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Il Giorno/Milano:«Con 12mila precari si mette in ginocchio qualsiasi organizzazione»>

INTERVISTA PARLA ANTONIO ZENGA, IL PROVVEDITORE AGLI STUDI

21/10/2006
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Il Giorno

Il malea scuola si chiama supplente
di GIORGIO GUAITI

— MILANO —
«IL VERO problema della scuola milanese sono i precari: quest’anno quasi 8 mila docenti e oltre 4 mila non docenti, una realtà in grado di mettere in ginocchio qualsiasi modello organizzativo». Antonio Zenga è provveditore agli studi (adesso il termine corretto è responsabile dell’Ufficio scolastico milanese) dal 2001, dopo le esperienze di Bari e Brescia e dopo essere stato viceprovveditore a Milano per 15 anni.
Provveditore, passano gli anni ma siamo ancora qui a fare i conti con il precariato.
«Sta diventando uno dei punti critici della scuola milanese. Un fenomeno di dimensioni preoccupanti. Lo dicono i numeri. Quest’anno, fra docenti e non docenti, sono stati assegnanti 12 mila incarichi annuali. I queste condizioni diventa difficile qualsiasi tipo di organizzazione. Noi riusciamo a far fronte alla situazione grazie all’impegno e allo spirito di sacrificio dei lavoratori dei nostri uffici, ma è chiaro che ci vorrebbe personale stabile, su cui contare, per garantire una continuità didattica e operativa».
Ma ci sono le immissioni in ruolo...
«Rispetto ai nostri numeri sono gocce nell’oceano: quest’anno sono state 1.500. Utili, ma poche. Anche perché aumentano i pensionamenti (del 38 per cento rispetto allo scorso anno) e il precariato continua a riproduirsi: il 50 per cento dei precari arriva da fuori Lombardia. Risultato: quando passano di ruolo, molti vogliono tornare a casa. Chiedono il trasferimento. Così lasciano il posto e arriva un altro precario».
Invece cosa va bene?
«La scuola lombarda è stata messa ai primi posti nell’indagine Ocse per le competenze raggiunte dagli alunni nelle materie scientifiche e nella lingua italiana: una credenziale di livello internazionale. Del resto la scuola milanese ha una tradizione di avanguardia nelle sperimentazioni e nelle innovazioni. Una tradizione di qualità che cerchiamo di difendere e di riproporre ogni giorno».
E ci siete riusciti nonostante i tagli?
«In realtà non abbiamo subito grandi tagli. Con le disposizioni di settembre abbiamo potuto adeguare l’organico di diritto alla situazione di fatto. In questo modo, alle elementari, siamo riusciti a ridurre al minimo i tagli e a garantire comunque le 43 ore settimanali, a un passo delle 44 del tempo pieno tradizionale, che rimane la grande richiesta delle famiglie milanesi».
E alle superiori?
«Non ci sono grandi problemi, tranne quello della copertura delle supplenze brevi: con i docenti che devono impegnare l’intero orario in cattedra, non ci sono più docenti a disposizione e diventano difficili gli interventi tampone».
Parliamo di autonomia: all’inizio le scuole hanno un po’ sbandato...
«Ora si sono assestate, hanno imparato a muoversi. Quella che hanno bisogno di coltivare è una cultura delle reti di scuole: la capacità di collaborare mettendo in comune energie, risorse, esperienze per impegnarsi insieme sui progetti più importanti, come quelli dell’inserimento scolastico».
Inserimento che non è riuscito con i bambini egiziani di via Ventura.
«Quella è l’eccezione. La norma è il 99 per cento dei bambini stranieri che si inseriscono nelle nostre scuole. Però se una legge consente di aprire una scuola per stranieri e i requisiti ci sono, non possiamo certo essere noi a violare la norma»
Dalle lingue straniere al dialetto: è possibile che qualche scuola lo insegni?
«Anche questo rientra nelle competenze dell’autonomia scolastica. Ogni scuola potrà decidere se insegnarlo o no e come inserirlo nel quadro delle sue attività: come iniziativa fuori orario o come parte di quel 20 per cento di programma lasciato all’autonomia dell’istituto».