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I rettori di Medicina contro l’addio al test: «Non abbiamo le aule»

Il ministro Giannini vuole cancellarli ma non lo ha ancora formalizzato. L’ipotesi di un sistema misto: quiz all’ingresso e sbarramento fra primo e secondo anno

04/08/2014
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Corriere della sera

Orsola Riva

E se il rimedio fosse peggiore del male? Quando, alla vigilia del voto europeo, il ministro dell’Istruzione e segretario di Scelta civica Stefania Giannini annunciò la sua ferma intenzione di mandare in soffitta i contestatissimi test di ingresso a Medicina, a brindare non furono solo le associazioni degli studenti. Anche tante famiglie di ragazzi respinti ai quiz tirarono un sospiro di sollievo: finalmente le porte di Medicina potevano aprirsi anche a chi non era riuscito a rispondere a domande spesso del tutto incongrue con la valutazione di un aspirante medico (dalla filosofia del Tao a Noam Chomsky). Con il passare dei mesi, però, l’addio ai test si sta rivelando un rompicapo molto più difficile del previsto. Tant’è che la presentazione ufficiale del nuovo sistema di selezione ispirato al modello francese (ingresso libero con sbarramento alla fine del primo anno) è stata rinviata da luglio a settembre. L’ipotesi di rottamazione dei quiz ha sollevato fin da subito forti perplessità fra i rettori preoccupati dall’onda d’urto potenzialmente devastante di un’iscrizione di massa a Medicina. Gli aspiranti camici bianchi che hanno tentato la sorte nell’ultimo test di aprile erano 65 mila per poco più di 10 mila posti. Che cosa succederebbe se a settembre 2015 le università dovessero accoglierne altrettanti come matricole? Dove si terrebbero le lezioni? E con quali professori? In Francia esistono aule da 500 posti, ma da noi le strutture sono assolutamente inadeguate. L’aula più grande dell’Università Bicocca di Milano può contenere al massimo 150 studenti mentre quest’anno ai test se ne sono presentati 1.400.

Cristina Messa (Bicocca): «Il sistema dei quiz va migliorato, non eliminato»

«Che il sistema dei quiz vada migliorato lo pensiamo un po’ tutti - dice Cristina Messa, rettrice della Bicocca -. Ma la soluzione non è eliminarli. Semmai bisognerebbe puntare molto di più sull’elemento attitudinale, che è fondamentale nella nostra professione». Dello stesso parere è Roberto Lagalla, rettore dell’Università di Palermo e vice presidente della Conferenza dei rettori con delega alla Medicina. «La selezione preliminare tramite i test va mantenuta – dice Lagalla -. Il punto è che dovrebbero essere molto più coerenti con i saperi liceali». Secondo Giuseppe Novelli, rettore dell’Università di Tor Vergata a Roma, potrebbero essere anticipati al quarto anno per evitare sgradevoli sovrapposizioni con la maturità. Una volta passato lo scoglio dei test, si potrebbe sì pensare a un modello simile al sistema francese come ipotizzato dal ministro Giannini.

Novelli (Tor Vergata): «Ci vorrebbe un primo anno comune a Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Biotecnologie»

«Un primo anno comune a corsi di laurea affini come Medicina, Odontoiatria, Farmacia e Biotecnologie - spiega Novelli - con 5 insegnamenti di base (chimica, fisica, biologia, informatica e statistica medica) ed esami finali per accedere al secondo anno». Perché, e su questo il ministro Giannini è stata chiara fin dal principio, test o non test, Medicina resta a numero chiuso con un contingente di posti stabilito in base al fabbisogno delle singole regioni.

Pecorelli (Brescia): «Nei Paesi anglosassoni la pre-scuola dura due anni, da noi potrebbe durarne uno solo»

L’ipotesi di una pre-scuola «biomed» piace anche a Sergio Pecorelli, rettore dell’Università di Brescia: «Nei Paesi anglosassoni dura due anni, da noi potrebbe durarne uno solo». Ma come si svolgerebbe la selezione per accedere alla vera e propria scuola di Medicina? Il sistema dei test, per quanto imperfetto, dà infatti maggiori garanzie di obiettività di un esame orale che è molto più esposto a favoritismi e raccomandazioni.

Lagalla (Palermo): «Per evitare raccomandazioni agli esami, la prova di fine anno dovrebbe essere una specie di Invalsi uguale per tutti»

«Se si vuole veramente garantire a tutti la stessa opportunità, ci vuole una prova preparata a livello nazionale, una specie di Invalsi che faccia riferimento alle materie studiate nel primo anno», suggerisce Lagalla. Da Lagalla a Novelli, da Cristina Messa a Pecorelli, tutti però insistono sul fatto che nessun meccanismo può essere realmente meritocratico se non tiene conto anche del percorso scolastico dei ragazzi. Il problema è che da noi il voto di maturità non serve allo scopo: troppe le disparità fra le regioni, come dimostrato una volta di più dai risultati di quest’anno che hanno visto un record di 100 e lode al Centro-Sud e punteggi molto più stretti al Nord.

L’obiettivo di questo complesso sistema di selezione in due tappe (dal liceo alla pre-school e da qui al corso di Medicina vero e proprio) è uno solo: formare dei bravi medici. «Oggi il chirurgo è diventato un grande tecnocrate – osserva Pecorelli -: oltre alle capacità manuali, deve possedere una serie di conoscenze tecniche. Ma soprattutto deve avere un grande giudizio clinico, sapere se tagliare da una parte o dall’altra, avere una rapida capacità di sintesi». Ecco perché individuare il giusto sistema di valutazione dei ragazzi è così importante.