I docenti di Bologna: "Caro Draghi, la scuola resti in presenza". Firmano anche don Ciotti e Bassanini
La lettera al premier parte da un gruppo di professori del liceo Da Vinci. E si è allargata a intellettuali e psicologi in tutta Italia. Tra i nomi, Andrea Canevaro, don Antonio Mazzi e Anna Oliverio Ferraris
Ilaria Venturi
Un appello al premier Mario Draghi affinchè la scuola non sia e non torni più a distanza. Parte da un gruppo di docenti del liceo da Vinci di Casalecchio, alle porte di Bologna: da giorni fanno lezioni in dad nel cortile dell'istituto per tenere alta l'attenzione sulla scuola come bene pubblico anche quando le superiori sono tornate in presenza al 50%. La lettera è sottoscritta da tanti insegnanti ed educatori, per ora una sessantina, tra cui tra cui Franco Bassanini, Andrea Canevaro, don Luigi Ciotti, don Antonio Mazzi, Anna Oliverio Ferraris. "Noi insegnanti siamo pronti a fare la nostra parte, anche con misure straordinarie, ascolti la nostra voce aprendo fin da subito un tavolo istituzionale", la richiesta.
"Può in democrazia un organo costituzionale come la scuola essere sospeso dal suo funzionamento, e addirittura in assenza di una cornice temporale definita? Un fatto straordinario, si obietterà, come straordinaria è la pandemia in corso - si legge - Ma ben più straordinario dovrebbe apparire come sia stato proprio questo ganglio vitale della società democratica, la scuola, ad essere individuato come l’unico sacrificabile nella lotta al morbo, l’unico resecabile, all’occorrenza, dal tessuto del paese, senza tema di riceverne eccessivi traumi e scompensi sociali. Non le fabbriche di automobili o di elettrodomestici, non gli uffici postali o le sedi delle grandi aziende private, non i bar o le tabaccherie, ma la Scuola sì: si è ritenuto di poterla mettere in pausa a tempo indeterminato e senza troppi patemi. E così è stato fatto".
Nell'appello - tra i firmatari anche psicologi del Gruppo Abele, i coordinatori di Libera dell'Emilia-Romagna, di Bologna e di Forlì-Cesena, don Matteo Prodi, le pedagogiste dell'Alma Mater Elena Luppi e Roberta Caldin - si respinge l'idea che si è fatto scuola comunque, anche a distanza. E in effetti i programmi, soprattutto alle superiori, le più penalizzate in questo secondo anno di pandemia, sono andati avanti . "Perché per potersi cimentare con la missione costituzionale che l’articolo 34 della Costituzione, la scuola non può essere ridotta a un luogo virtuale, ma ha bisogno di esistere come luogo fisico aperto alle relazioni, allo scambio vivo delle idee, all’incontro plurale dei costumi e dei modelli di comportamento". Dunque, osservano i professori, "a poco vale, se non per ragioni di cortesia istituzionale nei confronti del lavoro degli insegnanti e della docile disposizione degli studenti, che il ministro dell’Istruzione Bianchi abbia dichiarato più volte che “la Scuola in Italia non ha mai chiuso”, alludendo così alle attività della didattica a distanza (Dad). Una simile affermazione risulta sfocata e persino mistificatoria".
Quello che viene richiesto è il riconoscimento che la Dad ha permesso di non interrompere le lezioni, ma non di fare scuola. "Contro lo stesso buon senso forse, in molti - genitori, docenti, studenti, osservatori esterni, decisori politici - abbiamo provato a lungo a credere che una didattica di emergenza, da casa, seduti davanti al computer, avrebbe salvato la scuola nella tempesta della pandemia. Ma ormai è necessario prenderne atto: non era vero, non poteva essere vero - continua il testo - Perché per creare il sangue dei cittadini non basta il sistema delle videochiamate e del telelavoro, poco più che brodini tiepidi a confronto dei cibi ben più sostanziosi che servono a nutrire corpi e cervelli in crescita".
Puntualizza il testo: "Se proprio si vuole, allora, diremo che la Dad in Italia non ha mai chiuso, ma non certo che la scuola sia stata aperta". E presenta il conto: da settembre scorso ad oggi, su circa sette mesi di lezione, gli studenti della secondaria superiore sono stati in aula per non più di due mesi e mezzo. In certe parti d'Italia anche meno. "Prima o poi, accanto al quotidiano bollettino epidemiologico si dovrà pur cominciare a computare il bollettino della dispersione e dell’insuccesso scolastico, esiti che rischiano di diventare per non pochi giovani l’anticamera della depressione o della devianza".
Di qui la richiesta al presidente del Consiglio: "La esortiamo ad aver il coraggio di voltare pagina, a partire da un lucido riesame del paradigma interpretativo che vincola le chiusure e riaperture scolastiche alle zone colorate. Questo paradigma ci ha proposto, e riproporrà inevitabilmente ancora, il contrasto tra diritto alla salute e diritto all’istruzione, inaccettabile in una società democratica". Inoltre viene chiesto di includere nell’idea della sanità pubblica anche il benessere psico-fisico dei giovani, le "loro necessità formative e la loro destinazione civile, che noi ci ostiniamo a ritenere debbano stare al centro dell’attenzione generale e debbano essere coltivate nella Scuola della Repubblica, richiamata finalmente e permanentemente alla sua vita costituzionale in presenza. Noi insegnanti siamo pronti a fare la nostra parte, anche con misure straordinarie.