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«Il giudizio interno non basta, però mancano ispettori»

Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli

14/08/2014
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Corriere della sera

«La valutazione delle scuole dovrebbe servire innanzitutto alle scuole stesse per capire cosa funziona e cosa no. E in seconda battuta anche alle famiglie per orientarne le scelte», dice Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, che la primavera scorsa ha pubblicato un corposo rapporto sulla valutazione per cercare di spiegare perché è necessaria in Italia. «Il punto — dice Gavosto — è che finora la scelta della scuola si è sempre basata sul tam tam, su quello che mi dice mia cugina, un amico, l’amico di un amico. Informazioni, queste, che in genere sono a disposizione solo delle famiglie socialmente e culturalmente più avvantaggiate, mentre il custode cingalese di un palazzo di Torino o Milano non ha la stessa rete di conoscenze a cui attingere».
Rendere pubblici i risultati delle prove Invalsi potrebbe essere un primo passo utile per dare a tutti genitori gli stessi strumenti di valutazione al momento di scegliere la scuola dei propri figli?
«Sì e no. I test Invalsi in quanto tali non bastano a valutare l’efficienza di una scuola. I risultati di un istituto dipendono dal contesto in cui la singola scuola si radica, non solo dalla bontà degli insegnanti ma anche dalla qualità dagli studenti (i cui risultati a loro volta dipendono molto dalle famiglie di provenienza). Un conto è un liceo del centro, un altro un istituto di periferia. Bisognerebbe calcolare il cosiddetto valore aggiunto, cioè confrontare i risultati dei ragazzi al momento dell’ingresso in prima media e all’uscita in terza. Cosa che attualmente il sistema Invalsi non fa. Allora si vedrebbe veramente quanto vale quella scuola. Ci sono scuole che anche se non possono vantare risultati stratosferici hanno fatto fare ai propri ragazzi enormi passi avanti. E altre, con risultati molto migliori, che in realtà hanno semplicemente beneficiato della composizione favorevole del proprio corpo studentesco».
Oltre all’Invalsi, il nuovo sistema di valutazione nazionale si basa anche sull’autovalutazione di docenti e dirigenti scolastici.
«Io non credo minimamente nell’autovalutazione perché, a meno che uno non sia masochista, difficilmente parlerà male della propria scuola».
Ma il nuovo sistema prevede anche l’attivazione della valutazione esterna tramite le visite degli ispettori.
«Né l’Invalsi né il Miur dispongono di abbastanza ispettori per monitorare la situazione delle 8.000 scuole che ci sono in Italia. Al massimo possono intervenire nelle situazioni di crisi, mandarli là dove si segnalano le criticità maggiori per studiare insieme con i dirigenti come migliorare le cose».
Che è già qualcosa.
«Sì, ma non basta. Non che gli ispettori siano necessari sempre e comunque. Ci sono sistemi validissimi, come quello finlandese, che non ne sentono il bisogno, perché già si basano su un sistema di selezione durissima dei docenti: solo i migliori laureati intraprendono la carriera di insegnante. Nel nostro caso invece la valutazione esterna della scuola, di cosa funziona e cosa no, è assolutamente imprescindibile. Gli ispettori dovrebbero essere parte integrante del sistema, come nel mondo anglosassone: figure capaci di avere il polso reale della situazione tramite il confronto con dirigenti, docenti, studenti e famiglie. Ma purtroppo mancano le risorse».
O. R.