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La lezione di Stamina

Quando il metodo scientifico diventa un optional

04/07/2013
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l'Unità

Pietro Greco

«Non è neppure sbagliata», diceva icastico il fisico Pauli di un'idea che non riteneva degna di considerazione. Non è neppure sbagliata, sostiene la rivista Nature della richiesta di copertura della proprietà intellettuale del metodo Stamina. Avanzata nel 2010 da Davide Vannoni all'Ufficio brevetti degli Stati Uniti la richiesta non è stata accolta: è plagiata. O, almeno, due delle fotografie con cui lo psicologo cerca di dimostrare che le cellule staminali dette mesenchimali estratte dal midollo osseo si sono trasformate in magnifici neuroni (le cellule del cervello) sono state prese tal quale da due lavori di alcuni ricercatori ucraini pubblicati nel 2003 su una rivista russa, il Journal of Development Biology, e nel 2006 su una rivista ucraina, l' Ukranian Neurosurgical Journal. Davide Vannoni ha reagito con un argomento che ha fatto scuola in Italia, ma che è sconosciuto all'estero: si tratta di un attacco politico. Probabilmente si riferisce al fatto che l'articolo di Nature - la più diffusa rivista scientifica al mondo e tra quelle con il maggiore «impact factor», ovvero tra quelle più accreditate dalla comunità scientifica planetaria - si basa sulle valutazioni critiche di tre scienziati italiani esperti di cellule staminali: Paolo Bianco dell'Università La Sapienza di Roma; Luca Pani, direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ed Elena Cattaneo, Direttore del Centro di Ricerca sulle Cellule Staminali dell'Università Statale di Milano (Unistem). L'accusa di plagio non è esattamente politica. E rende la vicenda ancora più controversa. Una vicenda che è stata fortemente criticata non solo da Nature, ma dalla gran parte della comunità scientifica internazionale per vie di alcune anomalie strutturali. Che proviamo a elencare. Un signore, Davide Vannoni, senza alcuna esperienza scientifica validata nel campo delle cellule staminali sostiene di aver messo a punto una cura di alcune malattie degenerative del sistema neurologico mediante il trapian to di cellule staminali estratte dal midollo osseo e opportunamente trattate, con acido retinoico diluito in etanolo. Le cellule trapiantate nel sistema nervoso del paziente da cui sono state estratte si trasformano, sostiene Vannoni, in cellule neuronali (neuroni) e consentono di contrastare il decorso di alcune malattie neurodegenerative: è il «metodo Stamina». Vannoni sostiene di non poter rivelare i dettagli del metodo, che tuttavia viene applicato come cura compassionevole - non si comprende bene autorizzato da chi e perché - presso un ospedale a Brescia. Ora il guaio è, come sostiene Elena Cattaneo, che nessuno al mondo ha dimostrato che le cellule staminali tratte dal midollo osseo possono trasformarsi in cellule del sistema nervoso centrale (sempre i neuroni). E nessuno ha dimostrato che trattamenti su questa base apportino benefici ad ammalati. Inoltre Luca Pani ha dimostrato che nella pratica terapeutica applicata presso l'ospedale di Brescia ci sono gravi lacune, persino di tipo igienico. Sí tratta dí una pratica medica non convenzionale. La cui validità scientifica non è dimostrata. Tuttavia i genitori di una bambina sottoposta alla cura sostengono che sembra funzionare e chiedono che essa possa continuare anche dopo l'inchiesta dei Nas e dell'Aifa che ha portato al blocCo della terapia. La richiesta fa breccia nei media. E l'opinione pubblica preme petché la cura possa essere somministrata a pazienti che, in ogni caso, non hanno speranza. Sulla vicenda interviene infine il Parlamento, che il 23 maggio ratifica all'unanimità un decreto legge del ministro della Sanità e così decide di sottoporre a sperimentazione scientifica il «metodo Stamina» sotto il controllo di un'apposita commissione presieduta dal genetista Bruno Dallapiccola. Il Parlamento decide di finanziare con 3 milioni dí euro il test. Che dovrebbe partire in autunno se, entro il prossimo 8 luglio, Vannoni fornirà i dettagli del suo metodo. Tutti si augurano che la ricerca abbia buon esito e che venga provata l'efficacia della terapia. Tuttavia bisogna dire che è molto, molto difficile che la sperimentazione dimostri una qualche efficacia. Perché, per dirla con Wolfgang Pauli, nel metodo e nel merito l'ipotesi di Vannoni non è neppure sbagliata. Ma ci sono due aspetti, più generali, che vanno discussi. Uno riguarda il rapporto tra scienza e politica. Può, in un Paese avanzato, essere un ministro o anche un Parlamento a decidere, contro il parere della comunità scientifica internazionale, quali sono le ipotesi da sottoporre a indagine scientifica e il metodo da seguire? Possono i media ingaggiare una guerra aperta contro la scienza e il suo modo di procedere? Davvero la vicenda Di Bella non ci ha insegnato nulla? Perché questa coazione a ripetere? C'è un nesso tra questa mancanza diffusa di cultura scientifica e il declino economico e non solo economico del Paese? La seconda questione riguarda il mito del genio isolato che sfida e vince il moloch dei poteri forti: le multinazionali e la «scienza ufficiale». Un mito che ritorna. Persino nel Paese di Ilaria Capua, la ricercatrice italiana che nel 2006 ha sfidato e ha vinto abítudíní consolidate - o, se volete, grandi interessi nell'ambito della ricerca medica - e ha reso pubblico con tempestività e totale trasparenza tutto quello che sapeva sul virus dell'influenza aviaria. Nel nome del bene comune dell'umanità. Ma, lei sì, con scienza solida alle spalle. Perché in Italia i veri eroi non vengono quasi mai riconosciuti?