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Il costo economico e sociale della dispersione

Il dossier di Tuttoscuola presentato alla Camera

28/04/2014
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Tuttoscuola

Negli ultimi 15 anni quasi 3 milioni di giovani italiani, il 31,9% di coloro che dopo la terza media si sono iscritti a una scuola secondaria superiore statale, non hanno terminato gli studi con il conseguimento del relativo diploma.

E più di un quarto (esattamente il 27,9%) di quelli che hanno iniziato un percorso di studi secondari nella scuola statale cinque anni fa (a.s. 2009-10)  non lo ha completato. Il leggero miglioramento riscontrato negli ultimi anni non cambia la situazione della scuola italiana che nelle comparazioni internazionali, e in particolare europee, continua a occupare una posizione di bassa classifica a causa dell’elevata percentuale di giovani di 15-29 anni in possesso del solo titolo di licenza media (Lower Secondary Education, ISCED 2).

Sono due tra i dati più eclatanti - anche perché parlano del nostro tempo e dei giovani delle ultime generazioni - presentati dal direttore di Tuttoscuola, Giovanni Vinciguerra, in occasione dell’audizione sul tema della dispersione scolastica promossa dalla VII commissione (Cultura, Scienza e Istruzione) della Camera, svoltasi lo scorso 23 aprile. La registrazione audio-video completa dell’evento è disponibile sul sito della Camera al seguente link: https://webtv.camera.it/evento/6304.

L’elevato tasso di dispersione spiega, almeno in parte, perché in Italia la quota di Neet (giovani che non studiano, non hanno un lavoro e neppure si formano per trovarlo) sia molto superiore a quella della media europea (23,9 e 15,4 per cento rispettivamente), con punte superiori al 37,7% in Sicilia (addirittura 39,8% per le ragazze): molti di quei quasi 3 milioni di ragazzi dispersi negli ultimi 15 anni sono diventati Neet. Non sarebbero così numerosi se almeno una parte di loro avesse continuato a studiare o a seguire corsi di formazione professionale, come avviene in altri Paesi (in Germania i Neet sono il 9,7%, in Francia 14,5% e nel Regno Unito il 15,5%).

Quelle presentate nella precedente notizia sono le cifre simbolo del fallimento di un sistema educativo, come riconosciuto da alcuni parlamentari della stessa commissione VII (citiamo nell’ordine coloro che sono intervenuti nel corso dell’audizione: Milena Santerini, Maria Grazia Rocchi, Maria Marzana e Ilaria Capua, che ha coordinato l’incontro).

Fallimento rilevante non solo sul piano pedagogico ma anche su quello economico e sociale. Sul piano economico perché un ‘disperso’ ha un costo in termini sia di danno emergente (la spesa sostenuta dalle finanze pubbliche per istruirlo non raggiunge lo scopo) sia di lucro cessante (la società non potrà avvalersi di un cittadino più istruito e competente). Sul piano sociale perché un ‘disperso’ ha maggiori difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro, è meno professionalizzabile e impiegabile, ha più probabilità di essere destinatario di costosi interventi assistenziali, è più esposto al lavoro sommerso e alle attività illegali. Insomma la dispersione, con i suoi livelli elevatissimi, è una vera emergenza nazionale, anche se non è percepita come tale, se non negli ambienti più avvertiti e informati.

Ma qual è la causa principale della dispersione? Per quanto riguarda il biennio iniziale della scuola secondaria superiore (cui affluisce, peraltro, una popolazione scolastica non adeguatamente formata dalla scuola media) Tuttoscuola - che ha redatto un dossier di imminente pubblicazione - la individua nel mancato incontro tra offerta di istruzione (numero e tipologia di corsi, rigidità dei piani di studio, prassi didattiche e valutative selettive centrate sulle materie e non sullo studente) e domanda proveniente dai giovani (aspettative, bisogno di dialogo e di orientamento, desiderio di impegnarsi su ciò che piace). La conseguenza più evidente di questo mismatch è la bocciatura, anticamera dell’esclusione dal circuito formativo.

Che fare? Il suggerimento di Tuttoscuola è di rendere più flessibili e personalizzati i piani di studio Certo, bisogna fare tutto il possibile per aiutare gli alunni a rischio di bocciatura: corsi di sostegno, attività pomeridiane non solo di studio ma di socializzazione, anche con l’intervento di soggetti esterni come le cooperative sociali e del volontariato. Ma a quel punto, dopo aver fatto tutto questo, se i cattivi risultati in alcune materie restano, ma c’è almeno interesse e impegno per altre, bisogna riflettere se non sia meglio promuovere che bocciare. Su un interesse si costruisce qualcosa. Su un ‘disperso’ nulla.