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Il Fatto: Tempo pieno senza lieto fine

La scuola democratica si dedica da 40 anni a concretizzare un progetto che l'Europa ammira, capace di gettare le basi tra le istituzioni e il territorio

13/07/2010
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Il Fatto Quotidiano

Esami di Stato alle battute finali: alla spicciolata notizie di docenti che, nonostante carriera ed età, vengono dichiarati soprannumerari; frutto amaro della politica di “semplificazione” (dicitura beffarda, significa falcidia di posti di lavoro) inaugurata quasi 2 anni fa dal governo. Semplificazione, rassicurante eufemismo che nasconde un'unica realtà: interrompere percorsi, precarizzare esistenze, smantellare un sistema certamente complesso, quello scolastico, che nella complessità ha trovato – in anni passati – la propria forza.

Così la superiore, tradizionalmente inerte rispetto al proprio destino, viene risvegliata a forza dal torpore e dalla svogliata e incomprensibile indifferenza alla “riforma” Tremonti-Gelmini-Brunetta.

La primaria, come di consueto, invece, non dorme, forte della propria cultura collegiale e della condivisione. La scure di Tremonti si è abbattuta quest'anno sulle prime, che determineranno gli andamenti futuri: senza tempo pieno migliaia di famiglie, 3mila a Milano, 4mila a Roma. Pronta la risposta di insegnanti e genitori, che continuano a protestare. Il taglio degli organici – anche là dove formalmente sono state mantenute le 40 ore – non garantisce l'impatto culturale e politico che ha fatto la storia del TP, dalla l. 820/71 alla l. 148/90: emancipazione femminile, risposte a domanda sociale. Ma non solo. Si è passati dall'assistenza scolastica al diritto allo studio, con una scelta precisa di costruzione di consapevolezza e cittadinanza. La scuola del TP è stata scuola della comunità, ambiente pedagogico a tutto campo, modello organizzativo compatto e coerente, con un'attenzione imprescindibile per la qualità di strutture, laboratori, biblioteche. Accoglienza delle diversità, valorizzazione delle identità, in una proiezione non individualistica, ma da integrare con la forza della conoscenza, dell'istruzione emancipante. Il TP si basa su un concetto o idea-chiave, sul quale si articola la didattica di un intero anno, in tempi distesi e con la collaborazione di voci e strutture differenti: una risposta culturalmente più efficace alla controproducente moltiplicazione dei progetti che prolifera altrove. I “saperi confusi” con cui i bambini arrivano quotidianamente in classe devono essere – oggi più che mai - raffreddati, stemperati, selezionati: il senso del TP è stato quello di aiutarli a trasformare questo enorme materiale in esperienza, mediante sollecitazioni operative, impatto con differenti saperi e linguaggi, in un avvicinamento graduale all'organizzazione delle conoscenze per materia. Il team di insegnanti (ritenuto superfluo e “semplificato”, appunto) ha insistito – con indubbi vantaggi didattici e formativi – su condivisione di responsabilità, senso di appartenenza a quel nucleo di elaborazione comune e di laboratorio sperimentale che la scuola, nelle migliori esperienze, è diventata. Il tempo disteso ha assecondato ritmi di apprendimento e prodotto conoscenza attraverso esperienza, riflessione, metabolizzazione, recupero, potenziamento: no, tutto ciò non può interessare chi ha l’obiettivo di “semplificare”.

La scuola democratica si dedica da 40 anni a concretizzare un progetto che l'Europa ammira e che ha gettato le basi – fra l'altro – di ricche integrazioni tra scuola e territorio, con partecipazione degli Enti Locali (quando non erano, anch'essi, “semplificati”) a forme di progettazione condivisa: concessione di servizi di supporto, ma anche attivazione di risorse educative; non può quindi assistere inerte allo smantellamento di una simile proposta, che ha dato frutti significativi in termini di cittadinanza e di successo formativo. L'orario-spezzatino (un tempo scuola prolungato, ma non inserito in una vera cornice pedagogica) è una surroga formale e affatto inadeguata a questo potente progetto culturale. L'ambiguità tra servizio a domanda individuale e diritto per tutte e per tutti è la conseguenza più evidente del taglio. Ci racconta Piemontese che il direttore dell'USP di Milano, Pupazzoni, sostiene che la proposta di TP impedisce la scelta di chi preferisce il tempo modulare. E conclude: “Chi rinuncia al tempo pieno avrà la certezza di poter inserire il proprio figlio in una classe "white" senza "scassati", tanto quelli hanno bisogno di cure e vanno a finire tutti nelle classi a TP. In questo modo il TP non è destinato a scomparire, ma a diventare un recinto per il controllo sociale, una riserva dove rinchiudere chi non è "normale" e rappresenta una minaccia per la comunità. Chi salirà allora sull'aereo del tempo pieno? Solo Franti e la sua cricca”. Paradossale rovesciamento di prospettiva in un Paese incapace di valorizzare le proprie risorse e rinunciare alla omologante logica buoni-cattivi. Insomma, una potenziale nuova frontiera del ghetto.