L’«agenda Draghi» all’attacco dei prof: aumenti solo a 8 mila «docenti esperti»
Tra gli «affari correnti» del governo dimissionario un provvedimento modesto che attacca il contratto nazionale della scuola non rinnovato da più di tre anni ed è il simbolo delle contro-riforme dell'istruzione da più di 20 anni
Roberto Ciccarelli
L’«agenda Draghi» ha lasciato il segno sulla scuola. Il «Decreto Aiuti bis» ha portato a termine una delle riforme auspicate da un trentennio dal commando neoliberale, di destra e di sinistra passando dai populisti sospesi a metà, che tende a disarticolare il contratto nazionale di lavoro del settore, a rompere l’uniformità delle retribuzioni degli insegnanti e a differenziare le funzioni attraverso la competizione e i premi alla «produttività».
Nell’ambito della revisione delle norme sulla formazione continua degli insegnanti, introdotte con una riforma legata al «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), è stato varato un modesto provvedimento che istituisce la figura del «docente esperto» che guadagnerà 5.650 euro in più, oltre 400 euro in più al mese rispetto agli altri insegnanti, sotto forma «assegno annuale ad personam». A partire dal prossimo anno scolastico queste figure non dovranno essere superiori a ottomila e saranno selezionate tra i docenti di ruolo. Si prospetta così un percorso macchinoso di nove anni, tre corsi triennali con esami a fine di ogni triennio e tesi finale. Alla fine dovrebbe arrivare anche il «premio».
Questa decisione, presa a scuole chiuse e in pieno agosto, è stata contestata dai sindacati della scuola che hanno scioperato il 30 maggio scorso. «La scuola – sostengono Flc Cgil, Cisl e Uil Scuola, Gilda e Snals – non può andare avanti con ottomila docenti esperti, mentre funziona quotidianamente con centinaia di migliaia di docenti sottopagati». «È evidente che si trovano i soldi per tutto tranne che per il rinnovo del contratto scaduto da oltre 3 anni». «È un fatto acclarato che le retribuzioni medie dei docenti sono troppo basse, sia rispetto a quelli dei colleghi europei, sia rispetto a quelli degli altri lavoratori del pubblico impiego a parità di titolo di studio». La richiesta è lo stralcio del provvedimento che non ha nessun carattere di urgenza, né rientra tra gli «affari correnti» del governo dimissionario.
La vicenda dimostra la natura regressiva delle politiche «sociali» adottate da chi oggi si richiama all’«agenda Draghi». Invece di finanziare il rinnovo del contratto per un milione di persone, con l’inflazione alle stelle e il potere di acquisto decrescente, si finanzia un aumento selettivo una tantum. Il mondo alla rovescia.