I bus, i banchi, i tamponi La scuola condannata da otto mesi di errori
La ricostruzione attraverso i verbali riservati del Comitato tecnico scientifico
Corrado Zunino
ROMA — La ministra dell’Istruzione, e il suo governo, sulla scuola sono arrivati sempre tardi. Nella stagione più difficile, il 2020. Sui banchi, sul piano trasporti. Sull’arruolamento degli insegnanti e dei bidelli. Lavorando in un castello fragile, costruito su decine di migliaia di docenti precari, sotto solai instabili e dentro stanze scomode, il ritardo accumulato ha fatto sì che, alla ripresa del 2021, sedici regioni abbiano tenuto a casa gli studenti più grandi. Gli istituti superiori, quasi tre milioni di ragazzi. Non è stata una questione di governatori traditori, il patto del 23 dicembre, i trasporti rinforzati e i doppi turni. «Lucia Azzolina si assuma le sue responsabilità», dice la segretaria della Cisl, Annamaria Furlan. La verità è che la scuola non era pronta, undici mesi dopo l’arrivo del coronavirus in Italia, a un rientro in presenza.
Il 4 aprile, tutto è chiaro
L’insicurezza in classe — ora certificata da lavori statistici, epidemiologici — ha una data lontana in questo anno in cui non si poteva perdere un giorno. Il 4 aprile. È nei verbali del Comitato tecnico scientifico.
Quel giorno, verbale 44, con l’epidemia già pandemia, le classi chiuse da un mese o un mese e mezzo, il Cts scriveva: «Nessuno dei modelli matematici prende in esame la riapertura delle scuole». E cinque giorni dopo, a una ministra che ipotizza ritorni in aula dopo Pasqua, il consesso ribadisce con garbo istituzionale: «Suggeriamo il mantenimento della sospensione dell’attività di didattica frontale fino all’inizio del prossimo anno scolastico ». Chiaro. Azzolina, nei salotti tv e pure nelle sedi istituzionali, insiste: proviamo a rientrare dopo le feste laiche, faremo una Maturità completa. No, non bocceremo nessuno. Si sofferma sull’anno in corso ritardando la preparazione alla riapertura scolastica di settembre.
Glielo dice il mondo della scuola, il 13 aprile. Il suo sottosegretario, Giuseppe De Cristofaro, allora: «È il momento di trovare tre miliardi per la scuola italiana». Serve il rinnovo del contratto per i docenti e un aumento in busta paga: i carichi di questa rinascita peseranno sulle spalle degli insegnanti. La provveditrice del Veneto, Carmela Palumbo, già direttrice generale del vecchio Miur, indica la strada della didattica mista: non alienante come quella a distanza, non pericolosa come quella in presenza. «Spiegazioni online e verifiche in classe, a gruppi». Il ministero boccia tutto, soprattutto i soldi ai docenti. E non c’è un contropiano. Racconta Miozzo: «Il Cts si è occupato di scuola 49 volte in 40 sedute, ventisette volte solo per la ripartenza dell’anno scolastico, ma dal ministero non abbiamo ricevuto richieste per il ritorno in classe prima dell’estate». Il Comitato tecnico scientifico inizia a costruire la difesa della scuola il 28 maggio, 109 giorni prima della riapertura, e si capisce subito che la strada necessaria è il dimezzamento di molti classi e il raddoppio dei turni. Lo scrive Patrizio Bianchi, presidente di una commissione insediata dalla stessa ministra. I diciotto esperti a fine maggio producono queste indicazioni: «Lezioni di 40-50 minuti, aumento tra 80 e 120 mila docenti, un’immunità Covid per i presidi». Librone nel cassetto e, come ricorderà Bianchi, «nessun dibattito nel Paese».
Gli errori nelle assunzioni
Non arriveranno per tempo neppure docenti di ruolo e supplenti. La ministra prende due decisioni che fanno saltare il banco. Si oppone all’assunzione diretta di trentaduemila precari e chiede il concorso in una fase di pandemia in discesa. Si rischia la prima crisi di governo e se ne esce con una mediazione del premier che, comunque, non porterà docenti in cattedra al primo settembre. Azzolina, poi, decide di prendere lo strumento con cui si regola l’arruolamento a scuola — le Graduatorie provinciali — e le trasforma in un file online. Idea con un senso, ma applicata — per 753.750 aspiranti insegnanti — il 22 luglio, fuori tempo massimo. Le due settimane di inserimento dati sono un incubo di “error” e curriculum gonfiati, le chiamate agli uffici scolastici si protrarranno per mesi con un filo conduttore: rese pubbliche la notte, saranno ritirate il pomeriggio successivo. Questi vuoti contribuiscono a rendere l’ottobre della pandemia in salita e dei prof in quarantena un puzzle da incubo: presidi stremati dal lavoro estivo non riescono a comporre l’orario, i ritardi delle Asl nel comunicare le positività lasciano le classi nude.
“In classe, purché a un metro”
Già, il ritardo, e le scelte estemporanee. Quando le Regioni rivelano che una legge del 1975 consente agli alunni di restare tutti in aula mantenendo un metro di distanza da bocca a bocca, il ministero dimentica il progetto di smezzare le classi e si affida ai banchi ristretti.
Una lettera della ministra al commissario Arcuri, il 30 giugno, fa partire il bando più pazzo del mondo, chiuso, riaperto, richiuso: porterà i suoi 2,4 milioni di banchi a (quasi) tutte le scuole del Paese soltanto a novembre. Ma la scuola non era partita il 14 settembre? Nessuna discussione si avvia nel Paese sull’effetto aerosol in stanze chiuse. Nessun investimento sui filtri alle finestre, l’areazione forzata. Gli atti del Cts messi in fila ricordano che già al 23 giugno gli scienziati chiedono test sierologici per tutto il personale scolastico. La prima Regione a intervenire sarà il Piemonte, il 4 gennaio 2021. Di trasporto pubblico e orari da concertare con i presidi gli scienziati pubblici ne parlano la prima volta il 18 aprile 2020. I ministri De Micheli, Boccia, Speranza e Azzolina non apriranno un tavolo sul tema. Dovranno intervenire i prefetti. Tardi, troppo tardi.