Iscriviti alla FLC CGIL

Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » L’Università che uccide se stessa

L’Università che uccide se stessa

La pubblicazione, da parte dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), delle Linee Guida per l’Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio è l’ultimo episodio di una strategia di distruzione dell’Università per via burocratica che lascia davvero sconcertati.

01/05/2014
Decrease text size Increase text size
ROARS

La pubblicazione, da parte dell’ANVUR (Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca), delle Linee Guida per l’Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio è l’ultimo episodio di una strategia di distruzione dell’Università per via burocratica che lascia davvero sconcertati. Si tratta di un documento di 57 pagine, che in nome della onnipresente esigenza di Assicurazione della Qualità rovescia sugli addetti ai lavori l’ennesimo diluvio di indicazioni, tabelle e algoritmi che paiono usciti da un testo di astrologia: l’intera vita accademica viene tradotta e stravolta, ancora una volta, in adempimenti, requisiti, misurazioni, riunioni, valutazioni, raccomandazioni, incontri, indicatori, redazioni, programmazioni, colloqui, descrizioni, dichiarazioni. Il fatto che le Linee Guida vengano presentate semplicemente come «una raccolta di informazioni» utili alla riflessione dei singoli Atenei «sul livello di sviluppo raggiunto dal proprio sistema di Assicurazione della Qualità» e che si preveda un accreditamento periodico solo a campione non migliora le cose: specularmente si leggono gli obblighi che diventano a questo punto ineludibili, alcuni dei quali fatti scivolare nel testo come se fossero una cosa ovvia (a pagina 6, per esempio, scopriamo per la prima volta che gli Atenei devono esercitare «una azione continua di formazione dei responsabili dei Corsi di Studio» e tremiamo al solo pensiero dei possibili contenuti e dei misteriosi docenti ai quali sarà affidata questa sorta di “rieducazione” permanente).

Il documento è sconcertante non perché finora le indicazioni in proposito abbiano avuto un orientamento molto diverso, ma perché qui tutto si trova moltiplicato ed esasperato, fino al punto che sono indicati giorni della settimana e orari in cui i membri della CEV (Commissione Esperti per la Valutazione) devono svolgere i loro incontri, perfino privati. Se il testo non fosse stato pubblicato sul sito istituzionale dell’ANVUR si potrebbe davvero credere di essere di fronte ad una parodia. Tanto più che ciò avviene sotto un governo che ha considerato come priorità la «lotta alla burocratizzazione» e che proprio l’attuale responsabile dell’Università ha dichiarato il 1º aprile 2014 davanti alla VII Commissione Permanente del Senato (non tra quattro amici al bar) che con l’ANVUR «invece di semplificare, abbiamo complicato» e che bisogna operare «una semplificazione normativa sui meccanismi di accreditamento didattico di ogni ciclo». Pure autorevoli componenti dell’ANVUR si sono espressi in questo senso. Allora delle due l’una: o quella che leggiamo è una versione già semplificata (e inorridiamo nell’immaginare come potesse essere quella originaria: forse era indicato anche il menù settimanale per gli Esperti della Valutazione, in fondo anche Glenn Gould sceglieva il pasto a seconda del capolavoro che doveva interpretare); oppure l’Università italiana è ormai governata da ignoti, sottratti ad ogni indirizzo, controllo, valutazione.

Non abbiamo paura di lavorare di più. E soprattutto – ci teniamo a sottolinearlo a scanso di equivoci – non abbiamo paura di essere valutati, giudicati e controllati. È giusto che i professori universitari siano premiati quando operano bene e siano puniti e, nei casi estremi, perfino cacciati quando si sottraggono ai loro doveri verso gli studenti e verso la comunità scientifica alla quale appartengono. Così come dovrebbe accadere per tutti coloro che hanno la responsabilità e l’onore di lavorare per il bene comune, ricevendo per questo uno stipendio dallo Stato. Rifiutiamo però – e siamo ormai pronti a farlo fino a prendere la strada di una vera e propria disobbedienza civile – di accettare l’idea che questi obiettivi siano raggiungibili solo trasformando la burocrazia accademica in un mostro che divora le passioni e le energie di chi cerca ogni giorno di fare il proprio dovere e lascia paradossalmente indisturbati tutti gli altri. Parliamo di macigni che hanno trasformato in una frustrante corsa ad ostacoli la nostra vita quotidiana:

―    occupazioni che tolgono spazio al nostro vero lavoro e ci trasformano in passacarte che non hanno più tempo e voglia neppure di parlare con gli studenti (e ancor meno fra di noi);

―    adempimenti che sono, per ammissione universale, perfettamente inutili e inducono a continui falsi ideologici, consistendo, in buona parte, nelle redazione di documenti in cui si parla di riunioni immaginarie con discussioni immaginarie su argomenti immaginari;

―    una mentalità che è la filigrana di queste normative e che rivela una sistematica sfiducia nei confronti delle Università, presentate all’opinione pubblica come istituzioni che devono continuamente dimostrare di non essere associazioni a delinquere dedite alla circonvenzione di incapaci;

―    la mortificazione dell’autonomia universitaria tramite una regolamentazione nevrotico-ossessiva che rende sempre più difficile l’invenzione, la sperimentazione, l’interdisciplinarità, non per ultimo per l’anticipo spropositato con cui ogni sia pur minima novità va programmata.

Ci permettiamo anche di aggiungere che è inammissibile che documenti che pretendono di promuovere la qualità dell’Università siano scritti in un italiano stentato, pieno di barbarismi, con perle come «la CEV, può proporre all’ANVUR», «La CEV deve riunirsi [...] per allineare [?] tutti i componenti sull’andamento della visita» (p. 12), «discussione sulle evidenze [?] della giornata» (p. 13 e altrove), «ex-alumni» (p. 13), «Se dopo tale tempo, le criticità permangono» (p. 15), «nota da tutti docenti » (p. 46), «gli eventuali altre strutture» (p. 49 e 51), «il numero di ore [...] sono adeguate» (p. 56). Che lingua è? E nessuno si è accorto di quanto sia offensivo spiegare: «La CEV marca a destra la casella della riga prescelta» (p. 20 e poi molte altre volte)? Che cosa sono, le istruzioni per un bonobo? Abbiamo un minimo di dignità e non accettiamo di farci valutare con regole elaborate da qualcuno che riceverebbe probabilmente Obblighi Formativi Aggiuntivi (OFA) in lingua italiana in qualsiasi prova di ammissione all’Università e che tratta pure gli «Esperti» come docili esecutori. Si dirà certamente che queste sviste vanno attribuite agli “uffici” e che non si può pretendere che i colleghi del Direttivo dell’ANVUR si preoccupino di tali quisquilie. Noi pensiamo che la trascuratezza della forma trasmetta sempre un brutto segnale sulla qualità complessiva del percorso di elaborazione di un testo, soprattutto quando si tratta di un testo così importante.

Potremmo continuare a lungo, ma preferiamo per chiarezza giungere subito alla conclusione. La pubblicazione delle Linee Guida per l’Accreditamento periodico delle sedi e dei corsi di studio ha reso ormai definitivamente chiaro che nessuno può farsi illusioni sul sistema AVA, inaugurato con Decreto Ministeriale del 28 gennaio 2013.In campo non vi sono opzioni diverse su singoli problemi, ma due modelli di Università, diversi e inconciliabili: da una parte c’è un’Università libera e autonoma, valutata da agenzie indipendenti e anzitutto dagli studenti,fatta di insegnamento e di ricerca, in cui si suppone che le cose siano fatte bene a meno che consti il contrario; dall’altra c’è l’Università sotto il totale controllo delle burocrazie ministeriali, fatta di docenti trasformati a loro volta in burocrati, di commissioni e carte, con l’ossessione della «misurazione», in cui si suppone che le cose siano fatte male a meno che non si riesca a dimostrare il contrario. Bisogna scegliere da che parte stare.

 

Chiediamo per questo a tutte le colleghe e i colleghi di prendere atto che è arrivato il momento di metterci la faccia, non lamentandosi nei corridoi o intorno al tavolo di una cena fra amici, ma dicendo a voce alta che d’ora innanzi rifiuteranno la loro collaborazione per tutti gli adempimenti previsti dal sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione periodica, Accreditamento), garantendo solo ciò che è indispensabile per non danneggiare i loro studenti. Noi lo faremo e speriamo di non restare soli. Chiediamo al CUN e alla Conferenza dei Rettori di rinunciare finalmente all’illusione di poter salvare l’Università con documenti che negli ultimi tempi hanno dimostrato la disponibilità ad un ravvedimento operoso rispetto a troppe complicità del passato e che tuttavia non producono nessun effetto. Facciano quello che la politica oggi ci sollecita a fare: chiedano prove concrete di un cambiamento radicale di rotta (a partire dal ritiro del Decreto Ministeriale del 28 gennaio 2013 con cui è stato istituito il sistema AVA) in tempi brevissimi e si dimettano in blocco se non accadrà niente. Chiediamo al Ministro e al Presidente del Consiglio, che non ne parla mai, di considerare che l’Italia non cambierà verso se non cambierà verso la nostra Università. Il Ministro riconosce che l’ANVUR ha in molti casi creato ostacoli anziché aiutare il sistema a guadagnare trasparenza ed efficienza? Cambi verso all’ANVUR, naturalmente senza buttare il bambino con l’acqua sporca. Il Presidente Renzi vuole prendere a picconate l’ipertrofia burocratica che genera frustrazione e spreco di risorse? Prometta che ridurrà dell’80 per cento il volume delle norme e degli adempimenti che uccidono l’Università e che sono stati purtroppo pensati con il contributo proprio di alcuni professori universitari, che in buona fede hanno fatto alcune cose buone e, purtroppo, molti errori. E lo faccia davvero. Siamo pronti a dimostrare che il 20 per cento di ciò che è stato fatto basta e avanza per stanare i fannulloni, valorizzare la buona ricerca, colpire davvero gli assenteisti e chiudere i corsi di laurea che “vendono” agli studenti quel che non hanno. Nel frattempo, si restituisca qualcosa anche all’Università. In troppe aule sono rimasti ormai solo gli studenti. E pareti e tetti non sono spesso in condizioni migliori di quelli delle nostre scuole