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Il Centro-La scuola della Moratti

di Raffaele Garofalo * La scuola della Moratti Gli esiti finali degli esami di Stato ripropongono a...

01/08/2004
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Il Centro

di Raffaele Garofalo *
La scuola della Moratti

Gli esiti finali degli esami di Stato ripropongono annualmente il problema della funzione della scuola, le cui carenze pesano sempre più sulle spalle degli alunni e delle famiglie. Le bocciature clamorose avvenute quest'anno in alcune scuole (fino a 8 alunni in una classe) mentre vogliono significare un tentativo di difendere una pretesa culturale, sembrano piuttosto rivelarsi un palliativo per nascondere l'inefficienza di un sistema scolastico sempre più alla deriva, incapace di rispondere all'esigenza di un efficace rapporto educativo.
Nel rispetto scrupoloso delle disposizioni della Moratti, si formano classi di 30 alunni fino ad accorpare due quarte nell'ultimo anno, con conseguenti dinamiche negative che pregiudicano l'efficacia dell'insegnamento-apprendimento. L'ironia di Domenico Starnone rileverebbe che, in classi così numerose, un quarto d'ora passa per fare l'appello, mezz'ora per mettere in grado ognuno di dire "bonjour!" con buona pronuncia e, una volta arrivati al trentesimo alunno, il resto della classe ha già provveduto a crearsi altri... interessi! Non si vuole avallare la negligenza di ragazzi che "non studiano" ma nemmeno si può, in tutta onestà, trascurare di chiamare in causa le responsabilità della scuola in presenza di simili clamorosi insuccessi. Le bocciature non rivelano il fallimento a senso unico di chi doveva imparare e non lo ha fatto, chiamano in causa anche gli insegnanti e le strutture scolastiche.
Il compito da sempre attribuito alla scuola è quello di essere dispensatrice di "formazione" e la funzione educativa è rivolta principalmente a suscitare interessi, comunicare passioni (apprendimento socratico...); le "nozioni", oggi più di prima, sono reperibili altrove e con modalità più accattivanti. Nè il processo educativo può rispecchiare le logiche di mercato e di efficienza delle "aziende" berlusconiane e di un ministro "amministratore generale". Con tale spirito gli Istituti scolastici stanno facendo propria una competizione culturalmente deprimente nel tentativo di attrarre gli alunni con "offerte" equiparabili, a volte, agli specchietti per le allodole. Se la scuola della Moratti vede sempre più promossi nelle private, non diventi questa una ragione per avere sempre più bocciati in quella pubblica. La serietà di un Istituto scolastico non si misura dal numero degli alunni "fermati", come un ospedale non si limita a constatare i decessi.
Continueremo a rimpiangere tout court la scuola del passato, convinti che possa rispondere anche ai bisogni di una società profondamente cambiata? Gli operatori del settore sono chiamati a dare una risposta a tale interrogativo, prima che ad assegnare pagelle: è la sfida di una scuola che vuole rinnovarsi adeguandosi ai tempi, senza perdere la sua natura. La gestione della Moratti finora può mettere nel conto solo la riduzione di trentaduemila posti di lavoro, del personale docente e non, con conseguente perdita di "qualità" dell'insegnamento: nei criteri valutativi del ministro la qualità sembra rivestire un ruolo marginale. In omaggio alla riduzione del bilancio sono state accorpate cattedre, rese obbligatorie le 18 ore, tagliati drasticamente i finanziamenti al sostegno e non vengono rimpiazzati gli insegnanti che vanno in pensione. Il decreto trasformato in legge nel mese di giugno, ha introdotto confusione e incertezze in merito al doppio punteggio per il servizio prestato nelle scuole di montagna e alla possibilità di sommare i punti maturati con l'insegnamento di discipline diverse, creando, in tal modo, enormi disagi ai precari.
L'ultima disposizione del ministro, frutto dei suoi presupposti ideologici, riguarda la soppressione delle graduatorie e la creazione di un albo regionale cui le scuole faranno riferimento per una "chiamata diretta", nella misura del 25%, pare. Viene così snaturato il significato dell'aggettivo "pubblico" e praticata una pericolosa "devoluzione" nella scuola. Non ci saranno più "diritti" tutelati per tutti ma la scuola selezionerà gli insegnanti in base ad una appartenenza culturale o religiosa con criteri soggettivi e discrezionali. Sarà limitata di fatto la libertà di insegnamento e di apprendimento come viene abbassato in concreto il livello dell'obbligo scolastico. Inoltre l'ideazione di un'"antropologia cristiana", che entrerà a far parte dei programmi di studio, è una forzatura arbitraria che mira a delimitare il campo ad una scienza chiamata a spaziare a 360 gradi e fa uso improprio di un aggettivo esclusivo di una scelta di fede: il Crsistianesimo non è, riduttivamente, un fatto di "costume".
La riforma del ministro ha creato situazioni ibride e compromissione anche dal punto di vista giuridico con l'immissione in ruolo di insegnanti di religione dipendenti pubblici a tutti gli effetti ma nominati dalla Curia. Nel rispetto della sua laicità lo Stato dovrebbe farsi carico del problema istituendo facoltà di scienze religiose nelle proprie Università, conferendo in prima persona l'incarico di un insegnamento "multiculturale" della disciplina. E' auspicabile il ritorno ad una scuola veramente centrata sull'aluno, senza privilegi per nessuno, né prezzi troppo alti che ora pagano, soprattutto, i ragazzi e le famiglie.

* Insegnante