Il prof e la studentessa. "Ragazzi. resistete". "No, ribellatevi con noi"
Il dialogo tra una liceale di Milano e un insegnante di Caltagirone
Professore, riaprire è possibile invece non lo fanno: lei dovrebbe essere dalla nostra parte». «Lo sono, ho sposato la scuola per scelta, voglio che riapra. Ma ora, in queste condizioni, dico che non è possibile». Beatrice Casartelli ha 16 anni, frequenta il liceo scientifico Volta a Milano, è scesa in piazza Duomo venerdì a manifestare, è tra gli studenti in lotta, quelli che «non ne possono più» di stare relegati nelle loro stanze a fare lezione. Salvo Amato, 50 anni, docente di informatica, insegna all’istituto tecnico e alberghiero Cucuzza-Euclide a Caltagirone, in provincia di Catania. Anima via social il gruppo “Professione insegnante”, nel sondaggio interno hanno risposto in settemila, il 90% preferisce attendere per rientrare. Cosa? Scuole sicure. Repubblica li ha messi a confronto via Meet, un dialogo a distanza, mille chilometri e una generazione in mezzo.
La studentessa: «Anche l’Oms dice che la chiusura delle scuole dovrebbe essere l’ultima spiaggia, perché gli effetti sono devastanti. E noi li stiamo pagando, più di tutti chi vive in case piccole, con più fratelli, connessioni precarie, mancanza di dispositivi. Perdiamo nello studio, qualcuno si perde del tutto, ci mancano i compagni, lo sguardo dei professori, l’ansia condivisa prima di una verifica».
Il professore: «Credi che a me non manchi? Ma ammettiamolo, anche in presenza con tutte le misure da rispettare non è pienamente scuola: io sono uno che gira tra i banchi, invece mi ritrovo a stare in cattedra senza nemmeno poter passare una penna, correggere da vicino, usare i laboratori dovendo continuamente richiamare i miei ragazzi a non girarsi, a tenere la mascherina».
La studentessa: «Io non rinuncio alla presenza solo perché è più difficile e poi succede anche in Dad, se spengo la telecamera lei non mi vede più e mi deve richiamare».
Il professore: «Il problema è che voi vi vedete poi fuori, mentre i ragazzi non dovrebbero incontrarsi. In questi ultimi mesi io ho visto solo cinque persone: più si sta a casa, meno ci si contagia».
La studentessa: «Io ho visto solo due amici. E poi, perché è stato permesso lo shopping a Natale? Eh no professore, non scaricate su di noi la responsabilità dei contagi, troppo facile dire che siamo irresponsabili: non lo siamo, non è che non capiamo la gravità di una pandemia. Però, ripeto, se aprono i negozi o altro, se sono state permesse le visite a Natale, perché le scuole rimangono chiuse?».
Il professore: «Perché viaggiamo a ventimila contagi e 4-600 morti al giorno. Io non vi sto dicendo che siete irresponsabili, i ragazzi hanno diritto a spazi di socialità che non sono uno schermo, ho un figlio di 18 anni, vi capisco. Ma faccio i conti con la realtà: la scelta è tra perdere nella didattica o rischiare vite umane. Dovete capire che non si può mettere nessuno a rischio e i timori dei docenti sono giustificati. Ho 180 studenti, cambio classe ogni ora, ne vedo almeno 80 al giorno dentro aule piccole dove si sta per ore. La maggior parte è over 52, tanti hanno patologie pregresse e non sono garantiti».
La studentessa: «Posto così il discorso è fuorviante. La domanda è: a scuola si può andare sì o no? Ci sono studi che dimostrano che sono luoghi sicuri. Come mai i contagi sono aumentati a Natale, noi siamo in Dad dal 26 ottobre...».
Il professore: «Il professor Galli, che è infettivologo da voi a Milano, dice che le scuole non vanno riaperte. Nel mio Comune si sono infettati gli studenti che prendevano lo stesso pullman, sul piano trasporti non è stato fatto nulla, non sono stati previsti tamponi al rientro a gennaio».
La studentessa: (Beatrice consulta rapida il computer, ricorda i pareri dell’Oms, del Cts): «Se un docente non può stare in presenza viene tutelato».
Il professore: «Solo che dipende dai presidi. Non c’è una normativa che tutela gli insegnanti fragili, entri in classe con la mascherina Ffp2 altrimenti ti dicono di metterti in malattia, ma non sei malato. Tanti docenti si sentono abbandonati».
La studentessa: «Anche i ragazzi. Prof, consideri la nostra sofferenza, sto perdendo una parte importante delle esperienze che potrei fare in adolescenza, nessuno mi restituirà i miei 16 anni. Noi non contiamo niente perché la scuola non fa profitti. L’economia deve andare avanti. Ma noi siamo il futuro, non possono lasciarci indietro. Ora non voto, ma avrò presto 18 anni, sarò tra i lavoratori di domani. Per me la scuola è essenziale, come lo è per la società».
Il professore: (allargando le braccia, certo che la scuola è essenziale): «E i disagi nello stare dietro a uno schermo sono anche nostri, soffriamo quanto voi, mentre di giorno facciamo lezione, di notte cerchiamo di capire come renderle coinvolgenti. Alcuni di noi trasferiscono la lezione in presenza al pc, non va bene così, lo so. Ma tu non ti arrabbiare. La Dad ci ha colti tutti impreparati e stravolti: è alienante. Ma di fronte a una pandemia non ci resta che fare la nostra parte, tutto questo vi farà crescere più in fretta, cercate intanto di coltivare interessi che altrimenti avreste ignorato, sarà il segno di qualcosa di positivo».
La studentessa: «Per noi è un trauma, prof».
Il professore: «Stringete i denti per un ultimo sforzo, noi non ci sentiamo tutelati, chiediamo almeno di essere vaccinati tra le categorie prioritarie».
La studentessa: «Ma non è possibile aspettare ancora, ribellatevi con noi: bisogna fare qualcosa».