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Istruzione e Formazione Professionale: indagini ISFOL e Forma

Due recenti indagini realizzate dall'ISFOL e da FORMA (*) analizzano i percorsi triennali regionali di istruzione e formazione professionale

12/07/2011
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ScuolaOggi

di Fabrizio Dacrema

Due recenti indagini realizzate dall'ISFOL e da FORMA (*) analizzano i percorsi triennali regionali di istruzione e formazione professionale. La prima condotta su un campione nazionale di 3.600 giovani qualificati nel 2006/7, mentre la seconda analizza l’intero universo dei qualificati 2008 di 5 regioni (Lombardia, Veneto, Marche, Lazio, Campania), utilizzando anche gli archivi delle comunicazioni obbligatorie.

 
Contro la dispersione scolastica
 
Le indagini confermano i risultati ottenuti da questi percorsi nella riduzione della
dispersione scolastica, la loro capacità di intercettare e rimotivare una parte degli
studenti che la scuola perde. Solo una parte minore (il 27% secondo l'indagine ISFOL) si
iscrive direttamente, la maggior parte arriva ai percorsi triennali come seconda chance,
dopo un passaggio fallimentare nella scuola. Sicuramente i ragazzi che incontrano
difficoltà nei percorsi scolastici sono attratti dalla possibilità di un rapido ingresso
nel mondo del lavoro, ma sono soprattutto le metodologie didattiche attive, basate
sull’imparare facendo, che li riattivano la loro motivazione ad apprendere fino a portarli
a conseguire la qualifica e anche oltre, perché una parte (36% secondo ISFOL) prosegue
gli studi dopo aver conseguito la qualifica (sempre secondo ISFOL il 68,1% nel quarto
anno dei percorsi regionali per il diploma professionale, il 18,4% nella formazione
professionale di secondo livello, il 9,3% nella scuola secondaria superiore). Arriveranno
a un titolo di studio superiore alla qualifica? Questo le indagine non possono dirlo,
ma è certamente un dato rilevante che più di un terzo dei qualificati sia motivato a
continuare a formarsi. 
 
Per l’inserimento occupazionale
 
Inoltre, entrambe le indagini confermano l’efficacia dei percorsi triennali sul versante
degli esiti occupazionali: secondo l'indagine ISFOL metà dei qualificati  trova un primo
impiego entro un anno dal conseguimento della qualifica e dopo tre anni gli occupati
diventano il 59% (anche per l'indagine FORMA più del 60% ha attivato un contratto di
lavoro a un anno e mezzo da raggiungimento della qualifica), per lo più in posizioni
lavorative generiche che richiedono lo svolgimento di compiti manuali e di routine. A
tre anni dalla qualifica la stabilità occupazionale riguarda il 57% secondo i dati ISFOL,
mentre secondo FORMA i contratti che durano oltre i tre anni sono il 31,8%. In ogni caso
l’arco temporale non è sufficiente a verificare l’assunzione a tempo indeterminato
degli apprendisti e degli altri assunti a termine: secondo ISFOL l’87% degli occupati
è lavoratore dipendente e di questi il 35% hanno un contratto di apprendistato, 33%
a tempo indeterminato, 25% a tempo determinato, 4% senza contratto formalizzato;
mentre secondo Forma i contratti a tempo indeterminato sono solo il 4,7%, il 39,6% sono
di apprendistato, il 27,5% a tempo determinato e l'11,6% interinali. 
 
Inoltre, le ricerche, a causa del loro limitato carattere longitudinale, non possono
fornire dati per capire se le competenze acquisite, professionali e di base, sono
sufficienti nel corso del tempo per tenere l’occupazione o per trovarne un’altra
in un mercato del lavoro in cui le competenze richieste cambiano e s’innalzano
continuamente.  Il rischio è che la prima occupazione non si traduca in occupabilità
futura, anche e soprattutto in considerazione della difficoltà per i lavoratori con basse
qualifiche di intercettare la formazione nel corso della vita lavorativa, come attestano
tutte le indagini sulla formazione continua.
 
Limiti di sistema
 
Nonostante i miglioramenti qualitativi ottenuti dai percorsi triennali per il
conseguimento delle qualifiche professionali, permangono, infatti, limiti strutturali del
sistema educativo italiano, destinati ad aumentare con i tagli e la scelta di destrutturare
l’innalzamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni.  
 
Il ritorno alla canalizzazione precoce frena i processi di cambiamento della scuola per
renderla più inclusiva, perché conferma i comportamenti professionali tradizionali che
escludono chi non è ritenuto adatto per lo studio. Il sistema scolastico italiano continua
così perdere il 25% circa degli studenti, una parte dei quali viene meritoriamente
recuperata portata a una qualifica dai percorsi IFP, ma solo dopo un passaggio
fallimentare nella scuola, con inevitabili effetti negativi sull’autostima e sulla
motivazione ad apprendere.
 
Nonostante la novità, rilevata da entrambe le indagini, di una quota consistente di
iscrizioni ai percorsi IFP di studenti usciti dalla scuola secondaria di primo grado con il
giudizio di buono o distinto (55,5% secondo l’ISFOL, circa il 40-42% secondo FORMA), la
scelta dei percorsi IFP rimane una scelta connotata, oltre che dall'essere conseguente a
un passaggio fallimentare nella secondaria superiore, dal ruolo centrale della famiglia di
provenienza (famiglie operaie con bassi titoli di studio) rispetto all’interesse per le
materie studiate (secondo l'indagine ISFOL il consiglio della famiglia è primo motivo
personale addotto dai giovani per la scelta della formazione professionale). Se poi si
confronta il 55% dei ragazzi che escono dalla scuola secondaria di primo grado con il
giudizio di buono o distinto con il 36% dei ragazzi che proseguono gli studi dopo la
qualifica, appare evidente il limite strutturale in cui si viene a trovare lo sviluppo
dell'istruzione e formazione professionale regionale come canale alternativo alla scuola
per assolvere all’obbligo di istruzione. Una quota di ragazzi già oggi dotati delle
capacità per arrivare almeno ad un diploma, viene attratta da percorsi formativi a
rapido inserimento lavorativo e poi non prosegue gli studi. Si rischia così un esito
paradossale, invece di cambiare la scuola per metterla in condizione di far arrivare tutti
ai più alti livelli possibili di istruzione e formazione, si attraggono ragazzi verso percorsi
più brevi, quando, anche nell'attuale sistema scolastico, potrebbero arrivare a livelli più
alti.
 
L’integrazione per migliorare
 
Se, invece, si sceglie di accrescere la spinta inclusiva del nostro sistema educativo – o
almeno per non attenuarla ulteriormente – occorre, tra le altre cose, evitare negli ultimi
due anni dell’obbligo di istruzione la concorrenza tra percorsi scolastici e percorsi IFP.
 
Il compito dei sistemi regionali IFP non è di supplire alle carenze inclusive della scuola ai
fini del raggiungimento degli obiettivi dell’obbligo di istruzione. Le competenze della
formazione professionale devono, invece, trovare pieno sviluppo nei percorsi post
obbligo (qualifiche e i diplomi professionali), nelle attività di integrazione con la scuola,
nell’istruzione e formazione tecnica superiore, nella formazione continua dei lavoratori
e in tutte quelle attività a sostegno delle transizioni al lavoro così carenti nel nostro
paese.
 
Occorre allora puntare sull’unitarietà del primo biennio della secondaria superiore e
sulle scelte conseguenti necessarie: superare la canalizzazione precoce, investire nella
formazione dei docenti per generalizzare le metodologie didattiche attive e
laboratoriali, assicurare la reversibilità delle scelte.
 
Per questi motivi, come alcune Regioni stanno facendo (l’Emilia Romagna ha approvato
una specifica legge), la scelta di modelli dell'integrazione tra scuola e percorsi di IFP
 
appare decisamente più utile per migliorare il nostro sistema educativo nella direzione
della qualità e dell’inclusione.
 
L’integrazione innanzi tutto evita i percorsi chiusi e consente di conseguire
congiuntamente un diploma di istruzione e una qualifica professionale regionale. Inoltre
offre più opportunità per realizzare interventi di orientamento e di contrasto alla
dispersione e per assicurare la possibilità di passaggi tra i due sotto-sistemi
accompagnati da specifici interventi di supporto e di riallineamento delle competenze,
evitando così il più possibile le bocciature e i ritardi scolastici.
 
La condizione perché questi obiettivi possano essere raggiunti passa attraverso progetti
che non si limitino a giustapporre le competenze della scuola e della formazione
professionale. Come insegnano le migliori esperienze, l'integrazione deve svilupparsi su
tutti gli aspetti del percorso educativo, a livello progettuale e operativo, e deve
crescere attraverso formazione comune dei docenti.
 
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(*) I risultati del Progetto FORMA sono contenuti nella pubblicazione di Anna
Teselli “L’efficacia della formazione professionale per i giovani” Donzelli Editore