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Il Piccolo-Le grandi sfide: lavoro e ricerca

L'UE E L'ECONOMIA LE GRANDI SFIDE: LAVORO E RICERCA di Franco A. Grassini Le attese per la ripresa politica dopo la pausa estiva di chi segue l'economia sono concentrate sulla Finanziaria...

21/08/2005
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Il Piccolo

L'UE E L'ECONOMIA
LE GRANDI SFIDE: LAVORO E RICERCA
di Franco A. Grassini
Le attese per la ripresa politica dopo la pausa estiva di chi segue l'economia sono concentrate sulla Finanziaria 2006 ed i timori si focalizzano sul peso che la vicina campagna elettorale avrà sulla stessa. C'è, tuttavia, per l'autunno un'altra scadenza molto importante che ci attende per il nostro futuro.
È quella di predisporre dei programmi nazionali di riforma imperniati sugli impegni politici assunti nel contesto della strategia di Lisbona, quella strategia, cioè, che punta a fare dell'Ue un'"economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale". L' Unione europea nel suo complesso è piuttosto lontana dal progredire su questa strada che era stata resa concreta dall'assunzione di precisi obiettivi quantitativi. Gli Stati Uniti stanno accrescendo il loro primato ed altri, come Cina ed India stanno riducendo il loro divario. L'Italia è ancora più indietro del resto dell'Europa. È con il 58%, all'ultimo posto tra i 15 vecchi membri dell'Unione per quanto concerne l'obiettivo di portare l'occupazione al 68% della popolazione tra i 15 ed i 64 anni nel 2005 ed al 70% nel 2010. È, con il 67% nel 2004, quartultima (seguita da Lussemburgo, Spagna e Portogallo) rispetto all'obiettivo di avere l'85% dei giovani tra i 20 ed i 24 anni con diploma di scuola secondaria superiore. È seguita da Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia e dietro agli altri 10 nell'incidenza delle spese di ricerca e sviluppo che dovrebbero raggiungere il 3% del reddito nazionale e da noi superano di poco l'1%,contro una media del 2% tra i 15.
Come accennato l'opinione comunemente accettata a Lisbona è che per raggiungere gli ambiziosi obiettivi propostisi sia necessario procedere a delle riforme. Si è, in altri termini, convinti che le istituzioni che hanno governato il nostro continente e ne hanno consentito un consistente sviluppo in un regime di relativa pace sociale, non siano più adatte ad un mondo profondamente mutato per effetto della globalizzazione e, non va mai dimenticato, dell'invecchiamento della popolazione. E per certi aspetti non vi è dubbio sia così. Lo è certamente per la maggior concorrenza di cui vi è bisogno sia per contenere i prezzi e l'inflazione, sia per stimolare le imprese ad essere più efficienti di fronte all'aggressività dei Paesi in via di industrializzazione, Cina in primo luogo, ma non solo lei. Lo è per l'istruzione che deve necessariamente migliorare a tutti i livelli se non vogliamo ridurci a guardiani di musei e di bellezze naturali. I dubbi nascono quando si parla di ricerca: triplicare le risorse a essa dedicate in pochi anni non pare possibile se non si cambia la nostra università e non si avvia a soluzione la questione delle ridotte dimensioni della maggioranza delle nostre aziende. Le perplessità crescono in tema di mercato del lavoro: siamo sicuri che modificando le tutele per gli occupati, le imprese accrescerebbero la domanda di lavoro? I sociologi ci stanno correttamente dicendo che oltre ai problemi della povertà e dell'esclusione dobbiamo fare attenzione a quelli della vulnerabilità di chi ha un reddito insicuro e nessun patrimonio per fare fronte alle emergenze che la flessibilità rende frequenti.
Il passaggio ad un mondo post-fordista è duro e faticoso. In sostanza attuare la strategia di Lisbona pone questioni di notevole spessore sulle quali mancano idee chiare. L'esperienza di questo quadriennio ci dimostra che, quali che siano le pagine che manderà a Bruxelles, il governo di Berlusconi e dei suoi alleati non è certamente in grado di affrontare problemi di questa portata. Lo sarà l'attuale opposizione se diverrà, come tutti prevedono, maggioranza nel 2006? Standard'Poors sembra nutrire dubbi anche sul più semplice problema del risanamento della finanza pubblica. Le scelte sul futuro della nostra società sono certamente più complicate. Dá fondamento al bene sperare la circostanza che, a differenza dell'attuale maggioranza, i partiti dell'Unione hanno tutti fatto una scelta europeistica e poiché i problemi posti dalla strategia di Lisbona non sono solo italiani, ma europei in quella sede sarà meno difficile trovare le risposte e la forza per modificare radicalmente la nostra quasi addormentata società.
Franco A. Grassini