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La buona scuola finisce in retromarcia

Il sindacato sventola un riequilibrio, ma l’importante è che non riporti alla melina di trattative asfissianti e a quella versione infetta della cogestione di cui già abbiamo fatto esperienza

30/12/2016
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Corriere della sera

di GianAntonio Stella

I «muscoli del Capitano», per citare De Gregori, non han dato i risultati promessi. Anzi. Meglio un passo indietro. Il senso della riforma alla riforma «epocale» della Buona scuola, al di là di questo o quel punto come la sterzata sui trasferimenti, sta in due righe del comunicato dei sindacati che salutano trionfanti «un riequilibrio del rapporto tra leggi e contrattazione a favore di quest’ultima». Traduzione: d’ora in avanti l’ultima parola spetterà ancora, ovvio, alle regole fissate dal governo. Ma solo «dopo» un confronto coi rappresentanti dei lavoratori.

Che le nuove norme avessero creato nella scuola una sorta di incessante bradisismo è sotto gli occhi di tutti. Un caos il concorsone per assumere 63.712 docenti selezionati da quasi mille commissioni attraverso prove spesso rifiutate da esaminatori pagati 50 cent «per la correzione di ciascun elaborato e 50 per ogni candidato esaminato all’orale». Ritardi enormi. Prove impugnate: «Più che un esame un tentativo di decimazione», scrisse di alcune Ernesto Galli della Loggia. Oltre la metà di bocciati (55%) agli scritti. Ricorsi a pioggia contro l’«algoritmo canaglia» delegato a gestire «equi» trasferimenti al Nord vissuti come «deportazioni». Classi sconvolte dai certificati medici di chi, vinta una cattedra a mille chilometri da casa, cercava di resistere appellandosi insieme al giudice. Centomila supplenze…

Prima ancora della slavina di «No», lo stesso Renzi pareva aver capito quanto certe prove di forza (tanto più in un settore come la scuola) possano essere un azzardo: o porti a casa i risultati promessi o il fallimento è scaricato addosso a te. La mano tesa di fine novembre al pubblico impiego e la scelta come ministro di Valeria Fedeli (non laureata ma ex sindacalista) han fatto il resto. Una sterzata radicale. Che potrebbe essere positiva. Purché quel «riequilibrio» sventolato dal sindacato non riporti alla melina di trattative asfissianti e a quella versione infetta della cogestione di cui già abbiamo fatto esperienza.