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L'Unità: EPIFANI: CARO MONTEZEMOLO, BASTA CON I POLVERONI SUL TFR

Avete già dimenticato i disastri di Berlusconi?

14/10/2006
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l'Unità

L’INTERVISTA

di Oreste Pivetta

POTERI FORTI Guglielmo Epifani accusa gli industriali: «Sul tfr c’è una montatura orchestrata da Confindustria. Le soluzioni esistono. Vedremo chi è davvero un riformatore. Tanti strilli dicono che siamo sulla strada giusta». La «sorpresa» per alcune considerazioni di Draghi. «E chi si ricorda di Tremonti?»A Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, è toccata anche la sorpresa di una Confindustria che si lagna, perché si sentirebbe tradita dal sindacato: «Ci ha lasciati soli», ha protestato Luca di Montezemolo. Mentre il governatore Draghi gli offriva la sua solidarietà. Epifani ha già risposto: «Mai vista Confindustria difendere i lavoratori».

Epifani, la sensazione è che Montezemolo volesse procedere oltre: difendere Confindustria con i soldi del tfr. Perché tante grida attorno al tfr?

«Montezemolo sa benissimo come la pensa il sindacato. Sa benissimo che abbiamo sempre sostenuto un progetto che lasciasse ai lavoratori la possibilità di scegliere: dirottare il tfr verso i fondi pensioni oppure mantenerlo in azienda. Come può accusarci d’essere noi partecipi di una manovra che distoglie le liquidazioni dai fondi pensione? Non è vero. Si fa largo, complice anche tanta parte dell’informazione, una strana idea che svela una colossale montatura: quando si dice di voler favorire i fondi pensione e si pensa invece di poter condizionare la scelta dei lavoratori, perché il tfr resti in azienda. Proviamo a immaginare che succederebbe se tutti i lavoratori dipendenti decidessero di aderire ai fondi pensione? Che cosa rimarrebbe alle piccole e medie aziende, che a Montezemolo stanno tanto cuore?».

Ma di fronte a toni così aspri, si presenta una via d’uscita?

«Non abbiamo nessuna remora a sostenere che il tfr possa andare in parte a sostenere gli investimenti, purché si trovi qualcosa a sostegno delle piccole e medie imprese e si consenta al lavoratore di utilizzare i suoi soldi, se ne ha bisogno. Una soluzione la si trova, se si vuole trovarla. Ci si metta attorno a un tavolo per discuterne senza alzare barricate. Purtroppo avverto commenti troppo accesi. Basta leggersi i titoli di tanti giornali sintonizzati sulle stesse parole d’ordine. Vedremo chi è il riformatore e chi no... ».

Scusi, per chiamare in causa Draghi, il governatore della Banca d’Italia, questa storia non rivela ancora una volta l’arretratezza del sistema bancario? Anche se Pietro Modiano, direttore generale di Sanpaolo Imi, proprio al convegno di Capri, aveva colto nel segno, promettendo: siamo qui noi...

«Diciamo che questa storia rispecchia la scarsa sensibilità del credito a sostenere i progetti di sviluppo della piccola e media impresa».

Chi ha interesse a far fuoco e fiamme? Non certo Montezemolo, che in fondo rappresenta la grande impresa, mai orfana di generosi finanziamenti bancari. E neppure Bankitalia...

«A considerare attentamente e obiettivamente il discorso di Draghi, si scoprono giudizi positivi accanto alle critiche. Luci ed ombre. Peccato che nei resoconti si siano accentuate le ombre. Anch’io avrei però una domanda per Draghi. Di fronte a una manovra che riduce comunque le tasse, anche se di poco, per reddito fino ai trentasette/trentottomila euro, di fronte a una manovra che con chiarezza aiuta le famiglie, che bisogno aveva il governatore di esercitarsi con l’esempio del lavoratore che guadagna ventiduemila euro, che in ragione della nuova curva dell’Irpef risparmia sessanta euro, che ne perde cinquanta di contributi previdenziali, che ne perderà di più per il drenaggio fiscale, che è poi una ipotesi, una previsione... Non ho mai visto nessuno fare un calcolo sul drenaggio fiscale in anticipo... Vorrà dire che dal 2007, quando discuteremo di contratti terremo anche noi conto di quanto si rischia di perdere con il drenaggio fiscale, come suggerisce il governatore».

Draghi fa anche il megafono di un pensiero diffuso: più tagli...

«La critica è la stessa di Confindustria: tagliare. Chi chiede tagli dovrebbe spiegarmi che tagli si possono fare in due mesi. Si possono bloccare i pensionamenti per un anno, per il 2007, si possono ridurre i trasferimenti agli enti locali, si può colpire la sanità pubblica. Francamente l’inno al taglio non lo capisco. Tagliare significa spesso solo peggiorare un servizio. Bisogna essere chiari su un punto: tagliare non significa riformare e una finanziaria deve quadrare i conti dello stato. Riportarli in equilibrio. Non si dovrebbe mai dimenticare l’eredità. Che si debba riformare molto non c’è dubbio. Che si debba riformare la pubblica amministrazione non c’è dubbio. Ma non si riforma da un giorno all’altro. Piuttosto anche Draghi sottovaluta un altro tema della finanziaria, quello degli investimenti, che ci sono. Perché questa finanziaria riduce la spesa corrente e alza gli investimenti, al contrario di quanto fecero i governi di Berlusconi, che moltiplicarono la spesa corrente e azzerarono gli investimenti. Anche di questo non ci si dovrebbe dimenticare».

Passati giorni tempestosi, non mi sembra che lei abbia intenzione di modificare il suo primo positivo giudizio?

«No, anche se anche nella polemica non ho alcuna intenzione di nascondere i problemi. Il primo dei quali direi è l’assenza di un cuore. Prodi, se vuole andare avanti, deve immaginare il cuore.Dico cuore per dire respiro, per dire prospettiva, per dire orizzonte. Questa finanziaria raddrizza i conti, ma si deve chiarire a quale progetto s’indirizzano i sacrifici che si chiedono. Un governo eletto per governare cinque anni deve spiegare quale paese vuole costruire. Poi ci sono gli altri problemi: la riduzione dei trasferimenti agli enti locali (e correzioni mi pare vi siano state), che cosa si fa per gli anziani, che cosa si fa per i poveri veri, che cosa si muove di fronte alla precarietà del lavoro (anche se per quanto riguarda la precarietà nella scuola segni importanti si sono dati), che cosa si fa per la casa.Le contraddizioni stesse: sono stati azzerati i fondi per la mobilità del pubblico impiego, mentre il ministro proponeva il ricorso alla mobilità per riformare la pubblica amministrazione. La legge finanziaria è uno strumento complicato. Però una linea dentro questa finanziaria si legge e l’Istat la riassumeva l’altro ieri: aiuta sedici milioni di famiglie... Vorrei aggiungere: tanti strilli dimostrano che questa finanziaria va bene».

Sicuramente non è la finanziaria dei due tempi. In questo s’è rispettata la prima condizione indicata dai sindacati...

«Come s’è scritto nel nostro documento unitario. Il giudizio di fondo resta. Anche se c’è ancora molto da correggere».

Ha fiducia che la lotta all’evasione fiscale tanto promessa possa condurre a buoni risultati?

«Mi pare che da luglio ad oggi siano stati decisi provvedimenti utili e coerenti. L’evasione indigna. Usiamo quanto si può recuperare dall’evasione per ridurre le tasse e finanziare investimenti. Ce n’è bisogno per scuola, formazione, università, ricerca, dove sta la chiave dello sviluppo».

Che impressione le ha fatto veder sfilare a Roma notai, avvocati... i cosiddetti professionisti, insomma?

«Qualcosa di nuovo e qualcosa di vecchio insieme. Il vecchio è la destra che ha provato subito a cavalcare la protesta, è l’irritazione di quanti temono di veder colpito un privilegio e uno status. Dopo che per anni si è solo colpito il lavoro dipendente e le pensioni. Qualcosa di nuovo allora si muove, tra mille difficoltà. Per questo un governo, debole nei numeri, deve essere forte nella prospettiva che si dà, nella cultura che costruisce in un’ottica di legislatura. Altrimenti è una navicella tra i marosi».

A proposito di precari, il 4 novembre si terrà a Roma, promossa dalla Fiom, una manifestazione contro il lavoro precario, che ha suscitato forti discussioni. Che ne pensa?

«Penso che si guarda con troppa enfasi al 4 novembre, dimenticando il 21 ottobre quando a Foggia si manifesterà contro il lavoro precario nelle campagne, lavoro che è schiavitù, lavoro degli immigrati clandestini. Si manifesterà contro il caporalato, contro lo sfruttamento bestiale dei più deboli. Un paradosso: la manifestazione che si schiera dalla parte dei lavoratori più derelitti non riesce a conquistare nemmeno un pizzico dell’attenzione che s’è attribuita l’altra. Il 21 ottobre non vale il 4 novembre?».

di Oreste Pivetta