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L'Unità: Credere, obbedire, insegnare

di Marina Boscaino

14/06/2007
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l'Unità

L’idea che un paese ha della propria scuola corrisponde all’idea che il paese ha di se stesso: la scuola costituisce - più di qualunque altra istituzione - la rappresentazione, la concretizzazione più immediata del modello di società al quale si tende. È questo il motivo principale per cui il Fascismo - come tutti i regimi totalitari - ha individuato nella scuola il luogo, il laboratorio privilegiato per l’edificazione e il consolidamento progressivo del progetto della definizione e affermazione della nuova fede. Si tratta potenzialmente del megafono più amplificato, della voce più intrusiva e convincente nella formazione delle coscienze personali e nella creazione di un consenso. È uno strumento potentissimo, che solo le democrazie e l’ancoraggio a principi costituzionali democratici, laici, inclusivi, liberi ed egalitari possono rendere funzionale ad un progetto di formazione di coscienze critiche, ad un’idea di cittadinanza, alla conquista di una cultura libera e disinteressata. E questo è il motivo principale per cui la vigilanza e la difesa della scuola pubblica, laica, pluralista e democratica costituisce un impegno doveroso e un contributo necessario alla vita del paese.
Ugo Piscopo, poeta, scrittore, saggista, uomo di scuola, che ha posto al centro dei propri interessi l’indagine su alcuni aspetti del Novecento letterario, ci offre con La scuola di regime (Guida, 2006, pp. 203, euro 12.50, prefazione di Nicola Mancino), una ricognizione puntuale e critica del progetto di sacralizzazione del fascismo di cui Benito Mussolini affidò sapientemente alla scuola la regia. Sapientemente, rendendosi conto che la scuola per sua natura - attraverso i molteplici strumenti che ha a disposizione (gli insegnanti, le discipline, i libri di testo) - poteva rappresentare il più potente mezzo di propaganda e, soprattutto, di investimento a lungo termine sui destini del consenso al regime fascista. Capitolo dopo capitolo La scuola di regime passa in rassegna - attraverso una revisione accurata e puntuale dei testi e dei documenti - gli aspetti più pervasivi di quel progetto di garanzia di continuità che fu la scuola durante il fascismo. Piscopo esamina, con esaustività e raffinatezza di documentazione, gli aspetti dell’assoggettamento totale della scuola italiana alle finalità indicate dal regime, in un’opera continua e progressiva di riposizionamento, di occupazione di postazioni, di allargamento delle - funeste - prospettive: la sottolineatura delle immissioni ideologiche e le manipolazioni nel Nuovissimo Melzi, dizionario enciclopedico in uso prima e durante il fascismo; il Sommario di filosofia di Eustachio Paolo Lamanna, che celebra esplicitamente il fascismo come il momento culminante e finalisticamente conclusivo di un processo di evoluzione storica-culturale-ideologica iniziato (e, pertanto, legittimato e sublimato) dall’antichità. Le curiose liste degli autori delle antologie letterarie, culminanti tutti con il nome di Mussolini, il fondatore, il Capo Supremo, il Poeta: erede massimo di una tradizione culturale inaugurata da Dante, Petrarca e Boccaccio e che - attraverso i grandi della storia letteraria italiana, da Ariosto a Vico, da Pulci a Manzoni e Leopardi - valorizza quella tradizione nell’attualità, insieme a nomi «altisonanti» quali Marpicati, Ciarlantini, Delcroix. Al di là della celebratissima linea Carducci-Pascoli-D’Annunzio, della quale il Duce si sente a buon diritto di rappresentare l’esito, al punto da consentire la titolazione Le quattro corone a un’antologia di Vicinelli, non una parola - per quanto riguarda la contemporaneità - o solo rarissimi cenni ai vociani, ai frammentisti, a Ungaretti e Saba. Si pensi - ci suggerisce Piscopo - che la celebrata antologia Il Melograno di un letterato come Alfredo Panzini (rimaneggiata, alla sua morte nel ’39, da Ranieri Allulli) vede ben 12 brani di Mussolini «contro i 2 aggiudicati a Leonardo, Foscolo, Manzoni (…), Pirandello, (…) 9 a D’Annunzio, 6 a Carducci. (…) E contro nessun brano dedicato a Dante, Petrarca, Boccaccio, Machiavelli, Ariosto, Guicciardini, Tasso, Svevo, Montale, a Croce, ai meridionalisti, a Gadda, a Saba»: la faziosità e l’illiberalità - quanto alla letteratura contemporanea - si traduce in pretestuosa selezione di gusto.
Il testo rappresenta un atto di accusa eloquente rispetto all’asservimento degli intellettuali, degli insegnanti, di coloro che avrebbero potuto vigilare attraverso la costanza delle proprie ragioni e la forza della propria cultura; ma che - viceversa - accettarono il patto scellerato di piegare ragione e cultura a un progetto di violenta coazione dei gusti, delle convinzioni, dell’etica, delle idealità. Una mitografia e una mitologia fittizie che - non dimentichiamolo - consentirono nel 1938 di accettare l’abominio delle leggi razziali, senza che gli intellettuali non apertamente antifascisti spendessero una parola, se non in rarissimi e fin troppo celebrati casi. E proprio sugli intellettuali e sugli insegnanti dell’epoca, Piscopo si sofferma con attenzione: insegnanti spossessati della propria discrezionalità, della propria indipendenza intellettuale, della capacità di selezione e valutazione dei libri di testo; piegati dalla Carta della scuola, che integra l’istruzione pubblica nelle strutture dello stato fascista e pone «gli eterni valori della razza italiana» al culmine di ogni attività formativa; l’obbligo di giuramento, poi, e l’allontanamento dalla cattedra se trovati in «condizioni di incompatibilità colle generali direttive politiche del governo». Il successo del progetto di mortificazione di ogni forma di pensiero autonomo si concretizza nell’appoggio acritico al binomio istruzione-educazione alla guerra; all’epica della fisicità agonistica, dell’aggressività, della violenza. Al punto da riecheggiare nelle inequivocabili affermazioni di Mussolini: «Scuola e Partito, insieme congiunti nell’opera di educare le giovani generazioni, intendono dare ai giovani un addestramento alle armi che non sia semplicemente manuale, ma spirituale e morale». Una perfetta sovrapposizione di piani per rafforzare il ruolo della scuola come fucina dei «nuovi italiani».
La scuola del regime concretizza - attraverso argomentazioni serrate e incontrovertibili - una risposta estremamente significativa a qualunque tentazione di rivisitazione, di revisione, di assoluzione riguardo al nostro passato e alla pericolosa e dittatoriale progettualità fascista. E un monito alla cura e al rispetto del mandato che la Costituzione democratica ha affidato alla nostra scuola pubblica.