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Istruzione, orizzonti perduti

10/09/2011
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l'Unità

Benedetto Vertecchi

Cinquant’anni fa solo un allievo su quattro proseguiva il percorso di studi dopo la scuola elementare. Doveva ancora trovare attuazione la norma costituzionale che prevedeva otto anni d’istruzione obbligatoria per tutti. L’esclusione era prevalentemente l’effetto, diretto o indiretto, dell’agire di un filtro sociale. Solo parte delle famiglie era, infatti, in condizione di assumersi l’onere dell’educazione scolastica dei figli, rinunciando ai proventi derivanti da un inserimento precoce nelle attività produttive. D’altra parte, anche quando la ragione dell’esclusione si collegava alle difficoltà intervenute nel processo di apprendimento, solo per un senso comune semplificatore (peraltro non troppo diverso da quello che oggi è tornato di moda quando si fa riferimento al merito) si poteva attribuire l’insuccesso alla scarsa attitudine degli allievi verso lo studio. Negli anni sessanta, in un contesto segnato da profonde trasformazioni economiche e sociali, furono poste, con la riforma della scuola media, le condizioni per assicurare a tutti otto anni di istruzione nella scuola. Questo obiettivo fu conseguito abbastanza rapidamente, aprendo la via al passo ulteriore, che consisteva nel favorire, anche per analogia con quanto era avvenuto in altri paesi industrializzati, l’allungamento dell’educazione scolastica fino a comprendere l’intero percorso di studi secondari. In una trentina d’anni (avendo come riferimento l’anno della riforma della scuola media, il 1962) la scuola italiana era diventata la sede per l‘educazione comune dell’infanzia e dell’adolescenza. O, almeno, lo era diventata per le dimensioni quantitative raggiunte: lo sviluppo successivo avrebbe mostrato la capacità delle scuole di corrispondere anche sul piano della qualità alla domanda di istruzione che si era manifestata. SE SI CONFRONTANO i dati relativi al funzionamento del sistema scolastico italiano fino alla fine del Novecento con quelli di altri paesi si notano due principali tendenze: la prima consisteva in una certa compressione della fascia superiore dei risultati, l’altra nella dispersione contenuta nella fascia bassa. In altre parole, si perseguiva una linea di crescita per la scuola attenta in primo luogo a contenere lo svantaggio, e meno decisamente a perseguire risultati molto positivi per la fascia migliore degli allievi. Queste due tendenze si trovano in vari modi combinate nei diversi sistemi scolastici: quella volta a contenere la dispersione rivela attenzione per l’equità della proposta educativa, mentre il conseguimento di risultati molto positivi per la fascia migliore costituisce l’intento dei sistemi competitivi (il riferimento più frequente è ai sistemi educativi del Regno Unito e degli Stati Uniti). Se si tiene conto che il sistema scolastico italiano, almeno al livello secondario, aveva avuto uno sviluppo recente, la presenza di una dispersione contenuta nella fascia bassa indicava il prevalere del criterio dell’equità su quello della competitività. Dati comparativi più recenti, che danno conto grosso modo dell’effetto dei cambiamenti introdotti dai governi della Destra nella politica scolastica, mostrano che il criterio dell’equità è stato lasciato cadere, senza che abbia avuto successo la sua sostituzione col criterio della competitività. È cresciuta, infatti, la dispersione nella fascia di risultati meno positivi, ma non si sono osservati incrementi apprezzabili nei livelli della fascia migliore. In altre parole, i tagli alle risorse, la riduzione degli orari, l’aumento del numero degli allievi per classe hanno peggiorato le condizioni di educazione degli allievi più deboli, non importa se per ragioni sociali o per difficoltà collegabili allo sviluppo individuale. D’altra parte, i richiami enfatici ad una nozione di merito retorica e ideologica (la meritocrazia) non sono serviti a produrre gli effetti che caratterizzano l’educazione nei sistemi orientati in senso competitivo. Conviene ricordare che il paese che da quando sono state avviate comparazioni periodiche internazionali ottiene i risultati migliori (la Finlandia) si distingue per la dispersione più contenuta nella fascia bassa, ed anche per il minore scarto fra la fascia bassa e quella alta. In pratica, i risultati di qualità elevata si ottengono in un contesto in cui domina il criterio dell’equità. In Finlandia non ci sono sostanziali differenze tra i risultati che si conseguono in un scuola o nell’altra, ovunque sia ubicata nel paese. È il contrario di ciò che accade in Italia, dove, le differenze si manifestano in relazione alle aree geografiche, alle caratteristiche del territorio, alle attività produttive e ad ogni altro aspetto che possa concorrere in positivo o in negativo, ma più spesso in negativo, a determinare i caratteri dell’educazione.❖