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Il bilancio sociale dell'istruzione

L'istituto Spinelli di Milano

02/07/2011
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Rassegna.it

Sara Picardo

Un preside sindacalista prossimo alla pensione. Un gruppo di professori disposti a mettersi in gioco. E, infine, decine di studenti, ex studenti ed esperti esterni contenti di collaborare al miglioramento della scuola pubblica. Sono questi gli ingredienti che hanno permesso all'istituto Spinelli di Milano di mettere in piedi e, soprattuto, di portare avanti con successo un progetto di autovalutazione che non ha nulla da invidiare a un bilancio sociale vero e proprio. Si tratta di un percorso di due anni in cui tutti gli attori della scuola – dagli alunni ai docenti, ai familiari ed ex alunni – si confrontano e si valutano in un percorso partecipato e condiviso; alla fine del quale, come si suol dire, raddrizzano il tiro per il biennio successivo in base ai suggerimenti ricevuti. Il nome scelto per il progetto – Conferenza d’istituto – indica sia la fase di consultazione sia il momento finale in cui i risultati della consultazione stessa vengono confrontati tra loro.

“Serve molta capacità di autoanalisi e disponibilità alla partecipazione e al confronto costante – dice Antonio Valentino, preside dell’istituto – ma alla fine la soddisfazione che se ne trae è enorme e ruota tutta intorno a una maggiore consapevolezza del proprio percorso scolastico e dell'utilità di procedere insieme”.
Ma vediamo come funziona la Conferenza. Durante l'anno scolastico vengono distribuiti tra studenti, genitori ed ex studenti questionari qualitativi su alcuni aspetti importanti della vita scolastica. I risultati vengono poi confrontati e utilizzati dal gruppo docente per migliorare la collaborazione al suo interno e con la classe, ma dei risultati gli insegnanti parlano e discutono anche in aula. Solo la fase finale del processo di valutazione è affidata a esperti esterni: per trarre da uno sguardo “altro” ulteriori spunti di riflessione e autoanalisi.

Dopo sette anni di sperimentazione lo Spinelli è riuscito a metter su un laboratorio di buone pratiche in cui si discute in classe di come migliorare le lezioni, renderle più legate con le altre e maggiormente stimolanti. “La Conferenza è nata dalla necessità di guardarsi dentro in rapporto alle esigenze del mondo circostante – spiega il preside –: non solo il mondo del lavoro, ma anche quello più vasto della società in cui si vive. Ci siamo chiesti che tipo di ragazzi volevamo formare e ci siamo risposti che prima di tutto dovevamo interrogarci su chi eravamo noi”. La novità di questo percorso, prosegue il dirigente scolastico, “non sta tanto nelle interviste agli studenti, che abbiamo sempre realizzato, ma nel fatto che ‘interroghiamo’ anche gli ex allievi, i genitori e gli insegnanti. Non solo: nel nostro percorso assumiamo anche i punti di vista dei partner con i quali realizziamo progetti di scuola-lavoro e stage. La Conferenza diventa così il momento in cui si mettono insieme tutti i diversi input. Insomma: gli studenti sono il nostro punto di riferimento privilegiato, ma non l'unico, e per questo una seconda lettura dei test è affidata a esperti interni ed esterni”.

Sui motivi che rendono, se non necessario, almeno auspicabile un percorso di autovalutazione partecipata Valentino non ha dubbi: “Guardarsi dentro in rapporto agli altri è l'unica modalità per crescere. Se si è autoreferenziali non si arriva da nessuna parte. Se non si accetta il punto di vista altrui non ci sarà mai miglioramento”. Se si guarda ai risultati, si vede che il progetto dà i suoi frutti a livelli diversi. Alla fine dei due anni l'ambiente complessivo è complessivamente migliorato: studenti, genitori e docenti collaborano di più tra loro, fanno assemblee e riunioni che diventano un momento prezioso di consapevolezza condivisa.


“Certo, a casa i ragazzi continuano a studiare poco – sorride il dirigente analizzando le risposte dei ragazzi –, tuttavia la qualità degli stimoli e dell'ambiente fisico ed educativo, e il modo diverso di fare scuola attraverso lezioni partecipate, sono senz’altro migliorati. Ad esempio, prima di cominciare questo percorso solo il 10 per cento degli insegnanti operava in maniera condivisa, ora oltre la metà lavora non più solo secondo l'ottica della lezione frontale, ma anche dell'attività partecipata e laboratoriale”.

La Conferenza, va aggiunto, non è solo uno strumento per sviluppare consapevolezza, ma anche un processo utile per individuare cosa si vuole fare nel biennio successivo. “Nei prossimi due anni, per esempio, lavoreremo sul superamento della divisione in compartimenti stagni tra le diverse materie – spiega il preside –, operando più per dipartimenti che per singole discipline. È questo che i ragazzi ci chiedono”. La scelta del coinvolgimento attivo degli studenti e il fatto di averli resi protagonisti e responsabili del loro apprendimento ha anche inciso profondamente sugli aspetti disciplinari, prima alquanto carenti: quasi impossibile, generalmente, ottenere il silenzio in aula, con episodi anche gravi, come il lancio di sedie e banchi fuori dalle classi.

Ora, grazie al loro coinvolgimento attivo e al fatto di averli resi protagonisti e responsabili del proprio apprendimento, gli alunni dello Spinelli sono tra i più disciplinati della città: escono, sono invitati a mostre e conferenze; a loro volta invitano altri studenti e docenti. Uno dei risultati tangibili di questo diverso atteggiamento rispetto alla scuola è “Lo Spinelli in mostra”. Una manifestazione in cui i ragazzi espongono quello che producono. “Prima della Conferenza – racconta il preside – nessuno dei prodotti esposti era realizzato direttamente dagli studenti. Quest’anno i lavori sono addirittura trentotto: manufatti, robotini, filmati girati durante l'autogestione da insegnanti e studenti insieme. Tutto questo è possibile perché la nostra idea di autovalutazione rende gli studenti protagonisti”.

E i professori cosa pensano di tutto ciò? A leggere le loro relazioni si direbbe un gran bene: anche per loro il riscontro dei ragazzi è importante; vederli più attivi e motivati in classe innesca un'energia positiva, rende meno faticosa e più induttiva la lezione e favorisce il rapporto personale e umano tra docente e discente. Insomma: prove per una scuola del futur