Il bello della fisica è riuscire a trovare la logica nel caos
Giorgio Parisi, ricercatore dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, docente a La Sapienza di Roma e Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei
In oltre 50 anni di ricerca nella fisica, Giorgio Parisi, ricercatore dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, docente a La Sapienza di Roma e Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei, ha fornito un contributo determinante, con scoperte pionieristiche nella teoria quantistica dei campi, in meccanica statistica e nei sistemi complessi. Questa è la motivazione con cui gli è stato assegnato il Wolf Prize per la fisica 2021, uno dei riconoscimenti internazionali più prestigiosi della fisica, che per molti suoi colleghi ha anticipato il Nobel.
Torniamo a quando tutto è iniziato, la scelta della fisica. Qual è stata la spinta?
«La curiosità. Essere stato il primo ad aver capito qualcosa dà una certa soddisfazione interiore. Tanta gente passa il tempo a fare i puzzle, ecco, la ricerca è come mettere insieme dei pezzi che sembrano non essere connessi l'uno con l'altro e che se uno risolve diventano patrimonio dell'umanità».
Da profani si può immaginare la complessità della fisica, ma dove si trova la bellezza?
«C'è una massima di Eraclito che dice Un mucchio di rifiuti sparsi a caso è l'ordine più bello. Cosa volesse dire non è chiaro, Eraclito è soprannominato l'Oscuro e nelle sue massime ognuno ci trova quel che vuole, ma ciò che è bello della complessità della fisica è che ognuno riesce a vedere in cose in apparenza casuali, un ordine ed una logica che sfuggono. È una bellezza intellettuale».
Nel 1979 lei diede un importante contributo alla teoria dei Vetri di Spin, che sono alla base delle reti neurali e dell'attuale intelligenza artificiale. Cosa sono?
«Supponiamo di avere un gruppo di persone, in cui ci sono simpatici o antipatici, come spesso capita perché i rapporti sono variabili. Dividiamoli in due pulmini, le persone simpatiche tra di loro vorranno stare insieme ed evitare le antipatiche, ma questo non è possibile, perché se l'amico del tuo amico è tuo nemico, a quel punto non sappiamo più se seguire il nostro amico o allontanarci dal nemico. Il problema dei Vetri di Spin è trovare la situazione che migliora al massimo la soddisfazione generale».
E quali sono i punti di contatto tra questa teoria e l'intelligenza artificiale che pervade la nostra quotidianità?
«All'inizio degli anni Ottanta, uno dei lavori di Hopfield sulle reti neurali cita proprio i Vetri di Spin, in una sorta di vero e proprio passaggio di conoscenze. Le reti neurali sono fatte di tanti neuroni, ognuno dei quali manda dei segnali ad altri neuroni; segnali che possono essere eccitatori o inibitori, quindi attivare o disattivare i neuroni. Questo schema è molto simile ai segnali contraddittori che arrivano nei Vetri di Spin, dove, tornando all'esempio, uno - allo stesso tempo - è attratto da un amico e respinto da un nemico, che sono entrambi sullo stesso autobus. Il problema è comprendere come i sistemi, composti da molte unità che si scambiano informazioni e richieste, possano muoversi quando queste siano contraddittorie una con l'altra».
C'è stato un passaggio abbastanza rapido dalle teorie sulle reti al machine learning. Siamo in un momento storico in cui il gap tra ipotesi scientifiche e trasformazione tecnologica, è più ravvicinato rispetto al passato?
«No, è sempre stato così, si pensi al transistor. Prima concepito teoricamente, poi scoperto da Bardeen e Shockley, dopodiché in pochi anni sono arrivate le prime radio portatili giapponesi, da piccolo me le ricordo grandi come un armadio. Anche le reti neurali sono state sviluppate nell'arco di 40 anni, mentre in altri casi il passaggio è stato anche più rapido».
Viviamo però in un'epoca in cui la tecnologia è a basso costo e in tasca. Questo non ha cambiato nulla?
«Le innovazioni un tempo erano isolate, oggi ce ne sono moltissime in tanti campi, una dopo l'altra. Pensiamo ai vaccini Rna che cinque anni fa sarebbero stati impossibili, mentre il Moderna è stato progettato in due giorni. La differenza rispetto al passato è nel numero delle innovazioni che arrivano nelle nostre case».
Intravede una prossima rivoluzione tecnologica che cambierà la nostra quotidianità?
«Di previsioni del futuro ne ho viste tante sbagliate. Da Edison che non voleva che si utilizzassero i grammofoni per registrare musica al direttore di Ibm, che dopo aver costruito il primo computer disse non ne venderemo più di 5. Credo che l'informatizzazione della medicina ci permetterà di comprendere molte cose, per esempio questa nuova tecnologia per creare vaccini con Rna messaggero cambierà la medicina. Possiamo immaginare un importante sviluppo di farmaci per la cura dei tumori e delle malattie infettive».
Però la scienza, che con la pandemia è finita nei talk show, non ha creato anche confusione tra le persone comuni?
«Gli scienziati hanno sempre litigato, ma nei convegni, lontani dai media. Con la pandemia si è verificato un corto circuito e un'enorme novità interpretata in modo diverso da ciascuno. L'urgenza di dover parlare della pandemia di fronte alla telecamera ha acuito i dissapori e gli scienziati che litigano hanno fatto audience, ma l'analisi dei dati è fondamentale per capire dove siamo e cosa succede».
Torniamo nel futuro. Le auto a guida autonoma arriveranno?
«Sì, ho l'impressione che gli annunci delle case automobilistiche siano motivati dalla ricerca di finanziamenti dei loro progetti, però le auto arriveranno e saranno un cambiamento enorme delle nostre abitudini. Spariranno i taxi, le persone che fanno le consegne, in parte anche le auto private, ma spero che si compia la transizione ecologica perché siamo in una situazione molto grave in merito al cambiamento climatico, dobbiamo diminuire l'impatto sulle risorse limitate del pianeta».
Chiudo con una battuta. Dopo il Wolf Prize, il Nobel?
«Io sono un probabilista. Circa un quarto dei miei colleghi vincitori del Wolf Prize, poi ha avuto il Nobel».
Paolo Travisi