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I limiti della superscienza

Pascal Acot

28/02/2010
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Nel ventunesimo secolo un terremoto o un maremoto sono ancora considerati fatalità. Aspettiamo l'apocalisse con un atteggiamento rassegnato, quasi primitivo.Come se tutto il progresso scientifico e lo sviluppo sociale compiuti negli ultimi secoli non potessero incidere sul nostro modo di affrontare questi eventi. I rischi collegati alla Natura e ai suoi capricci - anche se è sbagliato chiamarli così - vengono sistematicamente sottovalutati. Anzi, coscientemente ignorati. Non è una questione economica: questo argomento è spesso usato da politici in malafede per coprire altre responsabilità. Sappiamo, infatti, che i costi della ricostruzione sono infinitamente più elevati di quelli per prevenire o limitare i danni di sciagure naturali. Il problema non è neanche legato alla conoscenza scientifica. Da tempo ormai sono disponibili tecniche e attrezzature adeguate. Piuttosto, mi sono convinto che esista una carenza di programmazione sul lungo periodo, una cronica mancanza di lungimiranza di chi detiene il potere. Forse esiste anche una certa dose di cinismo che impedisce di pensare collettivamente. Le catastrofi naturali sono percepite come un´eventualità remota. Ognuno di noi cerca di allontanare dentro di sé questa paura, sperando inconsapevolmente di potersi salvare oppure che toccherà a qualcun altro.
Ogni volta che si ripete un disastro naturale, mi colpisce l´impreparazione delle autorità. Nel 2004, quando il maremoto uccise migliaia di persone in Asia, si discusse molto di come evitare una nuova ecatombe. Tutti sapevamo che, prima o poi, ci saremmo ritrovati di fronte a disastri simili. Era solo questione di mesi, anni. Mi ricordo che gli esperti proposero allora sofisticate tecniche di allerta per le popolazioni, come i sismografi da installare in mezzo all´Oceano. Eppure, cinque anni dopo, ecco che l´arrivo di uno tsunami provoca ancora una paura irrazionale, frutto della stessa, identica impreparazione. Poco o nulla è stato fatto in questi anni, persino regioni sismiche come il Cile hanno evitato di investire nella prevenzione.
Certo, la diffusione di informazioni confuse e contraddittorie non aiuta. Abbiamo visto che persino la verità scientifica sul riscaldamento climatico è stata costantemente rimessa in discussione negli ultimi mesi. Assistiamo a una nuova ondata di scetticismo solo perché si sono registrate forti nevicate o temperature più fredde rispetto alle medie stagionali. Le perplessità vengono alimentate da studi più o meno credibili, dai media, dai blog. Il risultato immediato è quello di alimentare un senso di impotenza di fronte alla Natura. Se non ci sono certezze scientifiche, allora diventa impossibile fare qualcosa. Il dibattito scientifico, che pure deve esistere, non dovrebbe diventare pretesto per deresponsabilizzare la politica. È compito delle autorità pianificare investimenti pubblici per affrontare rischi geologici o climatici. È pericoloso fornire ulteriori alibi per una politica dell´inazione.
Ho scritto spesso che non esistono catastrofi «naturali» ma disastri sociali, provocati cioè dalla negligenza dell´Uomo. L´arricchimento progressivo di una parte dell´umanità dimostra che, statisticamente, sono sempre le popolazioni povere ad essere più colpite durante un terremoto o uno tsunami. Sono i bambini che vivono in baracche di lamiere. Sono i pescatori che nessuno riesce a raggiungere nei loro villaggi. La lotta alla povertà è, in definitiva, il modo più efficace per difenderci dalle cosiddette catastrofi naturali. Anche per questo dobbiamo finire di credere che si tratti solo di fatalità.

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