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La Gelmini tenta di spiegare a Berlusconi che cosa è, secondo lei, la scuola pubblica, ma non ci riesce.

di Osvaldo Roman

02/03/2011
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ScuolaOggi

In vista della manifestazione del 12 marzo in difesa della Costituzione e in particolare dei principi che in essa fondano il nostro sistema di istruzione é utile tornare su quella recente esternazione del Presidente del Consiglio che citando il brano di un suo comizio letto nel 1994, a suo dire valido ancora oggi, affermava che “i cittadini non devono essere costretti a mandare i loro figli nella scuola di Stato dove ci sono degli insegnanti che vogliono inculcare dei principi che sono il contrario di quelli che i genitori vogliono inculcare nei loro figli”.

Ignorando fra l’altro di bacchettare quell’orrendo “inculcare” tipico di una liturgia da “bunga-bunga” ed estraneo a qualsiasi tipo di moderna cultura pedagogica, di fronte all’ondata di critiche levatasi nel paese, il Ministro dell’Istruzione si è sentita in dovere di precisare e di interpretare quelle affermazioni troppo azzardate e prive di ogni valore storico, politico e culturale, affermando che: "Il pensiero di chi vuol leggere nelle parole del premier un attacco alla scuola pubblica è figlio della erronea contrapposizione tra scuola Statale e scuola
Paritaria". "Per noi, e secondo quanto afferma la Costituzione italiana - la scuola può essere sia Statale, sia Paritaria. In entrambi i casi è un'istituzione pubblica, cioè al servizio dei cittadini".
La preoccupazione del Ministro era con ogni evidenza dettata anche dal fatto che le dichiarazioni di Berlusconi, poiché molto datate, omettevano di attribuire al ruolo della scuola paritaria, quel requisito di “carattere pubblico” che la propaganda integralista ha inteso in anni recenti attribuirle.

Il Ministro Gelmini che non è in grado di affermare pubblicamente di aver perseguito in questi anni, nella propria iniziativa politico-amministrativa, quegli obiettivi di svilimento della scuola pubblica in nome della libera scelta, peraltro non presenti nella legislazione dello Stato, indicati dal Presidente del Consiglio ha tentato così di correggere Berlusconi nella sua affermazione più strampalata. Quella che attribuiva alla scuola pubblica il carattere di una scuola di indottrinamento ideologico contrario alle esigenze e agli orientamenti delle famiglie.
 
Sull'onda delle polemiche sollevate, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si è sentito successivamente in dovere di precisare che "come al solito anche le sue parole sulla scuola pubblica sono state travisate e rovesciate”. Infatti il suo governo avrebbe”avviato una profonda e storica riforma della scuola e dell'Università, proprio per restituire valore alla scuola pubblica”. Questo impegno però non significa “non poter ricordare e denunciare l'influenza deleteria che nella scuola pubblica hanno avuto e hanno ancora oggi culture politiche, ideologie e interpretazioni della storia che non rispettano la verità e al tempo stesso espropriano la famiglia
dalla funzione naturale di partecipare all'educazione dei figli”. Le sue parole, pertanto, “non possono essere in alcun modo interpretate come un attacco alla scuola pubblica, ma al contrario come un richiamo al valore fondamentale della scuola pubblica, che presuppone libertà d'insegnamento ma anche ripudio dell'indottrinamento politico e ideologico".
Come si può vedere Berlusconi (o il suo scriba) sa bene quello che stanno progettando Brunetta, Gelmini e Sacconi, per mettere la museruola ai docenti sovversivi, ma ha ignorato il suggerimento del Ministro dell’istruzione. Per lui “pubblica” è solo la scuola statale e dispiace per una volta dovergli dare pienamente ragione.
Occorre però in proposito ricordare al Ministro Gelmini, affinché se ne faccia interprete con il suo Presidente, che la nostra Costituzione oltre alle scuole Statali e a quelle paritarie riconosce anche il diritto dei cittadini di istituire scuole meramente private e che le leggi che attuano tali principi costituzionali riconoscono, a certe condizioni, alle scuole private che richiedono la parità,
la prerogativa di svolgere un servizio pubblico. (art. 1, comma 3, della legge n°62 del 10 marzo 2000).
 
Tale legge, spesso criticata ma in genere poco letta, (art.1 comma 1) definisce per la prima volta il significato del “sistema nazionale di Istruzione” che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, comma 2 della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Lo stesso comma stabilisce che “la Repubblica individua
come obiettivo prioritario l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita”. E’ evidente il significato, teso ad escludere ogni connotazione di sussidiarietà nelle modalità di conseguimento di tale obiettivo, dell’inciso che richiama il compito della Repubblica di istituire scuole statali di ogni ordine e grado.
 
Sono definite scuole paritarie,(comma 2) “a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti in particolare per quanto riguarda l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire dalla scuola per l'infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia stabiliti dalla medesima legge”.
 
Solo al comma 3 si introduce, in rapporto alle scuole paritarie, il requisito del “pubblico” mai citato a tale riguardo in Costituzione, contrariamente a quanto affermato dalla Gelmini, Un aggettivo non riferito al “carattere” ma al “servizio”. Infatti vi si afferma che: “alle scuole paritarie private è assicurata piena libertà per quanto concerne l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico-didattico. Tenuto conto del progetto educativo della scuola, l’insegnamento è improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione repubblicana. Le scuole paritarie, svolgendo un servizio pubblico, accolgono chiunque, accettandone il progetto educativo, richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap. Il progetto educativo indica l’eventuale ispirazione di carattere culturale e religioso. Non sono comunque obbligatorie per gli alunni le attività extra-curriculari che presuppongono o esigono l’adesione ad una determinata ideologia o confessione religiosa”.
Quest’ultima statuizione non è stata fino ad oggi, a mio parere, oggetto dell’attenzione, dell’approfondimento e della conseguente vigilanza che meriterebbe.
Occorre dunque oggi, a scanso di equivoci, ricordare che a oltre sessantatre anni dalla sua entrata in vigore, dopo l’approvazione della legge sul federalismo fiscale, attualmente in una fase di malcerta applicazione, senza che si sia ancora presa in considerazione la necessità di dare attuazione alle norme del suo nuovo Titolo V°, la Costituzione repubblicana continua a mantenere ben saldi i principi che caratterizzano il ruolo della scuola e dell’istruzione nella nostra società.
L’istruzione rimane una funzione fondamentale dello Stato e deve essere svolta nell’interesse della collettività. L’insegnamento però deve essere libero per tutti.
La libertà d’insegnamento nella nostra Costituzione è garantita nel senso più ampio e in altre parole nel senso di libertà d'insegnamento nella scuola e di libertà per chiunque di istituire scuole.
Sta inequivocabilmente scritto in tutti gli atti della trascorsa storia parlamentare che la nostra Costituzione, art. 33 comma 3. non consente il finanziamento diretto delle scuole private ancorchè paritarie. Peraltro l’articolo 33 c 4. stabilisce che “la legge nel fissare i diritti e gl obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali”.
A tali principi come si è visto si è ispirata la legge n. 62/2000.
La legge n. 62/2000 di parità, rispettosa di tale quadro costituzionale ha quindi riguardato essenzialmente la regolamentazione giuridica di queste scuole.
Essa non è stata mai “completata”, come da sempre auspicato dai settori estremi dell’integralismo confessionale cattolico per garantire la libertà di scelta, con il diritto al finanziamento di queste scuole da parte dello Stato.
Si tratta di un vincolo e di un limite dettato dalla Costituzione che la legge di Parità rispetta dopo che è stato rispettato dalle leggi di oltre mezzo secolo di legislazione repubblicana.
La legge n. 27 del 3 febbraio 2006(art.1-bis) con la quale viene data attuazione all’abrogazione delle scuole parificate, pareggiate e legalmente riconosciute e convenzionate, prevista dalla legge di parità, stabilisce che i contributi che tali scuole ricevevano da decenni dallo Stato, in cambio di loro precise prestazioni di servizio a favore dell’utenza più disagiata, sarebbero stati conservati, allo stesso titolo, qualora tali scuole avessero conseguito la parità e sarebbero cessati in caso contrario. La legge 27/06 non prevedeva finanziamenti diretti per il funzionamento delle scuole secondarie così come non ne prevedeva la legge di parità ma prevedeva che un apposito Regolamento governativo dovesse definire le prestazioni in servizi che le scuole primarie paritarie avrebbero dovuto erogare per continuare a conseguire tali contributi. Per le scuole dell’infanzia tale compito era già svolto dall’art, 339 del Testo Unico riconfermato dalla stessa legge 27/06.
Tale regolamentazione effettuata negli ultimi anni, che costituisce insieme alla legge 62/2000 la normativa quadro anche per ogni legislazione regionale sul diritto allo studio, probabilmente dovrà essere rivisitata nei contenuti e anche nella tipologia degli strumenti giuridici adottati e ricondotta al pieno rispetto del dettato costituzionale.
Le tipologie di intervento finanziario nel settore delle scuole non statali preesistenti alla legge 62/2000:
• per la scuola dell’infanzia risalivano alla legge 1073/62 e alla legge 444/68 (poi confluite nel Testo Unico del 1994) che prevedevano contributi per le scuole non statali dell’infanzia (allora materne) in misura dipendente dall’accoglimento gratuito di alunni di disagiate condizioni economiche o dalla somministrazione a loro della refezione gratuita.Ulteriori interventi finanziari alla scuola dell’infanzia preesistenti alla legge 62/2000 e riguardanti l’erogazione di sussidi per il sistema prescolastico integrato( capitolo 4151 dell’esercizio finanziario 2001) erano in realtà già stati approvati nella legge di bilancio per l’esercizio finanziario 2000 cioè prima dell’approvazione della legge di parità;
 
• per la scuola primaria gli unici finanziamenti preesistenti la legge di parità risalivano al 1928 e riguardavano le scuole parificate che stipulavano particolari convenzioni con le quali le medesime fra l’altro assumevano con l’Amministrazione scolastica, impegni in materia di accoglienza gratuita degli alunni, di organizzazione delle attività didattiche, di formazione delle classi ecc.;
 
• per la scuola secondaria di primo e di secondo grado non erano mai stati previsti dalla legge contributi di alcun tipo e solo per via amministrativa, prima nel 1998 e nel 1999 in relazione alla
sperimentazione dell’autonomia scolastica, e poi con la legge di bilancio del 2000 furono istituiti i capitoli in bilancio(3691 e 3692) per sostenere particolari progetti di innovazione.
 
In sostanza, se si tiene presente quanto dianzi descritto, la legge di parità non ha previsto alcun nuovo finanziamento diretto destinato al funzionamento delle scuole paritarie in quanto esistenti come tali.
Ciò perché, il contributo di 280 miliardi di lire allora previsto per la realizzazione del sistema prescolastico integrato e i 60 miliardi di lire per le scuole elementari parificate ( comma 13 , art. 1 della legge 62/2000), finanziavano misure preesistenti alla legge di parità con caratteristiche di
interventi per il diritto allo studio. Pochi sanno che si è trattato di interventi erogati, fino al 2007, anche a scuole a cui non era neppure richiesto il requisito della parità.
Di nuovo la legge di parità ha introdotto per tutti gli alunni delle scuole statali e paritarie, al comma 9, l’erogazione di borse di studio di pari importo, per un ammontare di 300 miliardi di lire a decorrere dal 2001, a sostegno della spesa per l’istruzione, sostenuta e documentata.
Al comma 14 ha autorizzato a decorrere dal 2000 la spesa di 7 miliardi di lire per assicurare interventi di sostegno previsti dalla legge 104/92 per le istituzioni che accolgono alunni con handicap.
 
I decreti e gli studi preparatori finora predisposti dal Governo sul federalismo fiscale ignorano il destino dei contributi inseriti nel bilancio dello stato (MIUR) destinati alla scuole paritarie, mai trasferiti alle Regioni per quanto riguarda la loro gestione amministrativa (erogazione, accertamento dei requisiti, controlli, ecc.), nonostante si tratti di una competenza amministrativa loro assegnata già dal D.lgvo 112/98 (art.138, lett.-e) che sarebbe dovuta divenire operativa
già nel 2003. Per tale destinazione, nello stato di previsione per il 2011, si stanziano 281 milioni, di euro a cui si aggiungeranno gli altri 245 milioni ottenuti con il maxiemendamento presentato dal Governo (526 milioni rispetto ai 535 dell’anno precedente).
Credo che possa essere utile per molti e anche per il prof Settis, che di recente ha scritto su Repubblica, un bell’articolo forse solo troppo esagerato, per una evidente disinformazione, sulle responsabilità del centro sinistra e della legge di parità, apprendere che già nel 1991 i contributi per le scuole non statali (private e comunali) nel bilancio dello stato ammontavano a120.647.293.528 di lire. Nel 2000 prima dell’entrata in vigore della legge di
parità erano pari a 416.367.788.489 di lire. L’incremento previsto dalla legge
di parità fu pari a 347.000.000.000. Nel 2001 il bilancio assestato prevedeva
un’ uscita di 904 mld. Già nel 2002 da questa somma si passò (non certo per
effetto dell’euro) ai 527.474.476 euro che sono praticamente ancora nella
stessa misura in bilancio.
E’ veramente singolare la grande disinformazione che regna su questa
materia pure di grande interesse per l’opinione pubblica. La Chiesa non
ha certo interesse di denunciare la mancata applicazione di una legge
sul decentramento amministrativo che sottrae allo Stato e al suo bilancio,
 
affidandolo a Regioni e Comuni, il compito di gestire l’erogazione di tali
contributi.
Proprio in questi giorni, si tratta del federalismo fiscale delle Regioni e
nessuno ha finora posto il problema di fiscalizzare alle medesime tali mancati
trasferimenti.
Il cardinal Bagnasco, che forse involontariamente ha fatto da sfondo con
una intervista pubblicata dal Giornale alla sparate propagandistiche del
Presidente e che nei giorni scorsi ha in qualche modo preso le distanze da
esse affermando il pari valore dell’istruzione statale e di quella paritaria, non
si pone sicuramente tale problema e forse se ne possono comprendere le
ragioni. Quello che meraviglia è la disattenzione di tutto il resto del mondo.