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Il Campanile-A SCUOLA "DIVISI" PER CLASSI SOCIALI

A SCUOLA "DIVISI" PER CLASSI SOCIALI Il punto sulla riforma Moratti: forza formativa ridotta e canale "professionale" riservato ai più svantaggiati di Daniela Silvestri* Il 5 luglio 2001 il ...

31/08/2005
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Il Campanile

A SCUOLA "DIVISI" PER CLASSI SOCIALI
Il punto sulla riforma Moratti: forza formativa ridotta e canale "professionale" riservato ai più svantaggiati
di Daniela Silvestri*
Il 5 luglio 2001 il Ministro Letizia Brachetti Moratti informava seccamente il mondo scolastico ed accademico del blocco dell'applicazione della riforma dei cicli scolastici (legge 3/2000) e del ritiro dei seguenti provvedimenti già inviati dal precedente governo, per la registrazione alla Corte dei conti: Decreto Interministeriale 7 maggio 2001, recante norme in materia di curricoli della scuola di base, ai sensi dell'articolo 8 del Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999 n.275; Decreto Interministeriale prot.n.11304/DM del 4 giugno 2001, recante norme relative ai titoli universitari ed ai curricoli richiesti per il reclutamento degli insegnanti della scuola di base; Decreto n.91 del 21 maggio 2001, concernente iniziative di innovazione degli ordinamenti della scuola dell'infanzia, adottato ai sensi dell'articolo 11 del D.P.R.n.275/99 e per il quale erano state fornite alcune indicazioni illustrative del progetto, con lettera circolare prot.n.4110 del 21 maggio 2001. La Moratti informava altresì, di aver ritirato lo schema di Decreto di modifica e integrazione del Decreto Interministeriale n.234 del 26 giugno 2000, recante norme in materia di curricoli dell'autonomia delle istituzioni scolastiche della scuola secondaria, adottato ai sensi dell'art. 8 del Decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n.275, già inviato per il prescritto concerto al Ministero del Tesoro. Precisava, formalmente,che i provvedimenti menzionati, in quanto privi del requisito dell'efficacia in mancanza di registrazione, non potevano produrre effetti. Senza compiere un'analisi approfondita sulle esigenze della scuola italiana e sulle prospettive nazionali, europee e mondiali della società della conoscenza, la maggioranza di centro-destra, fin dalle prime settimane di governo, ha voluto imporre una sorta di vendetta, l'azzeramento della maggior parte dei processi innovativi realizzati dal governo di centro-sinistra e la modifica di alcune riforme dei primi anni Novanta (quali quella della scuola elementare considerata addirittura frutto di politiche consociative e sindacali).

- Situazione attuale. L'abrogazione della Legge 9/99, che aveva elevato a 10 anni l'obbligo scolastico - e solo in via provvisoria esteso a 9 anni -, a seguito dell'entrata in vigore della cosiddetta riforma Moratti, e cioè della 53/2003 e dei relativi decreti attuativi, crea problemi e rischi gravi. E' vero che si riconferma l'obbligo formativo fino ai 18 anni (già previsto dalla berlingueriana legge 17 maggio 1999, n. 144). ma questa soluzione, in assenza dell'obbligo scolastico fino ai 15/16 anni e in presenza di un modello pedagogico e culturale non adeguato ai bisogni delle persone e alle esigenze della società può snaturarsi e condurre a deviazioni, per il perdurare nel nostro Paese di difficoltà sociali ed economiche,di annosa mancanza di strutture adeguate,di notevole debolezza del canale formativo non scolastico, di gravi squilibri tra varie aree territoriali. Va inoltre aggiunto che, il modello della Moratti è estremamente ambiguo in riferimento al rapporto tra dimensioni dell'istruzione "disinteressata", formazione professionale, e apprendistato lavorativo, considerati quasi "momenti" intercambiabili. All'apprendistato previsto dall'obbligo formativo del centrosinistra, la cosiddetta legge Biagi sul mercato del lavoro aveva già tolto il vincolo delle 240 ore di formazione esterna all'impresa. Per effetto del combinato disposto tra legge 30 sul mercato del lavoro e legge 53 sull'istruzione, l'adempimento del cosiddetto diritto-dovere e il conseguimento della qualifica può quindi essere ottenuto senza neanche un'ora di formazione esterna! Il ragazzo o la ragazza che, a 13 anni e mezzo, sceglie di uscire dalla scuola per andare nella formazione professionale regionale può a 15 anni scegliere l'apprendistato per un mestiere a bassa professionalità o rimanere nei corsi di formazione professionale triennale delle Regioni fino ai 17 anni. Chi poi resta nella scuola, ma sceglie il canale dell'istruzione tecnica dopo quattro anni consegue un titolo che non apre le porte dell'Università. Ma quali sono le conseguenze economiche, culturali e sociali del modello educativo sotteso dalla riforma? E' emblematico che nel 2005, in una società che vorrebbe porsi tra le più competitive del mondo, mentre il mondo delle imprese richiede lavoratori con maggiori competenze cognitive e più alto tasso di intelligenza creativa, la riforma Moratti impoverisca la proposta formativa della scuola. Da varie parti si comincia a capire che la riforma è vuota di contenuti positivi, che al contrario introduce nuovi assetti ordinamentali che riportano la scuola indietro nel tempo, che una precoce canalizzazione dei percorsi formativi (anticipata a 13 anni e mezzo, mentre in Europa si tende a procrastinarla fino ai 16 anni, ed improntata ad una netta divaricazione di tipo qualitativo) riduce la forza formativa dell'istruzione e conferma la tradizionale marginalità del canale "professionale", riservandolo ai contesti sociali e culturali più svantaggiati nelle contraddizioni della post-modernità. Al di là della affermazione di pari valore e di aperta integrazione dei due canali, liceale e tecnico-professionale, emerge infatti una forte separatezza tra la cultura cosiddetta disinteressata e quella orientata al lavoro, quasi due mondi non comunicanti. Una riforma è prima di tutto un processo culturale di lunga durata e le buone riforme si fanno apprezzare perché rispondono a bisogni delle persone e alle esigenze della società. Che cosa succederà di questa riforma? Il rischio è che non solo si aggravi quanto già sta accadendo: delegittimazione istituzionale,disorientamenti personali e profonde lacerazioni sociali, ma si pongano ostacoli quasi insuperabili ai livelli culturali e di competitività internazionale che i nostri giovani hanno il diritto di perseguire. Nel frattempo va facendosi strada un approccio "giurisdizionale" alla riforma, quasi che il futuro della scuola italiana debba essere deciso da carte bollate, ricorsi e sentenze.

- Svolta federalista. L'evoluzione costituzionale e legislativa assegna in materia di istruzione ampi poteri normativi alle Regioni, definendo un'area di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. I motivi di contenzioso anche aspro non sono mancati, fin dall'indomani dell'approvazione della Legge Costituzionale n. 3 del 18-10-2001, né sono stati eliminati dalla cosiddetta legge La Loggia, Legge n. 131 del 5 giugno 2003, approvata per chiarire i nuovi rapporti tra Stato e Regioni. Si va anzi delineando la prospettiva di un moltiplicarsi dei conflitti, sia in relazione agli intricati problemi interpretativi discendenti dalla notevole messe di norme del settore, sia in relazione agli aspetti gestionali e di merito. E'di queste settimane la notizia che si apre un nuovo fronte di scontro tra le competenze delle Regioni e dello Stato. La Riforma Moratti subisce una bocciatura ad opera della Giunta Regionale Toscana, che con delibera votata all'unanimità, n. 839 dell'8 agosto 2005, oppone il suo veto all'inizio di qualsiasi tipo di sperimentazione sul proprio territorio riguardante il vasto ed articolato settore dell'istruzione secondaria superiore ed in particolare di quella di tipo professionale. Poiché la sperimentazione ministeriale ha carattere strutturale, modificherebbe in modo irreversibile l'assetto della rete scolastica, violando, secondo la Giunta, le competenze regionali e provinciali. La Corte Costituzionale , peraltro, già chiamata in causa da questioni sollevate dalle Regioni Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia sulla legittimità costituzionale del decreto Moratti sulla scuola dell'infanzia e del primo ciclo, con la sentenza n. 279 del 15/07/2005, non ha dichiarato la legittimità costituzionale di tale decreto, ha soltanto confermato che le "norme generali dell'istruzione" sono di competenza dello Stato. Molti ritengono che con il decreto attuativo sulle superiori, varato dal consiglio dei ministri il 27 maggio scorso, la riforma Moratti possa considerarsi pressoché conclusa, perché anche se il testo deve uscire ancora in Gazzetta ufficiale, l'adempimento è solo tecnico e ad ottobre tutto dovrebbe andare in porto. Il coordinamento degli assessori regionali all'Istruzione non la pensa così. Il decreto istituisce il duplice canale dell'istruzione (otto licei) e della formazione professionale, di cui il primo è di competenza congiunta di Stato e Regioni e il secondo di esclusiva spettanza di queste ultime. Il punto è che le Regioni non sono state consultate (a detta delle interessate) né sulla prima questione né sulla seconda questione. Il coordinamento chiede quindi il riesame del decreto, la sospensione della sperimentazione ed almeno il rinvio di un anno dei tempi di attuazione. In caso contrario, intende rivolgersi alla Consulta. Non è quindi da escludere una stagione di conflitti giurisdizionali, ma meglio sarebbe confrontarsi sulle grandi domande che riguardano l'attuale funzionamento della scuola italiana ed i valori in gioco in una società dei saperi.

- Prospettiva europea. Le politiche educative europee, secondo il memorandum di Lisbona (2000), propongono il grande obiettivo di ridurre la dispersione scolastica nei paesi europei sotto la soglia del 10%, entro il 2010. Attualmente il tasso medio europeo di abbandono scolastico è del 24%. L'Italia, in proposito, è in linea con la media UE, ma alle superiori non arriva al diploma il 27% degli iscritti. Analisi di questo tipo, suggeriscono i punti di priorità nelle riforme, per aggredire i punti deboli del sistema. Innanzitutto la necessità di soluzioni innovative ed incisive per la fascia di alunni dai 14 ai 16 anni, quella più a rischio di dispersione. Ma non solo. E' necessario migliorare le capacità di lettura dei quindicenni e incrementare le competenze matematiche e scientifiche, come dimostrano le rilevazioni Ocse, Pisa 2000 e 2003. Servono, d'altronde,più laureati in matematica, scienze e tecnologia in tutta Europa. L'Europa vive un momento difficile: rivede i patti socio-economici, patisce una difficile congiuntura storica ed economica, soffre la ratifica costituzionale. Una cosa resta certa, la partita del futuro dell'Unione si giocherà soprattutto nella scuola, e non solo perché essa sarà la casa delle nuove generazioni. Oggi solo il 15% degli europei occupati svolge una professione ad alto profilo formativo. Si stima che soltanto nei prossimi 5 anni questa quota dovrà crescere fino al 50%. L'Europa dovrà preparare i cittadini alla sfida della competitività in una società dei saperi; dovrà diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo. Per quanto riguarda il nostro Paese, vale la pena di ricordare che l'analisi degli indicatori OCSE, nella comparazione tra le punte avanzate ci pone un problema di mancata eccellenza cognitiva, ma ci mette nelle posizioni migliori per i risultati dei ragazzi appartenenti alla fascia più bassa di rendimento. Bisogna, dunque, affrontare le prospettive dell'educazione con lucidità, e non con interpretazioni riduttive e rinunciatarie, lavorando sul principio di personalizzazione nell'organizzazione didattica e non su una precoce differenziazione di percorsi ed esiti formativi. I problemi ci sono e vanno affrontati, senza superficialità e in modo non ideologico. Non si possono eludere in via pregiudiziale, come fa il ministro dell'istruzione che,con eccessiva disinvoltura visto che si tratta del destino dei soggetti di educazione, utilizza nei documenti della riforma termini come "capacità, attitudini, vocazioni, talenti", senza nessun riferimento alle condizioni che permettono di sviluppare le potenzialità degli allievi, i loro saperi, competenze e linguaggi. Un respiro realmente europeo ci può aiutare a superare le strettoie di un dibattito italiano troppo appiattito, può portare nuovo ossigeno ad un respiro divenuto troppo corto ed in sostanza asfittico.
*Responsabile Nazionale Dipartimento Scuola, Università e Ricerca