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«L'appello dei rettori? In ritardo, ma da sostenere»

Gli studenti: «Sono stati conniventi col governo»

19/02/2013
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Corriere della sera

ROMA — «Va bene quella lettera, ma potevano pensarci prima». Non è proprio un coro, ma ci va molto vicino: la reazione al documento della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) è polemica. Non perché le sei priorità indicate dai rettori al futuro presidente del Consiglio non siano in gran parte condivise e condivisibili, ma perché sembrano «in ritardo» rispetto ai tempi e alle esigenze dell'università italiana. I rettori chiedono la defiscalizzazione delle tasse, la copertura totale delle borse di studio, l'abbattimento dell'Irap sulle borse post lauream e la defiscalizzazione degli investimenti delle imprese in ricerca. Ma anche il finanziamento dei posti di ricercatore e il blocco del turnover, la restituzione dell'autonomia alle università e l'incremento dei fondi all'1% del Pil.
«Bravi — applaude ironico Michele Orezzi, presidente dell'Unione degli universitari —. Stiamo sollevando questi problemi dal 2008, peccato che i rettori non siano scesi in piazza con noi allora. Il silenzio, che i rettori pensavano fosse coraggioso, ha portato gli atenei sull'orlo del default». «La Crui è sempre stata connivente con le scelte scellerate del governo — incalza Mario Nobile, di Link coordinamento universitario —. A partire dalla riforma Gelmini che i rettori hanno sempre appoggiato. Questi punti sono condivisibili ma troppo vaghi e generici».
«In realtà sono richieste di buon senso», analizza Giorgio Bolondi, professore universitario a Bologna ma anche più volte consulente di Palazzo Chigi. «Mi sembra ovvio chiedere di poter dedurre le spese per l'istruzione dei miei figli, quando mi è permesso scaricare quelle per la palestra — spiega Bolondi —. Più complessa la questione delle borse di studio: in un sistema ben funzionante ci dovrebbero essere più modi per finanziare gli studenti. E infatti il terzo punto va di pari passo: nel nostro Paese manca un investimento privato sugli studi, investimento che è difficile ottenere se non c'è una politica fiscale adeguata». Promosso anche il quarto punto: «Siamo tutti troppo vecchi nell'università», commenta Bolondi, che invece manifesta «dubbi» sul quinto punto, l'autonomia: «Va maneggiata con cautela». E l'aumento dei fondi? «Ben venga, perché non si tagli più su servizi, ricerca, sviluppo».
Infatti l'università non ha solo un problema di tasse e iscrizioni in calo: «Il punto è che bisognerebbe renderla più attrattiva — dice Antonio Marsilio, Cisl —. La situazione in cui ci troviamo oggi, con 20 università a rischio commissariamento, il diritto allo studio massacrato, è frutto della politica degli ultimi venti anni. Non dico che i rettori siano stati completamente assenti, ma sarebbe stata auspicabile maggiore forza». E anche la Cgil parla di necessità di «autocritica»: «Con più decisione avrebbero potuto evitare il disastro», secondo Mimmo Pantaleo. Meno morbido Alberto Civica, Uil: «Hanno avuto un atteggiamento superistituzionale in questi anni. E neanche adesso hanno il coraggio di criticare apertamente la riforma Gelmini: anche se nel punto cinque di fatto la bocciano, lo fanno in modo criptico, come se non volessero disturbare troppo. E in realtà quello è l'unico punto non economico della lettera: sembra che il vero problema dell'università siano le risorse, e non è così».
Però è vero che, chi quelle risorse ce le ha, funziona meglio: «Si, è vero che campiamo delle rette degli studenti — ammette Pierluigi Celli, direttore della Luiss —. Ma le risorse poi vanno amministrate nella logica dell'impresa, razionalizzandole e non spendendo, come succede negli atenei pubblici, il 95% dei soldi in stipendi».
Valentina Santarpia