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L’agonia delle università del Sud

Né soldi, né studenti. E 700 ricercatori verso il Nord . In quattro anni il Sud perde 281 punti di organico, il Centro 60 mentre il Nord ne guadagna 341 con un privilegio particolare per la Lombardia, per le cosiddette università speciali come il S.Anna di Pisa, l’Imt di Lucca, l’università per stranieri di Siena e immancabilmente l’università del ministro in carica

20/08/2015
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il manifesto

Francesco Sinopoli - Alberto Campailla

I recenti dati Svi­mez andreb­bero letti alla luce dell’Anagrafe del Miur sulle imma­tri­co­la­zioni all’Università, radi­cal­mente scese con punte altis­sime al Sud (45 mila iscritti in meno in 10 anni) in favore a tratti degli ate­nei del Nord. Si rende evi­dente come la crisi eco­no­mica e sociale del Sud sia aggra­vata dalla costante fuga dei gio­vani e dalla loro rinun­cia a con­ce­pire la for­ma­zione come un’opportunità. Que­sti dati hanno costretto il pre­si­dente del con­si­glio ad aprire una “rifles­sione” nel Pd e nella mag­gio­ranza sulle poli­ti­che per il Sud, anche se al momento non esi­ste una delega per nes­sun mini­stro o sot­to­se­gre­ta­rio su que­sti temi.

Natu­ral­mente col­pi­sce che ciò avvenga dopo aver sot­tratto le risorse dei fondi strut­tu­rali per finan­ziare gli sgravi sulle nuove assun­zioni. L’esito della rifles­sione sul Mez­zo­giorno viene comu­ni­cato dal piro­tec­nico pre­si­dente del con­si­glio con il solito annun­cio di inve­sti­menti con­dito dalla reto­rica stan­tia del Sud che si piange addosso. Guar­dando al Sud attra­verso la lente dell’Università vediamo, quindi, con mag­gior chia­rezza che non di disin­te­resse si tratta ma di pia­ni­fi­cato abbandono.

Dal 2008 in avanti, il sistema uni­ver­si­ta­rio ita­liano ha visto com­ples­si­va­mente una sot­tra­zione di 1,5 mld di euro a cui si è accom­pa­gnata la legge 240/2010 neces­sa­ria a legit­ti­mare i tagli pia­ni­fi­cati. Que­ste scelte hanno avuto effetti dram­ma­tici sull’offerta for­ma­tiva, inde­bo­lito la capa­cità di ricerca, cro­ni­ciz­zato il ricorso al lavoro pre­ca­rio pre­giu­di­cando la fun­zione pub­blica e la mis­sione isti­tu­zio­nale dell’Università pro­prio in una par­ti­co­lare con­giun­tura che avrebbe richie­sto la sua com­pleta rea­liz­za­zione. Si tratta, del resto, di misure che si ispi­rano a prin­cipi affatto ori­gi­nali. E’ l’onda lunga di quel pro­cesso neo­li­be­rale di ristrut­tu­ra­zione delle agen­zie for­ma­tive e più in gene­rale dei set­tori pub­blici tor­nato di gran moda nel nostro paese. L’esito di que­ste poli­ti­che è sotto gli occhi di tutti: l’Italia si col­loca ben al di sotto della media euro­pea per finan­zia­menti all’Università, per numero di stu­denti iscritti e lau­reati, per numero di ricer­ca­tori e dot­tori di ricerca in rap­porto alla popolazione.

La nostra Uni­ver­sità vive, quindi, uno stato di emer­genza com­ples­siva, ma in que­sto qua­dro risulta altret­tanto evi­dente che in alcune zone del paese, il Sud in par­ti­co­lare, que­sta situa­zione è par­ti­co­lar­mente grave. La ragione risiede nelle diverse con­di­zioni di par­tenza degli ate­nei del Sud ma soprat­tutto a causa degli indi­ca­tori di valu­ta­zione uti­liz­zati per lo stan­zia­mento delle poche risorse dispo­ni­bili che hanno note­vol­mente sfa­vo­rito gli ate­nei meri­dio­nali. In sostanza in que­sti anni di ridu­zione costante delle risorse si è veri­fi­cato un pro­cesso di redi­stri­bu­zione delle stesse a svan­tag­gio della mag­gio­ranza degli ate­nei del Sud.

Con­si­de­riamo ad esem­pio il caso dei punti orga­nico (Po), che riguar­dano diret­ta­mente la pos­si­bi­lità di un ate­neo di assu­mere e cioè di ricam­biare e rin­gio­va­nire la pro­pria classe docente. In que­sti anni le poli­ti­che pre­miali hanno pesan­te­mente sfa­vo­rito gli ate­nei meri­dio­nali. Solo quest’anno lo stacco di Po tra ate­nei del Cen­tro Nord e del Sud è di 18 punti per­cen­tuali (cal­co­lati rispetto alla distri­bu­zione che si avrebbe se il tetto mas­simo fosse sta­bi­lito a livello di ate­neo e non di sistema).

Caso emble­ma­tico è quello della Sici­lia che perde ben 29 punti orga­nico e della Cam­pa­nia che si asse­sta a –19. Si sta veri­fi­cando un ridi­men­sio­na­mento selet­tivo del sistema uni­ver­si­ta­rio che sot­to­stà alla pre­cisa logica di con­cen­tra­mento delle risorse in pochi ate­nei. Que­sto ha por­tato ad una assurda com­pe­ti­zione per l’accaparramento dei pochi finan­zia­menti dispo­ni­bili in cui il meri­dione resta comun­que affos­sato. Come det­ta­glia­ta­mente riporta Benia­mino Cap­pel­letti Mon­tano su “Roars” «quasi 700 ricer­ca­tori pre­le­vati dagli orga­nici delle uni­ver­sità del Centro-Sud e tra­sfe­riti d’ufficio negli ate­nei del Nord-Italia nel corso di soli quat­tro anni»: all’indomani dell’assegnazione 2015, que­sto è il tra­vaso com­ples­sivo pro­dotto dai per­versi mec­ca­ni­smi dei punti orga­nico”. Com­ples­si­va­mente in 4 anni il Sud perde 281 punti orga­nico, il Cen­tro 60 men­tre il Nord ne gua­da­gna 341 con un pri­vi­le­gio par­ti­co­lare per la Lom­bar­dia e per le cosid­dette uni­ver­sità spe­ciali come il S. Anna di Pisa, L’Imt di Lucca, l’Università per stra­nieri di Siena e imman­ca­bil­mente l’Università del mini­stro in carica.

L’assunto da cui par­tono i difen­sori di que­ste poli­ti­che è noto: biso­gna soste­nere le eccel­lenze. Un approc­cio pri­mi­tivo ai pro­blemi del nostro sistema di istru­zione e ricerca che nasconde la coper­tura di inte­ressi con­cen­trati in alcune aree geo­gra­fi­che ben loca­liz­zate. Soprat­tutto un approc­cio misti­fi­cante per­ché l’assegnazione dei punti orga­nico pre­scinde ampia­mente da qua­lun­que valu­ta­zione sulla qua­lità della ricerca o della didat­tica ma si basa su para­me­tri di carat­tere esclu­si­va­mente patri­mo­niale e finan­zia­rio peral­tro pre­miando chi aumenta le tasse agli stu­denti sfo­rando il tetto mas­simo pre­vi­sto dalla legge.

La pena­liz­za­zione degli ate­nei del Sud, e non solo, si intrec­cia, infatti anche con il pro­gres­sivo inde­bo­li­mento di molte disci­pline che in quelle Uni­ver­sità van­tano scuole impor­tanti. Col­pi­sce coloro che lavo­rano e col­pi­sce soprat­tutto gli studenti.

Sacri­fi­care, come sta già avve­nendo, un sistema uni­ver­si­ta­rio dif­fuso con una qua­lità media ele­vata signi­fica rinun­ciare ad una rete uni­ver­si­ta­ria che rap­pre­senta una fon­da­men­tale infra­strut­tura a van­tag­gio di una idea astratta di eccel­lenza com­ple­ta­mente scol­le­gata dai biso­gni reali delle per­sone e del paese.
Le ideo­lo­gie che sosten­gono il verbo dell’eccellenza die­tro cui cer­cano di celare il carat­tere essen­zial­mente clas­si­sta di ogni policy sug­ge­rita e poi appli­cata negli ultimi anni al sistema dell’istruzione si nutrono gene­ral­mente del con­tri­buto, tra­sver­sale, di molti media.

a ultimo Il Fatto Quo­ti­diano il cui vice­di­ret­tore si chiede, se sia «dav­vero utile sus­si­diare pesan­te­mente uni­ver­sità che pro­du­cono disoc­cu­pati e for­mano per­sone che nes­suno sente il biso­gno di assu­mere o retri­buire ade­gua­ta­mente». Si rife­ri­sce alle facoltà uma­ni­sti­che che non offri­reb­bero grandi oppor­tu­nità occu­pa­zio­nali, com­por­tando, comun­que, retri­bu­zioni basse per i pochi for­tu­nati che tro­vano lavoro. Come se il pro­blema fos­sero le scelte degli stu­denti e non una domanda da parte delle imprese ita­liane di qua­li­fi­che basse e medio basse con­se­guenza di una spe­cia­liz­za­zione pro­dut­tiva sem­pre più ina­de­guata. Come se il pro­blema non fosse una poli­tica di defla­zione sala­riale che ha con­tri­buto ad aggra­vare la crisi in cui ci troviamo.

Dal nostro punto di vista la ricetta è esat­ta­mente l’opposto: ser­vono più ricer­ca­tori, più offerta uni­ver­si­ta­ria e rifiuto delle cate­go­rie sui­cide di ade­gua­mento alla domanda del mer­cato e di eccel­lenza.
Serve costruire un sistema uni­ver­si­ta­rio nazio­nale non com­pe­ti­tivo ma coo­pe­ra­tivo, par­tendo dalle aree ter­ri­to­riali dove mag­giore è il ritardo nello svi­luppo attra­verso la crea­zione di reti reali tra gli ate­nei per rea­liz­zare una offerta didat­tica inte­grata. In un ter­ri­to­rio come quello ita­liano carat­te­riz­zato da forti ritardi e dif­fe­renze al suo interno l’Università deve rap­pre­sen­tare la pos­si­bi­lità di riscatto. In par­ti­co­lare per le aree eco­no­mi­ca­mente più deboli e messa nelle con­di­zioni di assol­vere alle sue mol­te­plici mis­sioni. Didat­tica di qua­lità, ricerca di fron­tiera e appli­cata, inno­va­zione tec­no­lo­gica, crea­zione di oppor­tu­nità di impiego anche attra­verso per­corsi di for­ma­zione per­ma­nente, qua­li­fi­ca­zione del tes­suto pro­dut­tivo ma soprat­tutto pos­si­bi­lità di scelte con­sa­pe­voli per un numero sem­pre mag­giore di persone.

Sono indi­spen­sa­bili finan­zia­menti, supe­ra­mento dell’idea di pre­mia­lità, qua­li­fi­ca­zione dell’offerta for­ma­tiva, costru­zione di un vero sistema di diritto allo stu­dio, nuove assun­zioni par­tendo dai pre­cari che con­sen­tono alla mac­china ancora di funzionare.

* Segre­ta­rio gene­rale Flc-Cgil, ** Coor­di­na­tore stu­denti uni­ver­si­tari Link