Il Manifesto-Scuola, un futuro al passato
EDITORIALE Scuola, un futuro al passato COSIMO ROSSI Si trattasse solo di una controriforma della scuola, si potrebbe anche pensare di cavarsela con una grande mobilitazione. Senonché, i...
EDITORIALE
Scuola, un futuro al passato
COSIMO ROSSI
Si trattasse solo di una controriforma della scuola, si potrebbe anche pensare di cavarsela con una grande mobilitazione. Senonché, il futuro della scuola scritto con l'inchiostro del passato dall'apposito "gruppo ristretto di lavoro" voluto da Letizia Moratti, è molto di più di una semplice restaurazione: è il de profundis di mezzo secolo di riforme, battaglie, mobilitazioni, elaborazioni, scontri, movimenti per fare della scuola una delle palestre della democrazia e della libertà della persona umana. Un coro funebre dal quale chiamarsi fuori solo per diversità - anche radicale - di schieramento politico sarebbe tanto ipocrita e quanto inutile.
Non se ne faccia una questione ideologica, per carità. Perché qui non si parla di privatizzare la scuola pubblica. Ovvero: se ne parla eccome, ma si trattasse di quello sarebbe forse tutto più facile. Il gruppo guidato da Giuseppe Bertagna non spreca 81 pagine per spiegare quanto sia bello il privato, ma per illudere di quanto sia bello il successo personale: per spacciare illusioni da strada ai passanti.
Ecco perché la trappola mortale del ritorno al passato non è la privatizzazione dei saperi, bensì la loro gelosa individualizzazione; non è solo la logica di impresa, ma sopratutto quella della carriera personale: il miraggio di un'emancipazione sociale scritta a lettere dorate su un titolo di studio.
E siccome in Italia come in tutto il mondo ci sono gerarchie economiche e sociali, ecco perché diventa efficace il perverso meccanismo della canalizzazione precoce, della distinzione tra istruzione e formazione professionale, della cultura alta e di quella manovale, della "scelta di vita" da effettuare a quattordici anni: perché nel libretto di manutenzione della scuola del futuro redatto dal gruppo ministeriale si vende la panzana che le "differenze dei percorsi non impediscano a nessuno di raggiungere i medesimi traguardi". A chi è povero si offre la possibilità di esserlo un po' meno, a chi è ricco di rimanerlo.
E non si vende agli studenti e alle giovani generazioni, sia chiaro: si vende alla madri e ai padri, al corpo docente, al ventre sociale di un paese che si sente prorietario del destino dei figli che vede come propria proiezione. A loro - famiglie, imprese, politici e docenti - competono dunque le decisioni da prendere, i programmi di studio, i giudizi, i verdetti sulle vite degli studenti.
Ecco perché non si tratta di una controriforma, ma di una radicale riforma: cambiare perché tutto rimanga uguale. Perché chi vuole per il figlio una bella educazione manageriale lo possa cacciare in un sontuoso college, chi teme che si "droghi" lo possa rinchiudere preventivamente nelle aule di San Patrignano, chi non vuole consentirgli di dubitare che Dio creò l'uomo a immagine e somiglianza sua invece che dei primati lo possa ficcare in convento, e chi vuole consentirgli di lavorare si rassegni a una bella scuola di formazione professionale.
Perciò al ritorno al passato della Moratti non si può assolutamente contrapporre la difesa di questo presente. E neppure il riordino dei cicli dell'Ulivo: non tanto per i contenuti del progetto, quanto per lo scarso respiro riformatore ancora troppo incentrato sulla centralità dell'istituzione familiare e scolastica e sulla finalizzazione dello studio al lavoro prima che sulla libertà della persona/studente. E se invece, piuttosto di tentennare sull'aticolo 18, si pensasse di replicare a chi propone la libertà di licenziare invocando la libertà - che c'è ma è inservibile - di potersi licenziare e di scegliere il proprio destino? Solo che per poterlo fare bisognerebbe dire che oggi serve una rivoluzione nella scuola e nel mondo che consenta a ciascuno di essere il proprietario dei propri saperi. Qualcuno ci pensa?