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Il modo sbagliato per valutare i prof universitari

Si è rimessa in moto la macchina dei concorsi per professore universitario. È una buona notizia, ma ieri il Cun (Consiglio Universitario Nazionale) ha presentato una mozione in cui chiede che il ministro dell’Istruzione intervenga per garantire «trasparenza in merito alle procedure».

14/09/2012
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La Stampa

 

CARLO RIMINI*

Si è rimessa in moto la macchina dei concorsi per professore universitario. È una buona notizia, ma ieri il Cun (Consiglio Universitario Nazionale) ha presentato una mozione in cui chiede che il ministro dell’Istruzione intervenga per garantire «trasparenza in merito alle procedure». È un segno forte del fatto che qualche cosa non sta funzionando nel modo giusto. Il Cun chiede anche al ministro di «voler autorevolmente intervenire affinché sia chiaramente stabilito… se il superamento dei valori mediani degli indicatori quantitativi abbia o meno natura vincolante ai fini del conseguimento dell’abilitazione». Ad una prima lettura non si capisce nulla: solo che è in atto un oscuro confronto fra gli organi amministrativi che stanno definendo le regole della procedura e il Cun. Un contrasto che preoccupa perché dall’applicazione di queste norme dipende la scelta di coloro che educheranno le prossime generazioni di studenti italiani, dipende la qualità della nostra futura ricerca scientifica.

La riforma Gelmini ha previsto che il reclutamento avvenga con una procedura che si articola in due fasi: un ricercatore diventa professore se vince un concorso bandito localmente da ciascuna università, ma al concorso possono partecipare solo candidati che siano stati preventivamente dichiarati idonei da una commissione nazionale. Il 22 luglio scorso è stata indetta la procedura per il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale e durante l’estate il ministero e l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (Anvur) hanno prodotto la normativa destinata a regolare i lavori della commissione nazionale per il conferimento delle idoneità. A giugno il ministero ha definito gli «indicatori di attività scientifica» ed ha affermato che la commissione dovrà «misurare l’impatto della produzione scientifica del candidato». Questa frase nasconde una scelta filosofica: la ricerca scientifica è una quantità suscettibile di essere misurata. Ma come si misura la quantità della ricerca? La norma fondamentale del decreto di giugno afferma che «l’abilitazione può essere attribuita esclusivamente ai candidati i cui indicatori dell’importanza e dell’impatto della produzione scientifica complessiva presentino i valori richiesti». E quali sono questi valori? Il parametro fondamentale è la «mediana», cioè la media della produttività scientifica di coloro che sono già professori. Il candidato a conseguire l’abilitazione deve avere prodotto pubblicazioni superiori alla media, altrimenti è escluso. Le pubblicazioni – almeno nel calcolo di uno degli indicatori – sono valutate per il loro numero. Ciò significa che, per partecipare alla procedura di valutazione nazionale, bisogna avere scritto un certo numero di libri, oppure un certo numero di articoli pubblicati su riviste scientifiche. Non conta la serietà dell’editore e la diffusione dell’articolo o del libro e neppure conta il numero di pagine che lo studioso ha scritto: tre libri di cento pagine ciascuno che nessuno ha letto consentono di partecipare alla selezione; un libro di mille pagine che ha dato un contributo decisivo alla ricerca in un certo settore scientifico invece non basta. Il senso dell’interrogazione del Cun al ministro è dunque questo: possibile che il sistema sia così stolto?

Conosco un giovane studioso italiano che, nel giugno scorso, ha saputo che un’importante università canadese aveva bandito un concorso per un professore nella sua materia. Ha mandato per posta la domanda e l’elenco delle sue pubblicazioni. Dopo qualche settimana è stato contattato: i professori del dipartimento che aveva bandito il concorso volevano conoscerlo, assieme ad alcuni degli altri candidati. Hanno passato assieme una giornata, confrontando le rispettive esigenze e discutendo dei loro progetti di ricerca. Lo studioso italiano è stato scelto, come spesso succede, perché ha una preparazione eccellente (l’Italia ha speso molti denari per formarlo!). Prenderà servizio a ottobre: i suoi colleghi italiani intanto aspettavano che l’Anvur calcolasse le mediane. Ecco perché i cervelli italiani fuggono.

*Ordinario di diritto privato nell’Università di Milano twitter: @carlorimini