aver "capito che l'Italia vive un declino economico perché si è persa la scommessa di nobilitare sul piano culturale la formazione professionale". Mentre per essere competitivi oggi bisogna saper "lavorare in modo intelligente". Con "la capacità di trovare quelle soluzioni che hanno fatto grande l'Italia".