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Invalsi, il Sud migliora ma ancora troppi «aiutini» dei prof agli allievi

In matematica, i tecnici del Nordest uguali ai licei del resto d’Italia. Si riduce la forbice Nord-Sud alle elementari

11/07/2014
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Corriere della sera

Valentina Santarpia

Si allenta in maniera considerevole il divario Nord-Sud, anche se solo alle scuole elementari, dove finalmente i risultati degli studenti delle regioni meridionali si allineano a quelli degli alunni di Centro e Nord Italia. E migliorano le performance degli studenti degli istituti tecnici del Nordest (Friuli, Veneto, Trento e Bolzano, ma non in Piemonte) nelle prove di matematica: i risultati si allineano, e a volte superano, quelli dei coetanei che studiano nei licei, tradizionalmente più preparati. Sono i primi risultati delle rilevazioni Invalsi, i famigerati test che misurano il grado di apprendimento degli studenti di scuole elementari, medie e superiori in tutta italia. Quest’anno sono state coinvolte circa 13.200 scuole, oltre 122 mila classi e quasi due milioni e 300mila studenti, tra bambini e ragazzi di II elementare, V elementare, III media e II superiore.
 

Nordest in testa, sorpresa Marche

In cima alla classifica delle regioni virtuose ci sono Friuli Venezia Giulia, Veneto, Trento, e, a sorpresa, le Marche, che avanzano a passi grandi sulla strada dell’apprendimento delle competenze. Maglia nera alle regioni del Sud, Sicilia in testa, seguita da Campania e Calabria: in particolare, se gli studenti calabresi delle scuole elementari non peggiorano rispetto allo scorso anno, quelli di scuola media e superiore precipitano verso il basso, con «risultati tra i più bassi in assoluto e significativamente al di sotto della media italiana». Malissimo anche gli istituti professionali, che restano il vero buco nero della scuola, con livelli di preparazione bassissimi e altissime percentuali di dispersione.
 

Se la geometria resta un problema

Il rapporto serve anche a spazzare via alcuni luoghi comuni: «La scuola media non è il buco nero dell’istruzione - spiega il direttore dell’istituto di ricerca Roberto Ricci - E’ che da quel piano l’edificio comincia a inclinarsi, e man mano l’inclinazione diventa più evidente ai piani più alti». Per capire quanto siano profondi i divari che si aprono alle scuole superiori tra studenti di scuole di zone diverse d’Italia, basta un esempio: rispetto alla media nazionale, che è 200, in matematica in Sardegna il 25% dei ragazzi più bravi è pari alla media nazionale, il che vuole dire che prendendo in considerazione 100 ragazzi sardi, 75 hanno una media inferiore a quella nazionale. Per quanto riguarda la parità di genere, invece, il «pregiudizio» è confermato: in matematica i maschi continuano ad essere più bravi delle femmine, «ed è un elemento che deve far riflettere, considerando che invece nel rendimento generale le studentesse in media sono più preparate degli studenti. Quanto questo sia determinato da fattori educativi o da altri aspetti, va approfondito», spiega Ricci. Un altro focus riguarda gli immigrati: la scuola primaria ha un problema di immigrazione di seconda generazione, con bambini che riescono facilmente a essere inseriti molto bene sin dalla prima elementare, mentre la scuola media e superiore sta affrontando un problema di seconda generazione, più complicato.

L’espressione «polirematica»

Infine: i contenuti delle prove: c’è ancora, evidenziano i dati, una scarsa abitudine al testo non narrativo, e dati, previsioni, relazioni e funzioni sono più facilmente analizzati rispetto a spazio e figure. La geometria resta insomma una brutta gatta da pelare. «Ma niente polemiche sulle domande», conclude Ricci, facendo riferimento all’espressione «polirematica», uno dei quesiti d’italiano sottoposti agli studenti. «Neanche io saprei definirla, ma se il test fa un esempio e chiede di trovare un’altra espressione polirematica, come quella proposta - botta e risposta, acqua e sapone, etc- e quindi non mi sembra complicato: le domande vanno analizzate considerando il contesto».

Fenomeno «cheating» ovvero l’aiutino dei prof

Confermato anche il fenomeno del «cheating» al Sud: ovvero, risultati falsati, molto probabilmente da professori che suggeriscono le risposte ai ragazzi. Si tratta comunque di dati complessivi, va detto, che andranno poi approfonditi: il rapporto Invalsi presentato oggi è tradizionalmente una fotografia generalizzata, che si arricchirà a settembre con i risultati scuola per scuola, per permettere poi a tutti i dirigenti scolastici di valutare la propria scuola, anche all’interno del contesto socio- culturale in cui l’istituto è calato. Un 10% delle scuole con le rilevazioni più basse verrà preso in considerazione per eventuali progetti di investimento di risorse.
 

Il ministro Giannini: «Ma non c’è solo l’Invalsi»

«Le prove Invalsi ci restituiscono una fotografia molto netta, molto chiara dei nostri studenti, nel nostro Paese - ha osservato il ministro Stefania Giannini -. Questo è un quadro che - completato da altri due strumenti , ovvero l’autovalutazione che sarà applicata da settembre in tutte le scuole e un sistema di ispezione, cioè di valutazione esterna - rappresenta una solida base di partenza per capire i punti di forza e di debolezza, e quindi rafforzare i primi, e demolire i secondi. La valutazione si deve collegare al miglioramento, altrimenti diventa un bell’esercizio scientifico. Se avessi potuto scegliere, avrei invertito il processo: prima avrei formato gli insegnanti su questo capitolo, e poi avrei fatto l’Invalsi. Ma visto che ormai il processo è partito, dobbiamo evitare le sfide medievali tra chi è pro e chi è contro: gli standard di valutazione sono internazionali e gli studenti italiani hanno il diritto di uscire dal nostro paese avendo le stesse competenze dei loro coetanei all’estero. Un Paese fondatore dell’Europa come l’Italia non può esimersi dall’usare strumenti scientifici, opportunamente miscelati tra la modalità quantitativa e modalità qualitativa».
 

Più risorse a chi va peggio

«Il sistema di valutazione serve per migliorare il progetto educativo, per mettere in atto tutti quei meccanismi che servano a renderlo più efficace», sottolinea il sottosegretario all’Istruzione Roberto Reggi che ha presentato il rapporto. «La valutazione è fondamentale per capire in quali zone concentrare le risorse del ministero - ha ricordato Reggi- E’ uno strumento importante di cui non dobbiamo avere paura, ma invece apprezzare tutta l’importanza per migliorare la scuola italiana». Ciò che conta, sottolinea Reggi, «non è tanto il valore assoluto, ma la fotografia di oggi confrontata con quelle degli anni precedenti, cioè il trend di crescita o decrescita del nostro sistema».
 

L’Invalsi come sistema di autovalutazione delle scuola

«L’Invalsi produce dati su come stanno funzionando le scuole - sottolinea anche il presidente Invalsi, Annamaria Ajello - e fornisce evidenze per migliorare ed evolvere, per formulare giudizi, per aiutare il Miur ad attuare progetti per sostenere le scuole in maggiore difficoltà. Ma anche dati che aiutano le singole scuole a riflettere e ragionare sui propri esiti. L’Invalsi è consapevole che i dati non raccontano tutto ciò che avviene a scuola nel campo dell’apprendimento, ma gli esiti delle prove rappresentano un elemento per avviare il processo di autovalutazione che le scuole effettuano».
 

Dalla parte dei prof, non contro

Due i nodi problematici, secondo la presidente: il «cheating», per cui si bara nei test, è una questione che secondo Ajello va ricondotta ad origini ben precise, sia quando si tratta di ragazzi che copiano sia quando si tratta di professori che suggeriscono: «Non si sa quale sarà le destinazione di questi dati, e quindi si pensa che questi dati siano usati contro gli insegnanti». Un’altra questione riguarda il fatto che le prove Invalsi si fondano su insegnamenti per competenze, non per nozioni, che invece è il metodo tradizionale di apprendimento della nostra scuola, quello che i nostri insegnanti hanno assimilato. Questa discrasia renderebbe conflittuale il rapporto tra insegnanti non più giovani e prove formulate in maniera «moderna».